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Aria Pulita o Puzza Nascosta? Viaggio Olfattivo (e Scientifico) negli Impianti di Depurazione

Ehilà, amici curiosi della scienza! Vi siete mai chiesti cosa succede davvero all’acqua che, con un semplice gesto, facciamo sparire giù per lo scarico? Certo, sappiamo che finisce nei depuratori, luoghi quasi mitologici che la rendono di nuovo pulita. Ma avete mai pensato all’aria che si respira intorno a questi giganti della purificazione? Io sì, e recentemente mi sono imbattuto in uno studio affascinante che ha messo il naso (e strumenti ben più sofisticati) proprio lì, negli impianti di trattamento delle acque reflue (WWTPs), per capire che tipo di “profumo” rilasciano nell’ambiente. E non parlo solo di odori, ma di un cocktail di sostanze che potrebbero avere un impatto sulla nostra salute e sull’ecosistema.

Lo studio in questione ci porta a Toledo, in Spagna, dove i ricercatori hanno esaminato due impianti molto diversi tra loro. Immaginateveli: WWTP1, situato in una zona industriale bella trafficata, che tratta un mix di acque reflue domestiche e industriali; e WWTP2, immerso in un contesto più rurale, che gestisce solo scarichi domestici ma con un flusso quasi doppio rispetto al primo. Come se non bastasse, anche i loro “polmoni”, ovvero i sistemi di aerazione nei bioreattori, sono differenti. Insomma, un bel confronto!

Cosa c’è nell’aria? I sospetti principali

Per sei mesi, gli scienziati hanno monitorato una vasta gamma di inquinanti. Parliamo di emissioni gassose come l’anidride solforosa (SO2), il monossido di carbonio (CO), gli ossidi di azoto (NOx), l’ozono (O3) – sì, quello che ci protegge dai raggi UV ma che a livello del suolo non è proprio un toccasana – e i composti organici volatili (VOC), un gruppo eterogeneo di sostanze chimiche che possono evaporare facilmente. Non sono stati trascurati nemmeno il particolato (PM2.5 e PM10, le famigerate polveri sottili) e gli elementi in traccia (TEs), ovvero metalli e metalloidi presenti in piccolissime quantità.

L’obiettivo? Non solo misurare, ma anche calcolare degli indicatori di rischio ambientale e sanitario per capire l’effettivo impatto sull’ambiente circostante e sulla salute di chi vive o lavora nei paraggi. Pronti a scoprire cosa è emerso?

Gas Insidiosi: SO2, CO e NOx sotto la lente

Partiamo dai “classici”: SO2 e CO. Sembra che, in generale, il contributo degli impianti a questi due inquinanti sia piuttosto basso. Tuttavia, ci sono delle differenze interessanti. Il WWTP2 (quello rurale con maggior flusso) ha mostrato concentrazioni di SO2 e CO più alte. Per l’SO2, questo potrebbe dipendere dal maggior volume di acqua trattata e dal fatto che il WWTP1 usa delle torri di deodorizzazione chimica che abbattono i composti solforati, mentre il WWTP2 no. Per il CO, nel WWTP2 potrebbe essere generato durante la digestione aerobica dei rifiuti organici. In ogni caso, niente panico: i limiti di legge per questi due composti non sono mai stati superati.

La storia cambia un po’ con gli NOx (ossidi di azoto). Il WWTP1 (quello industriale) ha registrato una media annuale di NOx vicina al limite di legge. Gli NOx possono formarsi durante i processi di rimozione dell’azoto nelle acque reflue, in particolare durante la nitrificazione. La posizione del WWTP1, in un’area urbana con traffico e industrie, sicuramente non aiuta, contribuendo ad aumentare le emissioni. Pensate che in entrambi gli impianti si è notato un “effetto weekend” per SO2, CO (solo WWTP1) e NOx, con concentrazioni più alte durante i giorni feriali, suggerendo l’influenza delle attività umane come traffico e riscaldamento.

Veduta aerea di un impianto di trattamento acque reflue, con vasche di aerazione circolari e rettangolari, edifici di controllo e aree verdi circostanti. Obiettivo grandangolare 10-24mm, luce diurna diffusa, alta definizione, focus nitido su tutto il panorama, per evidenziare la complessità e l'estensione dell'impianto.

Curiosamente, le concentrazioni di NOx tendevano ad aumentare dalla stagione calda a quella fredda, probabilmente a causa delle condizioni meteorologiche sfavorevoli alla dispersione degli inquinanti e all’aumento delle emissioni da riscaldamento.

L’Ozono: Amico in Alto, Nemico in Basso

Passiamo all’ozono (O3). Qui la situazione si fa più delicata. Al WWTP1, il valore obiettivo per la protezione della salute umana (120 µg m−3) è stato raggiunto per ben 27 giorni nei sei mesi di misurazione, mentre al WWTP2 per 9 giorni. La legge dice che questo livello non dovrebbe essere superato per più di 25 giorni all’anno. Quindi, c’è un potenziale rischio da non sottovalutare per chi lavora negli impianti e per la popolazione vicina, soprattutto vicino al WWTP1.

Le concentrazioni di O3 erano più alte durante la stagione calda, un classico, dato che la sua formazione è favorita dalla radiazione solare. Ma perché valori leggermente più alti al WWTP1? Una possibile spiegazione è il processo di disinfezione UV nella fase terziaria del trattamento, usato più frequentemente al WWTP1, specialmente in estate, anche per scopi di irrigazione esterna. La luce UV, infatti, può generare ozono dall’ossigeno atmosferico.

VOC: I Composti Organici Volatili e i Loro Segreti

Ah, i VOC! Un mondo vastissimo. Ne sono stati identificati e quantificati ben 51 nel WWTP1 e 60 nel WWTP2. La parte del leone, in entrambi gli impianti, l’hanno fatta gli aromatici ossigenati (circa il 50%), seguiti da composti ossigenati e composti aromatici. Molti di questi derivano probabilmente dalla decomposizione della materia organica nelle acque reflue, con emissioni significative dalle vasche di aerazione. Ma, soprattutto per il WWTP1, non si può escludere il contributo del traffico.

Tra i VOC, alcuni sono più “problematici” di altri:

  • Odori: I maggiori responsabili del caratteristico “profumo” da depuratore? L’α-pinene e gli aromatici, con il toluene che spicca nel WWTP1.
  • Formazione di ozono (OFP): Ancora il toluene a farla da padrone in entrambi gli impianti, seguito da m-xilene, o-p xileni, etilbenzene e 1,2,4-trimetilbenzene.
  • Formazione di aerosol organico secondario (SOAFP): Toluene, benzene, etilbenzene e xileni sono i principali indiziati.
  • Rischio cancerogeno (CR): Qui, un campanello d’allarme (seppur lieve) suona per il benzene nel WWTP2, che ha mostrato un valore di rischio cancerogeno di 1.15 × 10^−5 (il limite di attenzione è 10^−6). Tuttavia, è importante sottolineare che la concentrazione media annuale di benzene è rimasta sotto il limite di legge. Per gli altri VOC, il rischio cancerogeno è risultato insignificante, così come i rischi non cancerogeni (irritazioni, ecc.).

Una buona notizia è che, per i VOC, non si è osservato un chiaro “effetto weekend”, suggerendo che le emissioni dirette dagli impianti siano più costanti rispetto a quelle di gas come NOx, SO2 e CO.

Primo piano di un tecnico di laboratorio che analizza campioni d'aria con strumentazione scientifica avanzata, come un gascromatografo-spettrometro di massa. Obiettivo macro 60mm, illuminazione controllata da laboratorio, alta definizione sui dettagli della strumentazione e delle fiale, sfondo leggermente sfocato per concentrare l'attenzione sull'analisi.

Polveri Sottili (PM) e Metalli Pesanti: Un Cocktail Invisibile

E le polveri? Le concentrazioni di PM2.5 (nel WWTP1) e PM10 (nel WWTP2) sono risultate inferiori ai limiti annuali. Interessante notare che misurazioni puntuali vicino ai bioreattori del WWTP1 hanno mostrato concentrazioni di PM fino a quattro volte superiori rispetto al punto di campionamento standard. Questo suggerisce che il sistema di aerazione meccanica superficiale del WWTP1, che crea bolle che scoppiano in superficie, possa trasferire particelle e bioaerosol nell’atmosfera. Al contrario, nel WWTP2, con il suo sistema di diffusione a membrana sommerso, più controllato, non si è vista questa differenza. Questo ci dice molto sull’importanza della tecnologia di aerazione!

Anche per il PM si è notato un effetto weekend, probabilmente dovuto alla diminuzione del traffico e dell’attività industriale vicino al WWTP1 e a un minor flusso di acque reflue in entrambi gli impianti.

Ma cosa c’è dentro queste polveri? L’analisi degli elementi in traccia (TEs) nel PM2.5 ha rivelato che gli elementi predominanti in entrambi gli impianti erano sodio (Na), zinco (Zn), potassio (K), alluminio (Al), calcio (Ca), magnesio (Mg) e ferro (Fe). Molti di questi hanno un’origine prevalentemente minerale (erosione del suolo, polvere sahariana), ma alcuni, come Na e Zn, potrebbero derivare anche dai processi di deodorizzazione e dal trattamento dei fanghi, specialmente nel WWTP1. Le concentrazioni di TEs erano generalmente più alte nel WWTP1, probabilmente a causa del suo apporto di acque industriali (farmaceutiche, galvaniche) e del sistema di aerazione superficiale che potrebbe favorire l’emissione di TEs in atmosfera.

Analizzando il “fattore di arricchimento” (EF), che ci dice se un elemento è più abbondante del previsto rispetto alla sua concentrazione naturale nella crosta terrestre, è emerso che elementi come Na, arsenico (As), selenio (Se), K, nichel (Ni), rame (Cu), Zn e piombo (Pb) nel WWTP1, e Zn, cadmio (Cd), Cu e Se nel WWTP2, avevano un EF elevato, indicando un’influenza antropogenica. Lo zinco (Zn), in particolare, è risultato il secondo metallo più abbondante e con l’EF più alto, potendo derivare sia dall’industria metallurgica vicina al WWTP1 sia dai fanghi di depurazione in entrambi gli impianti.

Dal punto di vista del rischio ecologico, la situazione è apparsa sotto controllo per la maggior parte dei metalli, ad eccezione dello Zn nel WWTP1, che ha mostrato un rischio moderato. Per quanto riguarda la salute umana, i rischi cancerogeni e non cancerogeni dovuti all’inalazione dei metalli sono risultati insignificanti.

Cosa Possiamo Imparare? Conclusioni e Suggerimenti

Questo studio ci ha aperto una finestra importante sull’impatto atmosferico, spesso trascurato, degli impianti di trattamento delle acque reflue. Le differenze tra i due impianti di Toledo evidenziano come la localizzazione (industriale vs rurale), la tipologia di reflui trattati (misti vs domestici) e il sistema di aerazione possano influenzare significativamente il tipo e la quantità di inquinanti rilasciati.

Il WWTP1, con la sua posizione “scomoda” e l’aerazione meccanica, ha mostrato livelli più alti di NOx e O3. Il WWTP2, pur con un flusso maggiore, ha registrato più SO2 e CO. I VOC, con il toluene in prima linea per odori e potenziale formazione di ozono, e il benzene che richiede un occhio di riguardo nel WWTP2, sono un altro capitolo importante.

Nonostante i risultati non siano, nella maggior parte dei casi, critici da un punto di vista normativo stretto, è chiaro che questi impianti contribuiscono ad aumentare i livelli di alcuni inquinanti, VOC e odori, che potrebbero causare problemi di salute o disagio nelle comunità vicine. La conclusione più ovvia? Sarebbe preferibile non costruire impianti di depurazione vicino ai centri urbani.

Inoltre, soluzioni come coperture con elementi galleggianti sulle superfici dei bioreattori potrebbero essere un modo efficace per ridurre l’evaporazione e la formazione di odori, intercettando anche la radiazione solare. Insomma, la ricerca continua e studi come questo sono fondamentali per migliorare la progettazione e la gestione di questi indispensabili guardiani delle nostre acque, rendendoli sempre più amici anche dell’aria che respiriamo. Un piccolo passo per la scienza, un grande respiro per noi!

Fonte: Springer

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