Fotografia panoramica, wide-angle 10mm, che cattura il contrasto tra un'area industriale moderna e prospera (simbolo del Nord Italia) e una zona rurale o meno sviluppata con infrastrutture datate (simbolo del Sud Italia), separate metaforicamente da una linea divisoria naturale come un fiume o una catena montuosa. Luce drammatica del tramonto, cielo suggestivo con nuvole mosse (long exposure), sharp focus su entrambi i lati del paesaggio.

La Cassa per il Mezzogiorno: quando aiutare il Sud… lo ha danneggiato?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di una storia italiana affascinante e, per certi versi, un po’ amara. Una storia che ci riguarda tutti, perché parla del divario tra Nord e Sud, quella ferita mai del tutto rimarginata del nostro Paese. Mi sono imbattuto in uno studio recente che getta una luce nuova, e un po’ scomoda, su uno degli strumenti più famosi creati per colmare questo divario: la Cassa per il Mezzogiorno. Il titolo dello studio originale suona un po’ accademico: “Nessuna vendetta dei luoghi che non contano? Prove dalla Cassa per il Mezzogiorno italiana”. Ma quello che racconta è tutt’altro che noioso, ve lo assicuro.

Un po’ di storia: la CasMez e l’età dell’oro

Ricordiamoci un attimo il contesto. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Italia si ritrova con un Sud molto più arretrato del Centro-Nord. Nel 1951, il PIL pro capite del Mezzogiorno era circa la metà di quello del resto d’Italia. Una situazione insostenibile. Così, nel 1950, nasce la Cassa per il Mezzogiorno (CasMez), un’agenzia speciale pensata per pompare investimenti nel Sud, modernizzare l’agricoltura, costruire infrastrutture e, soprattutto, avviare l’industrializzazione.

L’idea iniziale, un po’ ispirata a esperienze americane come la Tennessee Valley Authority e supportata anche dalla Banca Mondiale, era quella di un intervento forte, deciso dall’alto. Per i primi vent’anni, più o meno, la cosa sembra funzionare. È la famosa “Età dell’Oro” italiana (1950-1973), un periodo di crescita pazzesca. E anche il Sud ne beneficia: il PIL pro capite meridionale sale, arrivando nel 1969 al 73% della media italiana. La convergenza sembrava a portata di mano! Gli storici economici parlano di “modernizzazione passiva“: il Sud si modernizzava grazie a una spinta esterna, centralizzata, senza un coinvolgimento diretto delle élite locali, che storicamente non erano state proprio campionesse di efficienza, diciamo.

1971: la svolta che non ti aspetti (in peggio)

E qui arriva il punto cruciale dello studio. Nel 1971, succede qualcosa di importante: viene approvata una legge (la n. 853) che, insieme alla creazione delle Regioni l’anno prima, cambia tutto. La gestione degli interventi della Cassa per il Mezzogiorno viene decentralizzata. In pratica, il controllo passa dallo Stato centrale e dall’agenzia (che perde la sua autonomia) alle neonate amministrazioni regionali del Sud.

Sulla carta, poteva sembrare una buona idea: più vicinanza al territorio, decisioni prese da chi conosce meglio i problemi locali… no? Beh, secondo questo studio, è stato l’inizio della fine (o quasi) per l’efficacia della CasMez. L’ipotesi, definita “modernizzazione passiva”, suggerisce che proprio il coinvolgimento diretto delle istituzioni e delle élite locali del Sud, storicamente meno preparate o più inclini a logiche clientelari, abbia inceppato il meccanismo.

Fotografia d'epoca in bianco e nero, stile reportage anni '50, che mostra operai al lavoro su un grande cantiere infrastrutturale nel Sud Italia, come una diga o una strada maestra, sotto il sole. Simboleggia gli investimenti iniziali e centralizzati della Cassa per il Mezzogiorno. Obiettivo prime 35mm, profondità di campo, pellicola bianco e nero.

Lo studio usa una metodologia statistica piuttosto sofisticata, il “metodo del controllo sintetico” (SCM), per capire cosa sarebbe successo al Sud Italia *senza* questa decentralizzazione. In pratica, hanno creato un “Sud Italia sintetico”, un mix ponderato di altre regioni italiane (non coinvolte nella CasMez) e spagnole che, prima del 1971, avevano un andamento economico molto simile a quello del nostro Mezzogiorno. Comparando il Sud reale con quello sintetico dopo il 1971, si può stimare l’impatto del cambiamento.

Il risultato? Una doccia fredda

E il risultato è sorprendente e preoccupante. Lo studio stima che, nel decennio successivo alla riforma del 1971, la decentralizzazione abbia causato una perdita totale del PIL pro capite per il Sud Italia pari all’11% rispetto a quello che avrebbe potuto essere. Avete capito bene: invece di migliorare le cose, il passaggio di potere alle regioni avrebbe attivamente danneggiato la convergenza economica.

Come è possibile? Gli autori suggeriscono diverse ragioni, in linea con altre ricerche storiche ed economiche:

  • Clientelismo e favoritismi politici: Le nuove amministrazioni regionali avrebbero iniziato a usare i fondi della CasMez non tanto per i progetti più utili allo sviluppo, ma per rafforzare il proprio consenso politico, dirottando risorse verso comuni “amici” o per spese correnti invece che per investimenti produttivi.
  • Infiltrazioni della criminalità organizzata: Un potere più frammentato e locale potrebbe aver reso più facile per la criminalità organizzata, già radicata nel tessuto economico del Sud, mettere le mani sugli appalti e sui fondi pubblici.
  • Minore capacità progettuale e amministrativa: Le neonate regioni forse non avevano ancora le competenze tecniche e la struttura per gestire programmi di sviluppo complessi come quelli della CasMez.

Insomma, quello che doveva essere un tentativo di “modernizzazione attiva”, con il coinvolgimento diretto delle forze locali, si sarebbe trasformato in un boomerang. Già all’epoca, economisti illustri come Pasquale Saraceno, uno dei “padri” della CasMez, avevano lanciato l’allarme su questa svolta.

Immagine a colori sgranati, stile anni '70, che ritrae una riunione politica in una sala istituzionale regionale italiana. Politici locali discutono animatamente attorno a un tavolo ingombro di mappe e documenti. Luce artificiale un po' dura, fumo di sigaretta nell'aria. Obiettivo prime 50mm, leggero effetto 'film'.

Spendere di più per crescere di meno?

Un dato interessante che emerge è che, dopo il 1971, la spesa pro capite della Cassa per il Mezzogiorno… aumenta! Ma, come abbiamo visto, la crescita rallenta e il divario con il Centro-Nord ricomincia ad allargarsi. Spendere di più, ma peggio. Lo studio mostra graficamente come, dopo la riforma, la correlazione tra spesa della CasMez e crescita economica del Sud diventi praticamente inesistente. Prima del 1971, invece, c’era un legame. Questo rafforza l’idea di una cattiva allocazione delle risorse, più legata a logiche di potere locale che a reali obiettivi di sviluppo.

Lo studio fa anche dei test di robustezza, i cosiddetti “placebo test”, per assicurarsi che questo risultato non sia casuale. Hanno provato ad applicare “virtualmente” la riforma del 1971 ad altre regioni (quelle usate per creare il Sud sintetico) e hanno visto che in nessun altro caso si verifica un crollo simile e così specifico dopo quella data. Hanno anche provato a spostare l’anno della “finta” riforma, ma l’effetto negativo emerge chiaramente solo in corrispondenza del 1971 per il Sud Italia.

L’eredità scomoda della CasMez

Questa rilettura della storia della Cassa per il Mezzogiorno ha implicazioni importanti, anche per l’oggi. Per decenni, si è diffusa l’idea che la CasMez sia stata un totale fallimento, uno spreco di denaro pubblico. Questo studio suggerisce che non è del tutto vero: la prima fase, quella centralizzata, ha avuto effetti positivi sulla convergenza. Il problema è nato *dopo*, con la decentralizzazione e il modo in cui è stata gestita.

Questa narrazione del “fallimento totale”, però, ha avuto conseguenze pesanti. Ha alimentato lo scetticismo verso qualsiasi intervento pubblico per il Sud, ha fornito argomenti a forze politiche come la Lega Nord (che parlava di “sprechi” al Sud) e ha forse contribuito a far uscire la questione meridionale dall’agenda politica nazionale.

Scatto moderno e nitido, macro lens 100mm, su un grafico economico complesso visualizzato su uno schermo di computer. Due linee colorate rappresentano il 'Mezzogiorno Reale' e il 'Mezzogiorno Sintetico', mostrando una chiara divergenza dopo il 1971. Illuminazione controllata da studio, alta definizione, focus preciso sulle linee del grafico e sull'anno della svolta.

Inoltre, il modello decentralizzato inaugurato nel 1971 è diventato la norma per le politiche di sviluppo successive, inclusa la gestione dei fondi strutturali europei. E sappiamo che, purtroppo, anche questi fondi non sempre hanno prodotto i risultati sperati nel Mezzogiorno, spesso incappando negli stessi problemi di clientelismo, corruzione e scarsa capacità di spesa.

Cosa ci insegna questa storia?

La lezione che mi porto a casa da questo studio è che non basta avere buone intenzioni o stanziare fondi per risolvere problemi complessi come il divario Nord-Sud. Il come si implementano le politiche, il ruolo delle istituzioni, la qualità della classe dirigente locale e la capacità di difendersi da interessi particolari sono fattori assolutamente cruciali.

La storia della Cassa per il Mezzogiorno, riletta così, non è solo una vicenda del passato, ma un monito potente per il presente e per il futuro delle politiche di sviluppo regionale in Italia e forse anche altrove. Ci ricorda che la “modernizzazione” non è un processo automatico e che le scorciatoie, a volte, portano fuori strada.

E voi, cosa ne pensate? Conoscevate questa interpretazione della storia della CasMez? Fatemelo sapere!

Fotografia a colori, stile documentaristico contemporaneo, wide-angle 24mm. Un paesaggio del Sud Italia che mostra un contrasto visivo: in primo piano un'infrastruttura incompleta o un edificio moderno ma in stato di abbandono, simbolo di progetti falliti o mal gestiti. Sullo sfondo, un panorama naturale bellissimo ma forse poco valorizzato. Luce naturale del tardo pomeriggio, cielo nuvoloso che aggiunge drammaticità.

Fonte: Springer

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