Giovane adulto che guarda con speranza verso un orizzonte luminoso dopo un periodo buio, simboleggiando la resilienza e il recupero della salute mentale. Fotografia ritratto, obiettivo da 50mm, luce calda del tramonto che illumina il volto, profondità di campo per mettere a fuoco il soggetto e sfocare lo sfondo.

COVID e Giovani UK: Tutta la Verità sulla Salute Mentale (Spoiler: Non è Come Pensate!)

Ammettiamolo, quando pensiamo al COVID-19 e ai suoi effetti sui giovani, la prima immagine che ci viene in mente è spesso quella di un crollo psicologico epocale. Lockdown, isolamento, incertezza sul futuro… un cocktail micidiale, no? E per un po’, anch’io l’ho pensato, basandomi su quello che sentivo e leggevo ovunque. Ma se vi dicessi che uno studio approfondito, che ha guardato le cose molto da vicino e per un lungo periodo nel Regno Unito, ci racconta una storia un po’ più complessa e, per certi versi, persino un filo più ottimista? Preparatevi, perché sto per smontare qualche convinzione.

Ma come stavamo prima della tempesta?

Ecco il primo colpo di scena: la salute mentale dei giovani adulti nel Regno Unito (parliamo della fascia 16-29 anni) non navigava in acque tranquillissime nemmeno prima che il COVID facesse la sua comparsa. Anzi, i dati ci dicono che era in peggioramento da quasi due decenni! Sì, avete capito bene. Già dal 2001, i livelli di stress psicologico erano in lenta ma costante crescita. Quindi, quando la pandemia è arrivata, ha trovato un terreno già un po’ fragile. Questo è un punto cruciale, perché spesso si tende ad attribuire tutto il malessere al virus e alle restrizioni, dimenticandoci del contesto pre-esistente.

L’impatto del lockdown: una botta, ma temporanea

Non fraintendetemi: il periodo del lockdown “duro” (da aprile 2020 a marzo 2021) ha picchiato forte. Lo studio, basato sui dati del UK Household Longitudinal Study (UKHLS), ha calcolato che il punteggio medio di disagio psicologico (misurato con il famoso questionario GHQ-12) è aumentato del 9% rispetto alla sua deviazione standard. Tradotto: un peggioramento tangibile. Anche la percentuale di giovani con un disagio psicologico clinicamente rilevante è salita di 4,5 punti percentuali. Quindi sì, l’impatto c’è stato, inutile negarlo. Abbiamo tutti sperimentato sulla nostra pelle cosa significasse sentirsi soli, preoccupati, con le nostre vite sociali e i nostri progetti messi in pausa.

Pensateci: l’università interrotta, i primi lavori a rischio, le uscite con gli amici cancellate, le palestre chiuse. Per chi sta costruendo la propria identità e il proprio futuro, sono stati colpi non da poco. Lo studio ha analizzato proprio questi aspetti, cercando di capire l’effetto “causale” del lockdown, cioè cosa sarebbe successo alla salute mentale dei giovani se la pandemia non ci fosse stata, basandosi sui trend di lungo periodo.

La resilienza che non ti aspetti: il ritorno alla “normalità” (pre-esistente)

E qui arriva la parte che forse vi sorprenderà di più. Nonostante la botta iniziale, questa ricerca suggerisce che l’impatto negativo sulla salute mentale dei giovani adulti non ha lasciato cicatrici permanenti, almeno a livello medio. Già da aprile 2021, i livelli di benessere psicologico sono tornati in linea con le traiettorie previste prima della pandemia. Avete letto bene: un recupero! Questo ritorno alla “normalità” (che, ricordiamolo, era già una normalità con delle criticità pre-esistenti) è andato di pari passo con una diminuzione del senso di solitudine e un aumento della soddisfazione per la propria vita. Sembra quasi che, una volta allentate le restrizioni più severe e con l’arrivo dei vaccini, i giovani abbiano dimostrato una notevole capacità di ripresa. Forse siamo più forti di quanto pensiamo, eh?

Questo non significa che per tutti sia stato facile o che non ci siano state situazioni individuali di grande sofferenza. Ma a livello aggregato, la tendenza è quella di un recupero. È come se l’elastico, dopo essere stato tirato molto, fosse tornato alla sua forma originale, seppur quella forma originale mostrasse già qualche segno di usura.

Un giovane adulto seduto da solo in una stanza poco illuminata, guarda fuori dalla finestra con espressione pensierosa, simboleggiando l'isolamento e il disagio psicologico durante il lockdown. Fotografia ritratto, obiettivo da 35mm, toni bicromatici grigio e blu scuro, profondità di campo.

Lo studio ha fatto un lavoro certosino, analizzando i dati longitudinali, cioè seguendo le stesse persone nel tempo, dal 2001 al 2023. Questo permette di distinguere gli effetti della pandemia dai cambiamenti legati all’età o ad altre dinamiche già in corso. Hanno persino tenuto conto di un possibile “bias di segnalazione”, cioè del fatto che il modo in cui le persone rispondono ai questionari sulla salute mentale potrebbe essere cambiato a causa del contesto pandemico o del tipo di sondaggio (ad esempio, quelli specifici sul COVID). Un dettaglio non da poco, che rende i risultati ancora più solidi.

Non tutti uguali di fronte alla pandemia: chi ha sofferto di più?

Ovviamente, “in media” non significa “per tutti allo stesso modo”. Lo studio ha infatti evidenziato delle differenze. Ad esempio, durante il lockdown, le giovani donne e i giovani adulti appartenenti al terzo più ricco della distribuzione del reddito familiare hanno sperimentato un aumento più marcato del disagio psicologico. Sembra controintuitivo per il reddito, vero? Forse perché avevano routine più strutturate o aspettative diverse che sono state maggiormente stravolte. D’altro canto, non ci sono prove che il gruppo under 30 abbia sofferto, in media, effetti sulla salute mentale più gravi rispetto al resto della popolazione adulta sotto i 60 anni durante il periodo di lockdown. Questo un po’ smentisce la narrazione comune che vedeva i giovani come i più colpiti in assoluto, almeno in termini di gravità comparativa con altre fasce d’età adulte (escludendo gli anziani, ovviamente più vulnerabili al virus stesso).

  • Donne: Hanno mostrato un aumento maggiore del disagio durante il lockdown.
  • Reddito alto: Anche i giovani nel terzo superiore per reddito familiare hanno riportato un peggioramento più accentuato.
  • Minoranze etniche: Sembra abbiano risentito in misura minore dell’impatto del lockdown sul disagio psicologico, sebbene la differenza non fosse statisticamente significativa al 5%.

Queste sfumature sono importanti perché ci ricordano che le esperienze della pandemia sono state eterogenee e che le politiche di supporto devono tener conto di queste diversità.

Sfatiamo un mito: i giovani non sono stati gli unici a soffrire (né i più colpiti in assoluto)

Una delle narrazioni più diffuse durante la pandemia è stata quella dei giovani come categoria particolarmente e unicamente devastata psicologicamente. Questo studio, pur riconoscendo l’impatto, lo ridimensiona un po’, soprattutto se confrontato con altre fasce d’età adulte (fino ai 59 anni). Non è emersa una differenza significativa che indicasse un crollo psicologico sproporzionato per i 16-29enni rispetto, ad esempio, ai 30-44enni o ai 45-59enni durante il lockdown. Certo, le sfide sono state diverse: per i giovani l’interruzione della formazione e della socializzazione, per gli adulti magari la gestione del lavoro da casa con i figli. Ma in termini di aumento del disagio psicologico misurato, non sembra che i giovani siano stati un caso a parte in termini di gravità rispetto ad altri adulti.

Questo non toglie nulla alla sofferenza individuale, sia chiaro. Ma aiuta a contestualizzare e a evitare generalizzazioni eccessive. La resilienza, come abbiamo visto, è stata una caratteristica importante.

Un gruppo diversificato di giovani adulti che ridono e interagiscono all'aperto in un parco in una giornata di sole, simboleggiando il recupero della socialità e il miglioramento del benessere mentale post-lockdown. Fotografia di gruppo, obiettivo zoom 24-70mm, colori vivaci, luce naturale.

Come abbiamo fatto a capirlo? Uno sguardo dietro le quinte

Forse vi state chiedendo come si fa a trarre conclusioni così precise. Beh, non è magia! I ricercatori hanno usato dati longitudinali, cioè hanno seguito le stesse persone nel corso degli anni, dal 2001 al 2023. Questo è fondamentale perché permette di vedere come stava una persona prima, durante e dopo la pandemia. Hanno usato il UK Household Longitudinal Study (UKHLS) e il suo predecessore, il British Household Panel Study (BHPS). Hanno poi creato dei modelli statistici per stimare quale sarebbe stata la traiettoria della salute mentale dei giovani senza la pandemia, basandosi sui trend storici. Confrontando questa traiettoria “controfattuale” con quello che è realmente successo, hanno potuto isolare l’effetto specifico del COVID.

Hanno anche tenuto conto di un aspetto tecnico ma importante: durante la pandemia, sono stati usati anche questionari web specifici per il COVID, leggermente diversi da quelli standard. Lo studio ha verificato se questo potesse aver influenzato le risposte, e ne ha tenuto conto nelle analisi. Questo rigore metodologico è ciò che dà peso ai risultati.

Cosa ci portiamo a casa da tutto questo?

Quindi, cosa ci insegna questa ricerca? Innanzitutto, che la narrazione di un disastro psicologico permanente e generalizzato per i giovani a causa del COVID va un po’ rivista. C’è stato un colpo, è innegabile, ma anche una sorprendente capacità di recupero. Questo non vuol dire abbassare la guardia, anzi! Il fatto che i livelli di malessere fossero già in crescita prima della pandemia è un campanello d’allarme enorme. Significa che ci sono problemi strutturali che vanno affrontati, che riguardano forse le prospettive lavorative, la pressione sociale, l’uso dei social media, i tagli ai servizi per i giovani… chi può dirlo con certezza senza ulteriori indagini?

La pandemia ha agito come una lente d’ingrandimento su fragilità pre-esistenti e ha rappresentato uno shock temporaneo. La vera sfida, ora, non è solo superare gli strascichi del COVID, ma affrontare quelle tendenze negative di lungo periodo che affliggevano la salute mentale dei giovani già da tempo. Rafforzare i servizi di supporto psicologico è cruciale, ma bisogna anche lavorare sulle cause profonde di questo disagio. Perché tornare al “trend pre-pandemico” non può essere l’obiettivo finale, se quel trend era già in salita.

Insomma, questo studio ci offre uno sguardo più lucido e meno catastrofista sull’immediato impatto del COVID, ma allo stesso tempo ci richiama con forza alla necessità di un impegno serio e a lungo termine per il benessere psicologico delle nuove generazioni. Una sfida complessa, ma assolutamente prioritaria.

Fonte: Springer

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