Un'immagine concettuale che mostra una mappa stilizzata del Galles con ingranaggi industriali che sembrano arrugginiti o bloccati, mentre sullo sfondo si intravede la bandiera dell'UE sbiadita. Prime lens, 35mm, depth of field, duotone seppia e grigio scuro per un'atmosfera cupa.

Brexit: Come Ha Messo KO la Produttività delle Aziende Gallesi (e Perché Dovrebbe Interessarci)

Amici, oggi voglio parlarvi di una faccenda che, lo so, sembra lontana e magari un po’ ostica: la Brexit. Ma aspettate a storcere il naso, perché quello che è successo nel Regno Unito, e in particolare in Galles, ha molto da insegnarci sulla produttività aziendale e sulle conseguenze, a volte impreviste, delle grandi decisioni politiche. Immaginatevi di essere un imprenditore gallese nel 2016: da un giorno all’altro, il panorama economico cambia radicalmente. È un po’ quello che è successo, e uno studio recente ha cercato di mettere i puntini sulle “i”, analizzando l’impatto sull’efficienza delle imprese.

Cos’è questa TFP di cui tutti parlano?

Prima di addentrarci, spendiamo due parole sulla “Produttività Totale dei Fattori” o TFP. Non è una parolaccia, giuro! Immaginatela come il termometro che misura quanto un’azienda (o un’intera economia) sia brava a trasformare le sue risorse – lavoro, capitali, tecnologia – in prodotti o servizi. Più alta è la TFP, meglio è, perché significa più efficienza, più innovazione, insomma, più salute economica. È un indicatore cruciale, perché ci dice non solo quanto si produce, ma come lo si fa. Pensateci: una TFP in crescita è il motore dello sviluppo, il segreto per restare competitivi sul mercato globale.

Brexit: la promessa di “riprendere il controllo” e la dura realtà

Uno degli slogan della Brexit era proprio quello di “riprendere il controllo della sovranità economica” per proteggere la produttività e la competitività delle aziende britanniche. Bello a dirsi, ma la realtà, come spesso accade, è stata un po’ più complessa. Molti economisti, infatti, sostengono che la produttività aziendale trae linfa vitale dall’innovazione tecnologica, da un ambiente commerciale aperto e dalla libera circolazione di capitali e cervelli. L’isolazionismo, al contrario, rischia di essere un freno. E i dati sembrano dare loro ragione.

Lo studio che ho analizzato si è concentrato proprio sul Galles, una regione del Regno Unito con legami economici strettissimi con l’Unione Europea. L’idea era di vedere, dati alla mano (parliamo di informazioni a livello di singola azienda tra il 2013 e il 2019), come il referendum del 2016 abbia scosso la TFP delle imprese gallesi. E, ve lo anticipo, le notizie non sono entusiasmanti.

L’impatto dell’incertezza Brexit sulla produttività gallese

I ricercatori hanno usato metodi statistici piuttosto sofisticati (OLS, effetti fissi, analisi IV, per i più curiosi) e il risultato è stato chiaro: l’incertezza legata alla Brexit ha indebolito significativamente la crescita della TFP per le aziende in Galles. È come se, di fronte a un futuro nebuloso, molte imprese avessero tirato i remi in barca, riducendo investimenti e innovazione. Un po’ come quando devi fare un lungo viaggio in auto ma la strada è piena di nebbia: rallenti, diventi più cauto, e magari rimandi qualche deviazione interessante che avevi pianificato.

Non solo: l’impatto non è stato uguale per tutti. Le aziende situate nel Galles del Sud e quelle con caratteristiche più “orientate all’UE” (magari perché esportavano molto verso i Paesi membri o dipendevano da fornitori europei) hanno subito il colpo più duro. Questo ci dice che la geografia e il tipo di business contano, eccome!

Un grafico stilizzato che mostra una linea di trend della produttività aziendale in discesa dopo un evento marcato come 'Brexit', con piccole figure di lavoratori preoccupati sullo sfondo. Macro lens, 80mm, high detail, precise focusing, controlled lighting, colori spenti per indicare difficoltà.

Ma perché questo calo? Lo studio ha indagato anche i meccanismi dietro a questa frenata. E qui le cose si fanno ancora più interessanti.

I canali del contagio: commercio, investimenti e immigrazione

Sono stati identificati tre canali principali attraverso cui la Brexit ha, diciamo così, “scoraggiato” la TFP in Galles:

  • Barriere commerciali aggiuntive: La fine del libero scambio con l’UE ha significato più burocrazia, possibili dazi, controlli doganali. Per un’azienda che commercia molto con l’Europa, è come trovarsi improvvisamente a correre con dei pesi alle caviglie. La teoria economica ci insegna che un commercio aperto permette alle aziende di sfruttare economie di scala, accedere a input più economici e diversificati, e facilita la diffusione di tecnologia. La Brexit, in questo senso, ha remato contro.
  • Flusso di Investimenti Diretti Esteri (IDE) in calo: Gli IDE portano con sé non solo capitali, ma anche know-how manageriale, trasferimenti tecnologici e stimoli alla ricerca e sviluppo. L’incertezza post-Brexit ha reso il Regno Unito, e quindi anche il Galles, una meta meno attraente per gli investitori esteri. Meno investimenti significano meno innovazione e, di conseguenza, una TFP che fatica a crescere.
  • Minore immigrazione internazionale: L’immigrazione, specialmente quella qualificata, porta competenze, formazione e un contributo sproporzionato all’innovazione. La Brexit ha imposto restrizioni all’immigrazione dall’UE, e considerando che i lavoratori migranti UE costituivano una fetta importante della forza lavoro migrante in Galles (circa il 72%!), l’impatto si è fatto sentire. Meno talenti disponibili possono tradursi in una minore capacità di innovare e migliorare l’efficienza.

Quindi, non si tratta solo di un “sentimento” negativo, ma di ostacoli concreti che hanno impattato la capacità delle aziende di produrre in modo efficiente.

Un confronto con la Bretagna: due regioni simili, destini diversi?

Per rendere l’analisi ancora più solida, i ricercatori hanno fatto un confronto interessante. Hanno preso le aziende gallesi e le hanno paragonate a quelle della Bretagna, una regione francese con caratteristiche economiche e industriali molto simili al Galles (entrambe periferiche, con forte legame con l’UE, strutture industriali simili, ecc.). Usando una tecnica chiamata PSM-DID, hanno sostanzialmente confrontato l’andamento della TFP nelle due regioni prima e dopo il referendum. E indovinate un po’? I risultati hanno confermato quelli dell’analisi sul solo Galles: la Brexit ha avuto un effetto negativo specifico sulle imprese gallesi rispetto alle loro “cugine” bretoni, che invece sono rimaste all’interno dell’ombrello protettivo dell’UE.

Due mappe stilizzate affiancate, una del Galles e una della Bretagna, con frecce che indicano flussi commerciali e di investimento. La mappa del Galles mostra frecce interrotte o ridotte verso l'UE, mentre quella della Bretagna mostra flussi fluidi. Wide-angle, 20mm, sharp focus, colori vivaci per la Bretagna e più spenti per il Galles.

Non tutte le aziende sono uguali: l’eterogeneità dell’impatto

Come accennavo prima, l’impatto non è stato uniforme. Lo studio ha evidenziato una significativa eterogeneità spaziale e aziendale. Le imprese nel Galles del Sud, un’area economicamente più dinamica e con forti legami con l’UE, hanno sofferto di più. Questo perché, probabilmente, erano più esposte ai cambiamenti nelle relazioni commerciali e di investimento. Pensate alla regione di Cardiff, un importante hub economico: è chiaro che le ripercussioni qui si siano sentite maggiormente.

Allo stesso modo, le aziende con una quota maggiore di vendite verso l’UE, quelle con una percentuale più alta di lavoratori provenienti dall’UE o quelle di proprietà di soggetti UE hanno registrato un calo più marcato della TFP. È logico: se il tuo mercato principale o la tua catena di approvvigionamento sono fortemente legati all’Europa, ogni ostacolo aggiuntivo pesa di più.

Cosa ci insegna questa storia? Implicazioni politiche

Questa ricerca, amici, non è solo un esercizio accademico. Ha implicazioni molto concrete. Ci dice che le decisioni politiche di vasta portata come la Brexit possono avere effetti profondi e differenziati sulla “salute” delle imprese a livello locale. Per il Galles, significa che i responsabili politici dovrebbero:

  • Prendere atto dell’evidenza: Bisogna guardare in faccia la realtà degli impatti, considerando anche gli effetti a lungo termine e come questi si sommano ad altri shock (pensiamo alla pandemia o ai conflitti geopolitici).
  • Misure mirate: Servono politiche per migliorare la resilienza economica e l’ambiente imprenditoriale in Galles. Si parla di sgravi fiscali e sussidi mirati, incentivi all’innovazione, investimenti nella formazione, espansione dei programmi di finanziamento UE (dove possibile) e riduzione della burocrazia commerciale per le PMI, specialmente quelle con forti legami con l’UE.
  • Focus sul Galles del Sud: Data la maggiore vulnerabilità di questa area, servirebbe un’attenzione particolare alle performance aziendali, allo stato finanziario e alla resilienza delle imprese locali, fornendo assistenza aggiuntiva.
  • Diversificare e attrarre: È cruciale ottimizzare la struttura industriale gallese e attrarre investitori internazionali, soprattutto da Paesi non UE, per ridurre i rischi legati all’instabilità delle relazioni economiche tra Regno Unito ed Europa. Tentativi come l’attrazione di stabilimenti Hitachi o fabbriche di semiconduttori da Taiwan vanno in questa direzione, portando nuove risorse e, si spera, aumentando la competitività.

Insomma, la storia della Brexit e della produttività gallese è un monito: le grandi scelte hanno conseguenze complesse e spesso dolorose a livello locale. Capirle a fondo è il primo passo per cercare di mitigarle e costruire un futuro economico più solido. E questo, credo, interessa un po’ a tutti noi, no?

Fonte: Springer

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