Fotografia di ritratto di un gruppo diversificato di operatori sanitari ghanesi (medici e infermieri) che si trovano insieme fuori da un modesto edificio clinico nel distretto di Adansi-North. Alcuni sembrano resilienti, altri premurosi, riflettendo l'impatto psicologico della quarantena di Marburg. Usa una lente primaria da 35 mm, la luce naturale nel tardo pomeriggio creando ombre morbide, profondità di campo che sfoca leggermente lo sfondo. Effetto duotone usando il verde e il marrone silenzioso.

Marburg in Ghana: L’Ombra Psicologica della Quarantena sugli Eroi della Salute

Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio un po’ diverso dal solito, un viaggio nel cuore di un’emergenza sanitaria e, soprattutto, nell’animo di chi l’ha vissuta in prima linea. Parliamo della malattia da virus Marburg in Ghana e dell’impatto che la quarantena ha avuto sugli operatori sanitari nel distretto di Adansi-North. Non è solo una questione di virus e protocolli, ma di persone, di paure e di resilienza.

L’Arrivo del Nemico Invisibile: Marburg in Ghana

Immaginatevi la scena: luglio 2022, il Ghana dichiara il suo primo focolaio di Marburg. Un virus della famiglia dei filovirus, parente stretto dell’Ebola, noto per la sua elevata letalità (parliamo di tassi che possono arrivare al 90%!). Originariamente trasmesso dai pipistrelli all’uomo, si diffonde poi da persona a persona tramite contatto diretto. I sintomi? Febbre, malessere, mal di testa, vomito, diarrea, fino a emorragie e, troppo spesso, la morte.

Di fronte a una minaccia del genere, le misure sono drastiche: isolamento per i malati e quarantena per chiunque sia entrato in contatto con loro. Nel caso del Ghana, circa 198 persone, inclusi molti operatori sanitari della regione di Ashanti, sono state messe in quarantena per 21 lunghi giorni. Ma cosa significa davvero vivere isolati, con la spada di Damocle di un virus potenzialmente letale sulla testa?

Il Peso Psicologico della Quarantena: Ansia e Paura

Ecco, questo è il punto cruciale che uno studio recente ha voluto esplorare. E i risultati, lasciatemelo dire, sono toccanti. Utilizzando interviste approfondite con 10 operatori sanitari che hanno vissuto la quarantena, i ricercatori hanno dipinto un quadro vivido del loro stato d’animo.

La maggior parte di loro ha riportato sintomi di stress psicologico, in particolare ansia e paura. E come dar loro torto? Erano spaventati all’idea di aver contratto un virus per cui non esiste una cura specifica. Sentite cosa ha raccontato un’infermiera: “Ero davvero spaventata… Quando mi veniva mal di testa, mi chiedevo se fosse il Marburg, e facevo ricerche su ricerche…”. Un altro ha aggiunto: “Ero preoccupato perché avevo sentito che il virus non aveva cura… Mi chiedevo cosa mi sarebbe successo se fosse andata male.”

Questa paura era particolarmente sentita tra gli infermieri, probabilmente perché avevano avuto un contatto più stretto e prolungato con i pazienti infetti. Il minimo sintomo, un mal di testa, un dolore addominale, diventava un potenziale segnale d’allarme, alimentando un’ansia costante. C’era chi si affidava a rimedi erboristici per potenziare il sistema immunitario, chi riponeva la sua fede in Dio.

Curiosamente, alcuni medici, pur essendo in quarantena, si sentivano più sicuri. Grazie all’esperienza maturata con il COVID-19, avevano adottato precauzioni rigorose (mascherine, guanti, lavaggio mani) e questo li faceva sentire meno vulnerabili. “Ho preso precauzioni, quindi non ero spaventato perché sapevo che non l’avrei preso”, ha detto uno di loro.

Fotografia di ritratto di un'infermiera ghanese, a metà degli anni '30, che sembra preoccupata e ponderata, seduta da sola in una semplice stanza illuminata dalla luce della finestra. Usa un obiettivo da 35 mm, profondità di campo, concentrandosi sulla sua espressione. Stile cinematografico in bianco e nero.

Notti Insonni e Pensieri Ricorrenti

L’ansia e l’incertezza si sono tradotte, per molti, in disturbi del sonno. L’attesa dei risultati dei test era snervante. “Per i primi cinque giorni non riuscivo a dormire… a volte avevi questo dolore addominale, questo forte mal di testa e pensavi che fossero i sintomi del virus”, ha confidato un’infermiera. Un altro ha descritto così la sua insonnia: “Dicevo a un’amica che ero a disagio perché vivevo da solo e non ero sicuro di aver contratto il virus o meno.”

L’attesa dei risultati era un momento particolarmente critico: “Il mio sonno è stato influenzato soprattutto dopo che i campioni erano stati prelevati… aspettavo di sapere i risultati… quindi da quel momento fino all’esito, dormire non era facile. Mi chiedevo quale sarebbe stato l’esito… se fosse risultato positivo, cosa sarebbe successo dopo?”. C’era persino chi controllava ossessivamente urine e feci alla ricerca di tracce di sangue, un sintomo del Marburg.

Non per tutti, però, è stato così. Alcuni, soprattutto i medici che si sentivano più protetti, hanno vissuto la quarantena come un periodo di riposo forzato, senza particolari problemi di sonno. “Il mio sonno non è stato influenzato. È stato un riposo genuino”, ha affermato un medico.

La Vita Dopo: Nuove Abitudini e Cautela

Una volta terminata la quarantena, l’esperienza ha lasciato un segno tangibile. Molti operatori sanitari sono diventati estremamente cauti nel loro lavoro quotidiano. Hanno adottato comportamenti quasi di evitamento, intensificando pratiche già note:

  • Lavaggio delle mani molto più frequente.
  • Uso costante di mascherine e guanti durante l’interazione con i pazienti.

“Mi lavavo le mani dopo ogni procedura, indossavo guanti, mascherina ovunque andassi”, ha detto un’infermiera. Un altro ha aggiunto: “Ogni volta che andavo al letto di un paziente, indossavo mascherina, guanti, ecc. per proteggermi, anche se non era comodo. Ho pensato tra me e me che se ha ucciso qualcuno, può uccidere anche me, quindi meglio proteggersi.” Questa iper-cautela riflette una consapevolezza acuita del rischio, un cambiamento comportamentale nato dalla paura vissuta.

Trovare un Appiglio: Le Strategie di Coping

Ma come hanno fatto a resistere durante quei 21 giorni di isolamento? Qui entrano in gioco le strategie di coping, i meccanismi messi in atto per gestire lo stress. La comunicazione è stata fondamentale.

  • Interagire con amici e familiari: Telefonate e social media (WhatsApp, Facebook, Instagram) sono stati un’ancora di salvezza. Parlare con i colleghi, ricevere incoraggiamento da amici e parenti ha aiutato a mantenere alto il morale. “Parlavo con amici che mi incoraggiavano molto… e anche la mia caposala mi ha incoraggiato…”.
  • Supporto tra pari: Chiamare i colleghi in quarantena per sapere come stavano era una pratica comune.
  • Attività distraenti: Per combattere la noia e tenere a bada i pensieri negativi, molti si sono dedicati a cucinare, leggere o guardare la televisione (film, cartoni animati). “Guardavo film e leggevo. Era l’unica cosa che facevo per distrarmi”.

È interessante notare una scelta difficile fatta da alcuni: non informare i parenti stretti della quarantena per evitare di farli preoccupare eccessivamente. “So come avrebbero reagito i miei genitori, quindi ho deciso di tenerlo per me”, ha rivelato un’infermiera. Una decisione che sottolinea il peso emotivo che questi operatori sanitari hanno dovuto portare, spesso in silenzio.

Still Life, Macro Lens, 80mm. Uno schermo dello smartphone che mostra un'interfaccia di chat di WhatsApp si trova su un semplice tavolo di legno accanto a un piatto di cibo ghanese locale come il riso jollof. Dettagli elevati, concentrazione precisa sulla schermata del telefono e sulla consistenza del cibo, l'illuminazione interna controllata, calda.

Cosa Impariamo da Questa Esperienza?

Questo studio, pur con i suoi limiti (interviste via Zoom, campione limitato a una struttura), ci offre spunti preziosissimi. Ci ricorda che dietro ogni emergenza sanitaria ci sono persone con le loro fragilità. L’esperienza della quarantena per Marburg in Ghana ha messo a dura prova la salute mentale degli operatori sanitari.

Le conclusioni sono chiare:

  1. È fondamentale fornire accesso a servizi di salute mentale durante e dopo periodi di quarantena per gli operatori sanitari.
  2. Bisogna incoraggiare il supporto tra colleghi e combattere qualsiasi forma di stigmatizzazione verso chi è stato in quarantena.
  3. È cruciale fornire informazioni chiare e approfondite sulle malattie emergenti per ridurre la paura legata all’ignoto.

La teoria dello stress e del coping di Lazarus e Folkman ci aiuta a capire: la percezione della minaccia (il Marburg, incurabile e letale) ha generato stress, e gli operatori hanno messo in atto strategie focalizzate sull’emozione (parlare, distrarsi) perché non potevano eliminare la fonte dello stress (l’esposizione avvenuta).

Insomma, questa vicenda ghanese è un monito per tutti noi. Dobbiamo prenderci cura di chi si prende cura di noi, non solo fisicamente, ma anche psicologicamente. Perché gli eroi, anche i più forti, hanno bisogno di supporto per continuare a esserlo.

Fonte: Springer

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *