Ictus e Multitasking: Quando il Cervello Va in Tilt (e Nessuno se ne Accorge)
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di una cosa affascinante e un po’ subdola che riguarda il nostro cervello, specialmente dopo un evento traumatico come un ictus. Sappiamo tutti che l’ictus può lasciare segni evidenti, ma cosa succede quando i problemi sono più nascosti, quasi invisibili ai test tradizionali? E se vi dicessi che c’è un modo per “stanare” questi problemi mettendo semplicemente il cervello un po’ sotto stress? Sembra quasi un trucco da detective, vero? Beh, seguitemi in questa scoperta.
Il Problema: Deficit Nascosti Dopo l’Ictus
L’ictus, purtroppo, è una delle principali cause di morte e disabilità nel mondo. Chi sopravvive, circa il 50%, spesso si porta dietro conseguenze significative. La ricerca si è concentrata molto sui deficit comportamentali più evidenti e sulle lesioni cerebrali associate, il che è fondamentale per la riabilitazione. Ma c’è una fetta importante di sopravvissuti che sembra cavarsela con conseguenze minori, o almeno così pare. Il confine tra chi sta “bene” e chi ha qualche strascico sta diventando sempre più sfumato, anche grazie ai progressi nelle cure precoci come la trombolisi.
Il punto è: come facciamo a capire davvero chi ha superato l’ostacolo e chi, invece, ha ancora qualche difficoltà latente, magari pronta a saltar fuori nei momenti meno opportuni? Qui entra in gioco la “risoluzione” con cui valutiamo i deficit. I classici test “carta e matita”, per quanto utili, a volte non colgono le sfumature.
La Lente d’Ingrandimento: il Multitasking
E se vi dicessi che una delle chiavi per svelare questi deficit nascosti è qualcosa che facciamo (o cerchiamo di fare) tutti i giorni? Esatto, sto parlando del multitasking! Il nostro cervello ha una capacità limitata di processare informazioni. Quando gli chiediamo di fare più cose contemporaneamente, le prestazioni tendenzialmente calano. Pensate a quando cercate di ascoltare una persona mentre leggete un messaggio al telefono: qualcosa si perde, no?
Questo fenomeno è ben noto in psicologia. Esistono dei veri e propri “colli di bottiglia” nel flusso di informazioni cerebrali. Se il cervello è già un po’ acciaccato da una lesione, come dopo un ictus, l’impatto del multitasking può essere devastante, esacerbando sintomi in vari ambiti, dal motorio al cognitivo. In pratica, il multitasking può “distrarre” le risorse attentive che normalmente usiamo per compensare piccole difficoltà, facendole emergere in tutta la loro evidenza.
Ecco l’idea geniale: usare il multitasking come una sorta di “stress test” per il cervello. Se un deficit c’è, anche se piccolo, farlo lavorare su più fronti contemporaneamente lo farà venire a galla. Questa “suscettibilità al multitasking” potrebbe essere una firma cruciale dell’esito di un ictus.
Lo Studio: Mettere alla Prova i Pazienti
Dei ricercatori hanno messo insieme un gruppo di 46 pazienti che avevano avuto un ictus (subacuto o cronico) da un solo lato del cervello. Importante: questi pazienti, secondo i test neuropsicologici standard “carta e matita” (come il Behavioral Inattention Test, BIT), non mostravano segni di disturbi dell’attenzione spaziale lateralizzata, come il neglect (quella condizione in cui si ignora una parte dello spazio).
A questi pazienti è stato proposto un compito computerizzato. Immaginate di dover dire da che parte dello schermo (destra, sinistra, o entrambe) appare un puntino per una frazione di secondo. Questo era il compito principale, di monitoraggio spaziale.
Poi, la “magia”:
- Compito Singolo (Single Task, ST): Dovevano fare solo quello. Facile, no?
- Doppio Compito Visivo (Visual Dual Task, VDT): Mentre monitoravano i puntini, dovevano anche identificare una forma (quadrato, cerchio, triangolo) che appariva al centro dello schermo.
- Doppio Compito Uditivo (Auditory Dual Task, ADT): Stessa cosa dei puntini, ma in più dovevano riconoscere un suono (fischio del treno, martello, campanello) sentito in cuffia.
Notate bene: la stimolazione sensoriale era identica in tutte le condizioni. Cambiava solo la richiesta, il “carico” mentale. La differenza di performance tra compito singolo e doppio compito è la misura perfetta della suscettibilità al multitasking.

I Risultati: Due “Squadre” Ben Distinte
Analizzando i dati, è emerso qualcosa di sorprendente. I pazienti si sono divisi nettamente in due gruppi, come se ci fossero due “fenotipi” comportamentali:
- Cluster 1 (C1): Circa il 67% dei pazienti. Questi se la cavavano alla grande, con prestazioni quasi perfette in tutte le condizioni. Bravi loro!
- Cluster 2 (C2): Il restante 33%. Qui la storia cambia. Questi pazienti mostravano un chiaro deficit di consapevolezza per gli stimoli presentati nello spazio controlaterale alla lesione (cioè, se la lesione era a destra, ignoravano gli stimoli a sinistra, e viceversa). Una sorta di neglect “nascosto”.
La cosa pazzesca è che questo deficit nel gruppo C2 emergeva principalmente durante il multitasking! Nel compito singolo, andavano relativamente bene (media sopra il 62% di risposte corrette per gli stimoli controlaterali). Ma quando dovevano fare due cose insieme (VDT o ADT), la loro capacità di rilevare gli stimoli controlaterali crollava drasticamente, fino al 22% di risposte corrette! Era come se le risorse attentive, impegnate nel secondo compito, non fossero più disponibili per “vedere” quella parte di spazio. E non importava se il secondo compito fosse visivo o uditivo: l’effetto era lo stesso, suggerendo il coinvolgimento di un sistema di ordine superiore, non legato alla singola modalità sensoriale.
Questi pazienti del gruppo C2, inoltre, avevano prestazioni peggiori nei test che valutano le attività della vita quotidiana (come il KF-NAP, che misura l’impatto dei deficit di consapevolezza spaziale in situazioni ecologiche) e in test di abilità dominio-generali. Quindi, questa “suscettibilità al multitasking” non è una sottigliezza da laboratorio, ma ha un impatto reale sulla vita di tutti i giorni. Curiosamente, i due gruppi non differivano per volume della lesione cerebrale, ma i pazienti C2 erano significativamente più anziani.
Il Cervello Sotto Scacco: Il “Multiple-Demand System”
Ma cosa succede nel cervello di questi pazienti C2? Grazie a tecniche di mappatura cervello-comportamento basate sulla localizzazione delle lesioni e sulle disconnessioni strutturali, i ricercatori hanno puntato il dito contro il Multiple-Demand System (MDS). Si tratta di una rete di aree frontali e fronto-parietali che si attiva per una vasta gamma di compiti cognitivi, una specie di “coltellino svizzero” del cervello che gestisce processi dominio-generali, come l’attenzione e il controllo cognitivo.
Le lesioni più predittive della suscettibilità al multitasking si trovavano nella materia bianca frontale dell’emisfero destro, estendendosi all’opercolo frontale inferiore, all’insula e alla circonvoluzione precentrale. Queste aree sono più anteriori rispetto a quelle tipicamente associate al neglect conclamato (come il lobulo parietale inferiore). Sembra che un danno a questa rete MDS possa interagire criticamente con i processi specifici di un dominio (come quelli visuospaziali), portando a deficit sottili ma invalidanti.
Le analisi delle disconnessioni strutturali (cioè, quali “cavi” sono stati tagliati dalla lesione) hanno ulteriormente chiarito il quadro. I danni più predittivi coinvolgevano:
- La radiazione talamica anteriore (ATR), che collega aree prefrontali e sottocorticali ed è implicata nei processi strategici e nella velocità di elaborazione.
- Il fascicolo longitudinale superiore II (SLF II), noto per il suo ruolo nella consapevolezza spaziale; un suo danno predice bene la presenza di neglect.
- Importanti disconnessioni interemisferiche attraverso il corpo calloso e la commissura frontale.
In pratica, non è solo la lesione in sé, ma l’interruzione della comunicazione tra aree cruciali (quelle del MDS e quelle specifiche per la visione spaziale) a causare il problema quando il sistema è sotto stress.

Cosa Ci Portiamo a Casa?
Questo studio è una vera perla. Ci dice che paradigmi computerizzati che sfruttano il multitasking possono scovare deficit sottili anche in pazienti con ictus cronico che sembrano “a posto”. Questi test, basati sulla nostra conoscenza dei limiti del cervello, possono essere somministrati anche in formati brevi (tipo 10 minuti!) e, cosa importantissima, colgono meglio le difficoltà che i pazienti possono incontrare nella vita di tutti i giorni, dove il multitasking è la norma.
Il concetto di “suscettibilità al multitasking” è promettente. Ci aiuta a capire meglio cosa segna il passaggio, dopo un danno cerebrale, a deficit clinicamente visibili. È come se ci mostrasse una “zona cuscinetto” in cui il danno cerebrale può o non può tradursi in problemi significativi, a seconda di una miriade di fattori contestuali. E questo, amici miei, apre nuove strade per personalizzare i trattamenti e magari aiutare i pazienti in questa “zona grigia” a potenziare le loro risorse cognitive generali.
Insomma, la prossima volta che vi sentite sopraffatti dal multitasking, pensate che state mettendo il vostro cervello sotto un bello “stress test”. E per chi ha avuto un ictus, capire questa dinamica potrebbe fare una grande differenza. Non è affascinante come la scienza ci aiuti a svelare i misteri più reconditi del nostro organo più complesso?
Fonte: Springer
