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Emorragie Cerebrali e Alzheimer: I Codici Diagnostici Sono Nostri Alleati o Ci Traggono in Inganno?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento un po’ tecnico ma super importante, soprattutto con le nuove terapie per l’Alzheimer che stanno finalmente vedendo la luce. Come sapete, o forse no, sono sempre affascinato da come la medicina e la tecnologia si intrecciano per migliorare la vita dei pazienti. Ebbene, c’è un “dietro le quinte” fatto di codici, database e analisi che è fondamentale per capire cosa succede nel mondo reale, fuori dagli studi clinici perfettini.

Mi sono immerso in uno studio che ha cercato di capire quanto possiamo fidarci dei sistemi di codifica diagnostica, in particolare i famosi codici ICD-10, per scovare eventi di emorragia intracerebrale (ICH) non traumatica in una popolazione particolare: i veterani con deterioramento cognitivo lieve (MCI) o demenza di Alzheimer. Perché proprio loro? Beh, con l’arrivo delle terapie anti-amiloide, la sorveglianza attenta per le emorragie cerebrali, note anche come ARIA-H (Anomalie di Imaging Correlate all’Amiloide – Emorragiche), è diventata cruciale. E l’Alzheimer stesso è spesso associato all’angiopatia amiloide cerebrale (CAA), che di per sé aumenta il rischio di sanguinamenti. Insomma, un bel groviglio!

La nostra missione: capire se i codici diagnostici ci danno una mano

L’idea di base era: questi codici che gli ospedali usano per registrare le diagnosi, sono abbastanza accurati da permetterci di monitorare le emorragie cerebrali in questi pazienti? Immaginate la mole di dati nel sistema sanitario dei Veterani negli Stati Uniti (VAHS), un sistema enorme che assiste milioni di persone. Se i codici funzionano bene, avremmo uno strumento potente per la sorveglianza su larga scala.

Quindi, ci siamo posti due domande principali:

  • Quanto sono precisi i codici ICD-10 nell’identificare un’emorragia intracerebrale non traumatica in pazienti con MCI e Alzheimer?
  • Possiamo usare questi codici anche per capire dove nel cervello è avvenuta l’emorragia e magari anche perché (l’eziologia, per usare un termine tecnico)?

In più, volevamo dare un’occhiata anche al rovescio della medaglia: quante volte un’emorragia cerebrale acuta, documentata chiaramente nelle note di dimissione dei medici, riceve poi il codice ICD-10 corretto nel database amministrativo? Una sorta di controllo di qualità al contrario.

Come ci siamo mossi: uno sguardo dietro le quinte della ricerca

Per prima cosa, abbiamo setacciato il database amministrativo del VAHS alla ricerca di pazienti con diagnosi di MCI o Alzheimer che avevano avuto un ricovero ospedaliero con un codice ICD-10 per emorragia intracerebrale non traumatica come diagnosi principale o in prima posizione nella lista delle diagnosi di dimissione. Questo è importante perché ci aiuta a concentrarci sugli eventi acuti, quelli che hanno portato al ricovero.

Da questo gruppone, abbiamo selezionato a caso 200 pazienti. Qui è iniziato il lavoro certosino: un geriatra e un farmacoepidemiologo (sì, figure con competenze diverse per una visione più completa!) si sono messi a leggere le note di dimissione di questi 200 pazienti. L’obiettivo? Confermare se l’emorragia c’era stata davvero, dove si era localizzata e se si capiva la causa. Le note cliniche erano il nostro “gold standard”, la verità sul campo.

Poi, per quella famosa “prova del nove” al contrario, abbiamo cercato nelle note di dimissione casi di emorragia intracerebrale acuta confermata, usando parole chiave come ‘ICH’ o ‘emorragia intracerebrale’. Ne abbiamo identificati 25 e poi siamo andati a vedere se nel database amministrativo questi casi avevano il codice ICD-10 corrispondente. Ah, una precisazione importante: abbiamo fatto attenzione a escludere pazienti che stavano ricevendo terapie anti-amiloide, per non confondere le acque con le ARIA indotte da farmaci.

Un medico o un ricercatore che esamina attentamente una scansione cerebrale su un monitor ad alta definizione, con codici ICD-10 sovrapposti digitalmente. Luce soffusa da ufficio, obiettivo prime da 35mm, profondità di campo per mettere a fuoco il monitor e sfocare leggermente lo sfondo.

I pazienti nel nostro campione primario (i 200 selezionati dai codici) avevano un’età media di circa 76 anni, erano prevalentemente uomini (come spesso accade nella popolazione dei veterani) e con una buona rappresentanza di diverse etnie. Le comorbidità più comuni? Ipertensione, malattie cerebrovascolari e diabete. Quasi la metà aveva avuto un ictus in passato. Il quadro, insomma, è quello di pazienti con una salute già un po’ compromessa.

I risultati: luci e ombre dei codici ICD-10

Allora, cosa abbiamo scoperto? Partiamo dalle buone notizie. Su 200 pazienti identificati tramite i codici ICD-10, la revisione manuale delle cartelle ha confermato la presenza di un’emorragia intracerebrale acuta in 161 casi. Questo ci dà un valore predittivo positivo (PPV) dell’80.5%. Non male, vero? Significa che 4 volte su 5, se il codice dice “emorragia”, l’emorragia c’è davvero. Per i 39 casi “falsi positivi” (codice presente, ma emorragia assente nelle note), in 25 si trattava comunque di altri eventi neurologici seri, come ictus ischemico o crisi epilettiche. Solo in 14 casi non c’era traccia di eventi neurologici nelle note di dimissione.

E la localizzazione dell’emorragia? Quando i codici ICD-10 specificavano una localizzazione (cosa che accadeva in 110 dei nostri 200 casi), abbiamo trovato che le descrizioni nelle note di dimissione erano coerenti con il codice nel 71.8% dei casi. Anche questo è un PPV accettabile, ci dice che i codici possono dare indicazioni utili su dove sia avvenuto il danno.

Ora, le note dolenti. Capire l’eziologia, cioè la causa scatenante dell’emorragia, solo basandosi sui codici si è rivelato molto difficile. Le note di dimissione stesse spesso non entravano nei dettagli sulla causa, e i codici ICD per l’ICH non sono pensati per distinguere le cause sottostanti (ad esempio, se è legata all’ipertensione o all’angiopatia amiloide). Solo in 56 casi le note di dimissione davano qualche dettaglio eziologico, e solo in 12 questi combaciavano con una nostra classificazione “a priori” basata sui codici.

Passiamo all’altro lato della medaglia: i 25 casi di emorragia acuta identificati partendo dalle note cliniche. Qui, solo 8 avevano un codice ICD-10 corrispondente per emorragia intracerebrale non traumatica nel database amministrativo. Un po’ pochino, no? Negli altri 17 casi “mancanti” (i falsi negativi, per così dire), spesso c’erano codici per emorragie cerebrali traumatiche (magari il paziente era caduto *a causa* dell’emorragia, creando confusione?), o per altri tipi di sanguinamento cerebrale non specificati come ICH, o addirittura nessun codice per emorragia. Questo suggerisce che c’è un margine di miglioramento nel catturare tutti gli eventi.

Una visualizzazione astratta di dati medici digitali, con linee luminose che collegano punti dati su uno sfondo scuro, a simboleggiare la connessione tra codici diagnostici e cartelle cliniche. Macro lens 100mm, high detail, precise focusing, controlled lighting.

Cosa ci dicono questi numeri? Interpretazioni e riflessioni

Nel complesso, direi che questo studio ci dà fiducia sulla fattibilità e sulla validità del sistema di codifica ICD-10 per monitorare, registrare e segnalare la presenza di emorragie intracerebrali. Un PPV dell’80.5% è clinicamente significativo, paragonabile a quello che si vede nella popolazione generale, anche se forse un filino più basso. Questo potrebbe dipendere dalla complessità dei pazienti veterani, spesso con molte patologie preesistenti, inclusa l’Alzheimer, che potrebbero influenzare le pratiche di documentazione e codifica.

È interessante notare che, come in altri studi, quando un codice ICH era un “falso positivo”, spesso la causa era un altro evento neurologico, soprattutto un ictus ischemico. E quando un’emorragia documentata non aveva il codice ICH corretto (falso negativo), era frequentemente codificata come emorragia traumatica o altro evento cerebrovascolare. Questo fa pensare che a volte la distinzione tra cause e la scelta del codice più appropriato in situazioni complesse possa essere una sfida.

Una cosa che il nostro studio ha evidenziato in modo particolare è che le emorragie acute non traumatiche, chiaramente descritte nelle note di dimissione, non sempre vengono “catturate” dai codici ICD-10 specifici per ICH. A volte, come dicevo, vengono usati codici per emorragie traumatiche, altre volte per sanguinamenti generici, e in quasi un quarto dei casi “mancanti” non c’era proprio nessun codice per emorragia cerebrale. Questo potrebbe significare che sanguinamenti più piccoli o microemorragie a volte non vengono codificati, sottolineando l’importanza di una revisione manuale per cogliere queste sfumature.

Limiti dello studio e prospettive future: la strada è ancora lunga

Certo, ogni studio ha i suoi limiti. Uno dei problemi dei codici ICD-10 è che non distinguono tra eventi acuti ed eventi pregressi. Noi abbiamo cercato di ovviare usando i codici principali o in prima posizione, che più probabilmente si riferiscono a eventi acuti. Inoltre, anche se i codici per ICH non traumatico dovrebbero catturare emorragie spontanee, nella pratica clinica districare la catena di cause ed effetti può essere complicato. Un paziente potrebbe avere un’emorragia, cadere, e venire codificato con un’emorragia traumatica.

Un’altra limitazione è che la dimensione dell’emorragia, clinicamente molto rilevante, non è catturata dai codici ICD. E poi, diciamocelo, l’affidabilità tra i revisori per la localizzazione e l’eziologia non era altissima (i valori Kappa erano bassini), in parte perché queste sono spesso aree clinicamente meno definite o documentate.

Abbiamo incluso pazienti con MCI “per tutte le cause” perché non esiste un codice ICD specifico per “MCI dovuto ad Alzheimer”. Sappiamo che circa la metà dei casi di MCI è dovuta all’Alzheimer, e non abbiamo escluso pazienti con altre forme di demenza concomitanti, perché la loro presenza non precluderebbe l’uso delle terapie anti-amiloide.

Infine, è importante ricordare che i risultati ottenuti nel sistema VAHS potrebbero non essere generalizzabili a popolazioni non di veterani, a causa di possibili differenze nelle caratteristiche dei pazienti, nelle pratiche cliniche e nei sistemi di codifica.

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In conclusione: un sistema utile, ma perfettibile

Tirando le somme, penso che possiamo dire che il sistema di codifica ICD-10 è uno strumento ragionevolmente valido per identificare la presenza di emorragie intracerebrali acute in pazienti con deterioramento cognitivo lieve o Alzheimer. Anche per la localizzazione, se specificata nel codice, ci si può fidare abbastanza. Certo, per capire la causa siamo ancora lontani, ma come punto di partenza per una segnalazione iniziale, il sistema offre una base solida.

Il fatto che non tutte le emorragie documentate nelle cartelle ricevano il codice ICD-10 corretto ci dice che c’è spazio per migliorare, magari con linee guida più chiare, formazione specifica e una maggiore standardizzazione delle pratiche cliniche e di codifica. Con l’avvento delle terapie anti-amiloide, poter distinguere chiaramente tra eventi ICH acuti e pregressi, anche in ambito ambulatoriale, diventerà sempre più importante per una sorveglianza tempestiva. E chissà, magari le future revisioni dei codici ICD includeranno anche componenti eziologiche, rendendo questo strumento ancora più potente per noi ricercatori e, soprattutto, per la cura dei pazienti.

Insomma, la strada per una sorveglianza perfetta è ancora lunga, ma abbiamo degli strumenti che, se usati con consapevolezza dei loro limiti e potenzialità, possono già darci una grossa mano!

Fonte: Springer

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