Immagine macro ad alta definizione di un impianto dentale in zirconia in due pezzi accanto a una corona protesica in ceramica avvitata, 100mm Macro lens, illuminazione da studio controllata, su sfondo pulito e professionale.

Impianti in Zirconia Avvitati: Promessa o Problema? Uno Studio Clinico Rivela Dati Sorprendenti

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che sta molto a cuore a noi professionisti del sorriso e, ovviamente, ai nostri pazienti: gli impianti dentali. Sappiamo tutti che gli impianti in titanio sono il “gold standard”, super affidabili e con risultati a lungo termine eccellenti. Ma, diciamocelo, a volte quel colore scuro del titanio può giocare brutti scherzi, specialmente in zone estetiche o se le gengive sono sottili. Può trasparire, o diventare visibile se la gengiva si ritira un po’.

Ed ecco che entra in gioco la zirconia, il nostro “cavaliere bianco”! Un materiale ceramico, biocompatibile quasi quanto il titanio, ma con un vantaggio estetico non da poco: è bianco! Perfetto per evitare trasparenze grigiastre. All’inizio si usavano soprattutto impianti in zirconia “monopezzo”, ma per ragioni chirurgiche e protesiche, spesso preferiamo i sistemi “a due pezzi” (impianto + abutment separato), come siamo abituati con il titanio.

Il punto è che, mentre sul titanio sappiamo vita, morte e miracoli, sugli impianti in zirconia a due pezzi i dati clinici sono ancora limitati. E la maggior parte degli studi esistenti riguarda sistemi dove l’abutment e la corona vengono *cementati*. Ma cosa succede se usiamo corone *avvitate* direttamente sull’impianto in zirconia? Questa è una domanda cruciale, perché elimina il rischio di problemi legati al cemento residuo sotto gengiva (che può causare infiammazione), ma cambia completamente le carte in tavola a livello biomeccanico.

Lo Studio Sotto la Lente: Zirconia a Due Pezzi e Corone Avvitate

Proprio per colmare questa lacuna, è stato condotto uno studio clinico prospettico, un “pilot study” per testare un nuovo sistema di impianti in zirconia a due pezzi (il CERALOG®Hexalobe, per la precisione) restaurato con corone avvitate in vetroceramica su abutment in PEKK (un polimero ad alte prestazioni). L’obiettivo primario era chiarissimo: vedere quanti di questi impianti “sopravvivono” e hanno “successo” a 12 mesi dal carico definitivo, e poi monitorarli per 5 anni. In più, si volevano valutare i livelli ossei, la salute dei tessuti molli (le gengive) e, importantissimo, cosa ne pensavano i pazienti (le cosiddette PROMs – Patient-Reported Outcome Measures).

Nello studio sono stati coinvolti 24 pazienti adulti, sani, a cui mancava un solo dente (premolare o molare) tra denti naturali. Dopo aver inserito l’impianto (con chirurgia guidata per la massima precisione), si è atteso un periodo di guarigione di 6 mesi. Poi, una corona provvisoria avvitata su un abutment temporaneo in PEKK, e infine la corona definitiva, sempre avvitata, in disilicato di litio (un’ottima vetroceramica estetica) su abutment definitivo in PEKK. Il tutto seguito con radiografie, foto e misurazioni cliniche precise in ogni fase.

I Risultati: Una Doccia Fredda Inaspettata

E qui, ragazzi, arriva la sorpresa, e non proprio positiva. Dopo 12 mesi dal carico definitivo, il tasso di sopravvivenza degli impianti è stato solo del 60.9%. Un dato decisamente insoddisfacente, diciamolo chiaramente. Ma perché così basso? Lo studio ha identificato due cause principali di fallimento:

  • Mancanza o perdita di osteointegrazione: Ben 6 impianti (2 prima del carico, 4 dopo il carico provvisorio o definitivo) hanno mostrato mobilità, segno che l’osso non si era “attaccato” bene all’impianto o aveva perso il contatto. Le radiografie in questi casi mostravano un’area scura (radiolucenza) attorno all’impianto.
  • Frattura dell’impianto: 3 impianti si sono fratturati nella parte più coronale (vicino all’osso) dopo il carico. E ovviamente, hanno dovuto essere rimossi chirurgicamente.

In totale, 9 impianti su 23 (uno dei 24 pazienti iniziali è uscito dallo studio) sono andati persi entro i primi 12 mesi.

Radiografia dentale che mostra un'area radiotrasparente attorno a un impianto in zirconia, indicativa di perdita di osteointegrazione, 35mm prime lens, bianco e nero, alta definizione.

Perché Questa Bassa Sopravvivenza? Ipotesi sul Banco

Ok, un tasso di sopravvivenza del 60.9% è basso, soprattutto se confrontato con altri studi su impianti in zirconia a due pezzi che riportano tassi tra l’83% e il 96.5% a 1-3 anni. Ma c’è un “ma” grosso come una casa: quasi tutti quegli studi usavano abutment e corone cementate, non avvitate come in questo caso.

Potrebbe essere proprio qui il nocciolo della questione? La combinazione tra la rigidità intrinseca della zirconia e la meccanica di una connessione avvitata (con abutment in PEKK e vite in titanio) potrebbe generare concentrazioni di stress diverse e potenzialmente più dannose rispetto ai sistemi cementati o agli impianti in titanio? Lo studio solleva questo dubbio.

Si discute anche del “precarico” della vite dell’abutment. È noto che le viti in titanio potrebbero non raggiungere lo stesso livello di precarico (la “forza di serraggio” iniziale che tiene tutto stabile) delle viti in oro, specialmente in sistemi con connessioni esterne come questo. Un precarico inadeguato può portare a micro-movimenti tra impianto e abutment, e questi micro-movimenti possono distribuire male lo stress, portando a fratture o perdita di osso. Attenzione però: gran parte di queste conoscenze deriva da studi su impianti in titanio; sulla zirconia avvitata c’è ancora molto da capire.

Altri fattori potrebbero aver contribuito? Forse le dimensioni specifiche degli impianti usati, i protocolli chirurgici (anche se guidati), l’uso di antibiotici… difficile dirlo senza confronti diretti.

Primo piano clinico di un impianto dentale in zirconia fratturato nella sua porzione coronale, 60mm macro lens, alta definizione, illuminazione clinica.

Non Tutto è Nero: I Risultati degli Impianti Sopravvissuti

Ma aspettate, non è tutto da buttare! Gli impianti che *sono* sopravvissuti (il 60.9%) hanno mostrato risultati incoraggianti a 12 mesi:

  • Tessuti molli stabili: La profondità media di sondaggio (un indicatore della salute gengivale) era ottima, circa 2.7 mm, con pochi siti più profondi e nessun segno di pus (suppurazione). Il sanguinamento al sondaggio (BOP) è leggermente aumentato rispetto al momento del carico, ma restava contenuto.
  • Livello osseo migliorato: Sorprendentemente, la distanza media tra la spalla dell’impianto e il primo contatto osseo è diminuita da 1.9 mm al momento del carico a 1.4 mm dopo 12 mesi. Questo suggerisce un guadagno, o almeno una stabilizzazione molto favorevole, del livello osseo marginale.
  • Pazienti soddisfatti: I pazienti con gli impianti sopravvissuti hanno dato punteggi altissimi (media 4.8-4.9 su 5) per comfort, masticazione, estetica e soddisfazione generale. Questo è fondamentale!

Ritratto di un paziente sorridente che mostra un restauro dentale estetico su impianto in zirconia, 35mm portrait, profondità di campo, luce naturale soffusa.

Cosa Portiamo a Casa da Questo Studio?

Insomma, questo studio pilota ci lancia un messaggio importante: questo specifico sistema di impianti in zirconia a due pezzi, quando restaurato con corone avvitate su abutment in PEKK, ha mostrato tassi di sopravvivenza insoddisfacenti nel primo anno, principalmente a causa di problemi di osteointegrazione e fratture.

È fondamentale sottolineare le limitazioni: è uno studio su un numero relativamente piccolo di pazienti (24 iniziali), condotto in un solo centro, su un sistema implantare specifico e senza un gruppo di controllo con impianti in titanio. Quindi, non possiamo generalizzare questi risultati a tutti gli impianti in zirconia a due pezzi o a tutte le soluzioni avvitate.

Tuttavia, ci mette in guardia sul fatto che la combinazione “ceramica + avvitamento” potrebbe presentare sfide biomeccaniche particolari che richiedono ulteriori indagini. Servono assolutamente studi più ampi, multicentrici, e magari con confronti diretti, per capire meglio le performance a lungo termine di queste soluzioni e se materiali diversi per viti o abutment possano fare la differenza.

Per ora, mentre la zirconia rimane un’opzione estetica validissima, questo studio suggerisce cautela nell’adottare sistemi a due pezzi avvitati senza dati clinici robusti a supporto, specialmente per quel particolare design e combinazione di materiali testati. La ricerca continua, e noi restiamo sintonizzati!

Fonte: Springer

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