Imprenditoria e Genere: Crescere o Non Crescere? Il Dilemma Svelato Oltre gli Stereotipi
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel mondo dell’imprenditoria, ma guardandolo da una prospettiva un po’ diversa, quella del genere. E no, non parlo solo della solita (e spesso un po’ stantia) contrapposizione uomo vs donna. Parliamo di qualcosa di più profondo, più complesso: come le nostre caratteristiche personali, che la società etichetta come “maschili” o “femminili”, si intrecciano con la nostra biologia, il nostro contesto e, alla fine, influenzano una decisione cruciale per ogni imprenditore: crescere o non crescere?
Per anni, ci siamo sentiti dire che l’imprenditoria è un “gioco da uomini”. Aggressività, propensione al rischio, iniziativa… tutte caratteristiche classicamente associate al maschile. E i dati, diciamocelo, sembravano confermarlo: meno donne avviano imprese, e quelle che lo fanno tendono a puntare meno alla crescita esponenziale rispetto ai colleghi maschi. Ma è davvero tutta qui la storia? È solo una questione di essere nati maschi o femmine? Io credo di no, e la ricerca scientifica più recente mi dà ragione.
Il Problema di Guardare Solo al Sesso Biologico
Il primo intoppo in cui siamo caduti per anni è stato confondere il sesso biologico (essere maschio o femmina) con il genere psicosociale. Quest’ultimo riguarda i tratti comportamentali che associamo culturalmente al maschile (come l’agenticità: iniziativa, assertività, competizione) e al femminile (la comunalità: cura, empatia, cooperazione). La psicologa Sandra Bem, già negli anni ’70, ci ha mostrato che questi tratti non sono affatto esclusivi di un sesso o dell’altro. Esistono:
- Uomini e donne “tradizionali” (alti in un tratto, bassi nell’altro)
- Persone “androgine” (alte in entrambi i tratti)
- Persone “indifferenziate” (basse in entrambi i tratti)
Pensateci: quante donne conoscete incredibilmente assertive e competitive? E quanti uomini estremamente empatici e collaborativi? Esatto. Ridurre tutto a “maschio vs femmina” significa appiattire una realtà incredibilmente varia e perdere di vista le sfumature che fanno la differenza. Confrontare l’imprenditore “medio” con l’imprenditrice “media” ci dice poco su cosa spinge quella specifica persona a prendere le sue decisioni.
L’Imprenditore Androgino: La Vera Chiave della Crescita?
E qui arriva la parte interessante. Studi recenti, che utilizzano approcci più sofisticati per analizzare i dati individuali senza cadere nella trappola delle medie, stanno rivelando un quadro sorprendente. Sembra che l’imprenditoria, soprattutto quella orientata alla crescita, non sia tanto un’occupazione “maschile”, quanto piuttosto un’occupazione “androgina”.
Cosa significa? Che per far crescere davvero un’impresa, servono sia tratti agentici che tratti comunali, indipendentemente dal fatto che tu sia uomo o donna. Certo, l’iniziativa e la capacità di prendersi dei rischi (agenticità) sono fondamentali per cogliere opportunità e superare ostacoli. Ma pensate a quanto siano cruciali l’empatia, la capacità di collaborare e di prendersi cura delle relazioni (comunalità) per gestire un team, fidelizzare i clienti, costruire una rete solida. Un leader che sa essere deciso ma anche ascoltare, competitivo ma anche collaborativo, ha decisamente una marcia in più.

Questo studio, basato su un campione di imprenditori australiani, ha proprio messo in luce questo aspetto: la maggior parte dei percorsi che portano ad alte aspirazioni di crescita coinvolge persone (uomini e donne) con alti livelli sia di agenticità che di comunalità. L’imprenditore di successo del futuro potrebbe essere proprio questo: un individuo capace di integrare armoniosamente queste diverse sfaccettature.
Non Esiste una Ricetta Unica: Complessità e Percorsi Multipli
Un altro punto fondamentale che emerge è la complessità causale. Sembra un parolone, ma significa semplicemente che non c’è una sola causa o una sola ricetta per decidere se crescere o meno. È un cocktail unico per ciascuno di noi, un mix di:
- Fattori personali: età, sesso, tratti di genere (agentici/comunali), situazione familiare (essere sposati, avere figli).
- Fattori di “conoscenza”: livello di istruzione, avere un background familiare nell’imprenditoria (Family Business Background – FBB), autoefficacia imprenditoriale (la fiducia nelle proprie capacità gestionali – ESE).
- Fattori aziendali: dimensioni attuali dell’impresa, successo percepito.
Tutti questi elementi non agiscono isolatamente, ma interagiscono in modi complessi e spesso imprevedibili. Ad esempio, avere un’alta istruzione potrebbe spingere verso la crescita, ma se combinato con alte responsabilità familiari e magari una scarsa fiducia nelle proprie capacità di gestire persone, potrebbe portare alla decisione opposta: meglio mantenere l’equilibrio attuale.
Questo approccio, chiamato analisi comparativa qualitativa fuzzy-set (fsQCA), permette proprio di vedere queste combinazioni uniche, questi “percorsi multipli” (tecnicamente si parla di equifinalità). Ci sono diverse strade che portano ad alte aspirazioni di crescita, e altrettante (ma non semplicemente inverse!) che portano a basse aspirazioni.

Ad esempio, lo studio ha identificato percorsi verso l’alta crescita come:
- “Donne androgine giovani con background familiare imprenditoriale”
- “Uomini androgini giovani con imprese di successo ma senza background familiare”
- “Uomini androgini più anziani con alta istruzione e piccole imprese”
E percorsi verso la bassa crescita come:
- “Donne giovani non agentiche (indifferenziate o comunali) con alta istruzione ma poca fiducia nella gestione del personale e alte responsabilità familiari”
- “Uomini più anziani comunali (non agentici) con background familiare, alta fiducia nelle competenze ma anche alte responsabilità familiari e imprese di successo ma piccole”
Vedete? Non è mai una sola cosa. È l’insieme che conta. E, cosa affascinante, i motivi per non voler crescere non sono semplicemente l’opposto di quelli per voler crescere (questa si chiama asimmetria). Magari un imprenditore ha un’azienda di successo, alta istruzione, esperienza… tutti fattori che sulla carta spingerebbero alla crescita. Ma magari valuta che l’impatto sulla sua vita personale, sullo stress, sul tempo per la famiglia sarebbe troppo negativo, e quindi sceglie consapevolmente di non espandersi. Una scelta legittima, basata su un bilanciamento complesso di priorità.
Cosa Ci Portiamo a Casa? Implicazioni Pratiche
Tutto questo cosa ci dice, in pratica? Diverse cose importanti, secondo me.
Per chi supporta gli imprenditori (politiche, finanziamenti): Bisogna smetterla di guardare solo a singoli fattori o, peggio, basarsi su stereotipi di genere. Valutare un progetto o un imprenditore richiede uno sguardo olistico, che consideri la combinazione unica di caratteristiche personali, competenze, contesto e, sì, anche i tratti agentici e comunali. Finanziare basandosi solo sull’aggressività “maschile” potrebbe far perdere talenti incredibili (uomini e donne) che portano un approccio più equilibrato e magari più sostenibile nel lungo periodo.
Per l’educazione e la cultura: Dobbiamo sradicare l’idea che certi tratti siano “da maschi” e altri “da femmine”. Parliamo di tratti umani: agenticità e comunalità. Incoraggiare lo sviluppo di entrambi in tutti gli individui, fin dalla scuola, può creare imprenditori (e persone!) più completi e resilienti. Essere androgini non significa perdere la propria identità, ma guadagnare una dimensione in più.
Per noi stessi, come (aspiranti) imprenditori: Riconoscere la complessità ci libera dalla pressione di dover aderire a un modello unico. Possiamo valorizzare i nostri punti di forza, siano essi più agentici o più comunali, e lavorare per sviluppare quelli in cui siamo carenti, sapendo che entrambi sono utili. E soprattutto, possiamo sentirci legittimati a fare scelte sulla crescita che siano in linea con i nostri valori e il nostro benessere complessivo, non solo con la massimizzazione del profitto a tutti i costi.

Insomma, il legame tra genere e imprenditoria è molto più sfaccettato e interessante di quanto pensassimo. Abbracciare la complessità, guardare oltre gli stereotipi e riconoscere il valore dell’equilibrio tra agenticità e comunalità potrebbe essere la chiave non solo per capire meglio le dinamiche attuali, ma anche per costruire un futuro imprenditoriale più inclusivo, efficace e, perché no, più umano.
Fonte: Springer
