Fotografia realistica, stile documentario, di un gruppo misto di operatori sanitari e cittadini ugandesi durante una sessione di formazione sulla salute comunitaria all'aperto. Obiettivo zoom 24-70mm, luce naturale, espressioni attente e partecipative.

Ictus in Uganda: Un Allarme Silenzioso? Pochi Conoscono i Sintomi Vitali (BE-FAST)

Ragazzi, parliamoci chiaro: l’ictus è una cosa seria, serissima. È una delle principali cause di disabilità e morte nel mondo, e il tempo, in questi casi, è letteralmente cervello. Più velocemente si riconoscono i sintomi e si interviene, maggiori sono le possibilità di limitare i danni. Proprio per questo, sono stati sviluppati acronimi facili da ricordare come il FAST (Face, Arm, Speech, Time) e la sua versione più completa, il BE-FAST (Balance, Eyes, Face, Arm, Speech, Time), per aiutare chiunque a identificare un possibile ictus in corso.

Mi sono imbattuto in uno studio recente condotto in Uganda, presso due dei suoi principali ospedali di riferimento per l’ictus, e quello che ho scoperto mi ha lasciato un po’ basito. Lo studio voleva capire quanto fossero conosciuti i segnali d’allarme dell’ictus, riassunti proprio nell’acronimo BE-FAST, sia tra chi si prende cura dei pazienti colpiti da ictus (i cosiddetti “caretaker” o caregiver) sia tra gli operatori sanitari di primo contatto (infermieri, medici interni, ecc.). E, cosa fondamentale, volevano vedere se la conoscenza di questi segnali da parte dei caregiver influenzasse la velocità con cui i pazienti arrivavano in ospedale.

Cos’è il BE-FAST e Perché è Cruciale?

Prima di addentrarci nei risultati, rinfreschiamoci la memoria su cosa significa BE-FAST. È un modo semplice per ricordare i campanelli d’allarme principali dell’ictus:

  • B (Balance): Perdita improvvisa di equilibrio o coordinazione.
  • E (Eyes): Problemi improvvisi alla vista, da uno o entrambi gli occhi.
  • F (Face): Un lato del viso che cede o è intorpidito. Chiedere alla persona di sorridere aiuta a notarlo.
  • A (Arm): Debolezza o intorpidimento di un braccio. Chiedere di alzare entrambe le braccia permette di vedere se una “cade”.
  • S (Speech): Difficoltà nel parlare o nel comprendere. Linguaggio confuso o biascicato.
  • T (Time): Tempo! Se si nota uno qualsiasi di questi sintomi, bisogna chiamare immediatamente i soccorsi. Il tempo è essenziale.

Questo strumento è pensato per essere semplice e veloce, perché ogni minuto conta. Ma quanto è realmente conosciuto dove serve di più?

La Situazione in Uganda: Operatori Sanitari e Caregiver

E qui arrivano le note dolenti dello studio ugandese. Hanno intervistato 60 operatori sanitari di primo contatto e 60 caregiver (poi ridotti a 50 per analisi statistiche, escludendo chi aveva un livello di istruzione molto basso).

Tra gli operatori sanitari (HCPs):
Beh, tenetevi forte: solo un terzo (33,3%) di loro aveva familiarità con l’algoritmo BE-FAST. Avete capito bene, solo 20 su 60. E di questi 20, solo la metà (10 persone) conosceva effettivamente tutti e sei i componenti dell’acronimo, dimostrando una conoscenza “forte”. Gli altri ne conoscevano 3 o 4 (conoscenza moderata) o solo 2 (conoscenza scarsa).
La cosa interessante è che la maggior parte di chi conosceva il BE-FAST aveva avuto un’esposizione durante gli studi universitari. Questo suggerisce quanto sia fondamentale integrare questi strumenti nei percorsi formativi fin dall’inizio. Ancora più significativo: chi aveva ricevuto una formazione specifica sugli algoritmi di riconoscimento dell’ictus (come BE-FAST o FAST) aveva una conoscenza significativamente più forte. Peccato che fossero solo 6 su 60 in totale ad averla ricevuta!

Tra i caregiver (PCs):
Qui la situazione è ancora più preoccupante. Nessuno. Zero. Nemmeno uno dei 50 caregiver analizzati conosceva o aveva mai sentito parlare dell’algoritmo BE-FAST, indipendentemente dal loro livello di istruzione (che per la maggioranza si fermava alla scuola secondaria). Questa è una scoperta che fa riflettere profondamente.

Fotografia realistica di un operatore sanitario ugandese, forse un medico interno, con uno sguardo pensieroso in un corridoio d'ospedale poco affollato. Obiettivo prime 35mm, bianco e nero, profondità di campo ridotta per isolare il soggetto.

Le Conseguenze: Ritardi Fatali

Se chi assiste una persona colpita da ictus non ne riconosce i sintomi, cosa succede? Semplice: si perde tempo prezioso. E lo studio lo conferma: la metà (50%) dei caregiver ha portato i propri pazienti in ospedale oltre 24 ore dopo l’ultimo momento in cui stavano bene. Addirittura, molti arrivavano tra i 2 e i 5 giorni dopo! Solo un paziente è arrivato entro le fatidiche 4,5 ore, la finestra temporale cruciale per alcuni trattamenti come la trombolisi.

Questi tempi sono drammaticamente lunghi se confrontati con quelli dei paesi ad alto reddito, dove la mediana tra l’insorgenza dei sintomi e l’arrivo in ospedale è di circa 140-144 minuti. In Africa, purtroppo, i ritardi pre-ospedalieri sono un problema noto, con tempi mediani che si aggirano intorno alle 31 ore.

Non potendo correlare la conoscenza del BE-FAST (che era inesistente tra i caregiver) con i tempi di arrivo, lo studio ha però notato un altro fattore interessante: i caregiver che si trovavano ad assistere un paziente con ictus per la prima volta erano significativamente associati ad arrivi più tardivi (oltre le 24 ore). L’inesperienza, unita alla giovane età di molti caregiver, potrebbe aver contribuito a sottovalutare l’urgenza della situazione.

Mancanza di Interesse o Problemi Strutturali?

Una delle cose che mi ha colpito di più è stata la reazione dei caregiver quando interrogati sulla loro (mancanza di) conoscenza. Sorprendentemente, la maggior parte non ha espresso interesse ad approfondire la conoscenza dei segnali d’allarme come quelli del BE-FAST. Perché? Hanno citato problemi più grandi e apparentemente insormontabili, come la mancanza di mezzi di trasporto immediati e le lunghe distanze per raggiungere ospedali attrezzati per trattare l’ictus. In pratica, pensavano che anche sapendo riconoscere subito i sintomi, non sarebbero comunque riusciti ad arrivare in tempo.

Questa è una prospettiva scoraggiante e diversa da quella osservata in altri contesti, dove la consapevolezza della propria ignoranza spinge le persone a volerne sapere di più. È un chiaro segnale che, oltre all’educazione, servono interventi strutturali sui trasporti e sull’accesso alle cure.

Cosa Possiamo Imparare? Le Raccomandazioni

Questo studio, pur con i suoi limiti (come il possibile bias di selezione dei partecipanti o l’autovalutazione delle risposte), lancia un messaggio forte e chiaro. La conoscenza degli strumenti di riconoscimento rapido dell’ictus come il BE-FAST è drammaticamente bassa in Uganda, sia tra chi dovrebbe essere formato (gli operatori sanitari di primo contatto) sia tra chi è in prima linea nell’assistenza (i caregiver).

Le raccomandazioni degli autori sono nette:

  • Educare il pubblico: Bisogna raggiungere la popolazione generale con campagne informative sui segnali d’allarme dell’ictus, usando i mass media, programmi di sensibilizzazione nelle comunità e, fondamentale, utilizzando i dialetti locali comprensibili a tutti. Slogan semplici come “Time is Brain” (Tempo è Cervello), usati con successo altrove, potrebbero essere adattati.
  • Formare gli operatori sanitari: È cruciale integrare moduli strutturati sul riconoscimento e la gestione dell’ictus acuto nei curricula di medici, infermieri e paramedici, sia a livello universitario che post-laurea. Questo aiuterebbe a ridurre i ritardi legati al sistema sanitario stesso.

Immagine realistica di un gruppo diversificato di persone in una comunità rurale ugandese che partecipa a un incontro informativo sulla salute all'aperto, con un operatore che indica un cartellone con simboli semplici relativi ai sintomi dell'ictus. Obiettivo zoom 100-400mm per catturare l'interazione a distanza, luce naturale del tardo pomeriggio.

Insomma, la strada è in salita. Questo studio ugandese ci ricorda quanto sia vitale non dare per scontata la conoscenza medica, nemmeno quella di base come riconoscere un ictus. C’è un enorme bisogno di formazione e informazione mirata, adattata al contesto locale, per dare a tutti la possibilità di agire rapidamente e salvare vite. Un lavoro che richiede impegno a tutti i livelli, dalla politica sanitaria alla singola comunità.

Fonte: Springer

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