IA Sostenibile: E Se Ascoltassimo le Donne Africane? Un’Etica per il Futuro
Ciao a tutti! Oggi parliamo di un argomento che mi sta particolarmente a cuore: l’Intelligenza Artificiale. Siamo bombardati da notizie sui suoi progressi incredibili, sulle sue potenzialità di cambiare il mondo, magari anche per uno sviluppo più sostenibile. Ma, come spesso accade, c’è un lato della medaglia che rischia di rimanere nell’ombra. Mi riferisco all’impatto ambientale e sociale che l’IA porta con sé, un impatto che non è uguale per tutti.
Il Costo Nascosto dell’IA: Chi Paga il Prezzo?
Mentre discutiamo di algoritmi, bias, privacy e superintelligenze, ci dimentichiamo troppo spesso della materialità dell’IA. Questa tecnologia non vive nell’etere: ha bisogno di infrastrutture enormi, di minerali estratti da qualche parte, di energia, e produce rifiuti elettronici (e-waste). E indovinate un po’? Molti di questi costi ambientali e sociali ricadono pesantemente su alcune aree del mondo, in particolare sull’Africa. E, ancora più nello specifico, sulle donne africane.
È pazzesco pensare che, mentre l’Europa, la Cina, il Brasile e gli USA iniziano a regolamentare l’IA, le narrative etiche, le percezioni e i principi provenienti dal Sud del mondo, specialmente dall’Africa, siano quasi del tutto assenti dal dibattito globale. Come sottolinea Birhane, c’è un vuoto epistemico da colmare. Non possiamo parlare di IA responsabile se ignoriamo le voci e le esperienze di chi vive sulla propria pelle le conseguenze meno “glamour” di questa rivoluzione tecnologica. L’Africa non è solo un continente da cui estrarre risorse, ma un luogo con proprie filosofie e prospettive etiche, come l’etica Ubuntu, che potrebbero arricchire enormemente la nostra comprensione.
Dall’IA “for good” all’IA Sostenibile: Ma Basta?
Recentemente si è iniziato a parlare di IA Sostenibile. L’idea è quella di andare oltre il semplice “usare l’IA per fare del bene” e iniziare a preoccuparsi della sostenibilità dell’IA stessa: il suo ciclo di vita, le emissioni di CO2 durante l’addestramento dei modelli (pensate che addestrare un singolo modello può inquinare come sei auto per tutta la loro vita!), il consumo d’acqua (una chiacchierata con ChatGPT può “bere” mezza bottiglia d’acqua!), e lo smaltimento dell’e-waste.
Tutto questo è fondamentale, certo. Ma l’approccio dell’IA Sostenibile, pur concentrandosi sulla giustizia ambientale, rischia di rimanere su una scala troppo macro. Non coglie le modalità specifiche, intime e spesso più acute con cui queste ingiustizie ambientali colpiscono le donne nel Sud del mondo, in particolare in Africa. Ed è qui che entra in gioco un’altra prospettiva cruciale.

L’Africa nel Ciclo di Vita dell’IA: Non Solo Materie Prime
Spesso l’Occidente vede l’Africa solo come un serbatoio di materie prime o un luogo “problematico”. Ma la realtà è più complessa. L’Africa è il maggior fornitore mondiale di minerali critici come litio, nichel, cobalto, grafite, manganese – tutti fondamentali per le infrastrutture tecnologiche, incluse quelle dell’IA (dai sistemi di raffreddamento agli storage, fino ai data center). Anche se non è chiaro quanto di questi minerali vada *esclusivamente* all’IA, è innegabile che l’IA, come parte essenziale della digitalizzazione, sia corresponsabile delle conseguenze della loro estrazione.
Ma non finisce qui. L’Africa è coinvolta anche nell’etichettatura dei dati (spesso sottopagata) che “allena” gli algoritmi che usiamo tutti i giorni. Pensateci: il riconoscimento facciale sul vostro telefono potrebbe essere stato “addestrato” da qualcuno in Africa orientale. Grandi aziende tech come Google, Microsoft, IBM stanno aprendo laboratori e data center nel continente.
E poi c’è la fine del ciclo: lo smaltimento dei rifiuti elettronici (e-waste). Si stima che circa l’80% dei rifiuti high-tech globali finisca in Asia e Africa, con Ghana e Nigeria tra le destinazioni principali. Il sito di Agbogbloshie in Ghana è tristemente noto come la più grande discarica di e-waste dell’Africa subsahariana. Capite bene che l’Africa è coinvolta in tutte le fasi del ciclo di vita dell’IA, non solo come fornitrice passiva. Per questo, un’etica dell’IA veramente globale *deve* includere le prospettive africane.
Etica Femminista Africana (FAE): Una Lente Indispensabile
Ed eccoci al cuore della questione: l’Etica Femminista Africana (FAE). È un campo affascinante e in evoluzione, che attinge sia dalle teorie femministe che dalle tradizioni filosofiche africane. La FAE critica sia il femminismo occidentale (spesso percepito come etnocentrico) sia le etiche tradizionali africane (che possono marginalizzare le donne) per creare un quadro più inclusivo. Riconosce l’intersezione tra genere, cultura, razza, classe e storia coloniale nel plasmare le esperienze uniche delle donne africane.
Un concetto centrale in molte culture africane, e quindi anche nella FAE, è la relazionalità e la comunità, spesso riassunto nell’etica Ubuntu (“Io sono perché noi siamo”). L’Ubuntu enfatizza l’importanza delle relazioni armoniose e della cura reciproca per il benessere collettivo. La FAE valorizza questo approccio comunitario, ma con due importanti distinguo:
- Primo: mette in luce come le strutture patriarcali presenti in molte società africane spesso definiscano e regolino i principi Ubuntu a vantaggio degli uomini, escludendo le voci e le esperienze delle donne.
- Secondo: problematizza come le donne siano ritenute più responsabili degli ideali Ubuntu, specialmente per quanto riguarda i doveri di cura, rispetto agli uomini. Questa “femminizzazione della cura” non solo è ingiusta, ma perpetua la subordinazione femminile.

La Cura Femminizzata e Sottovalutata: Un Fardello Invisibile
Il concetto di cura è fondamentale per l’Ubuntu. Mantenere relazioni comunitarie richiede atti di cura. Ci si aspetterebbe che tutti i membri della comunità fossero ugualmente responsabili. Ma non è così. A causa dell’ideologia patriarcale radicata, la cura (dei bambini, degli anziani, dei malati, della casa, della comunità) è considerata “lavoro da donne”. Questo lavoro, spesso svolto in aggiunta ad altre attività per la sussistenza, non viene riconosciuto come “vero” lavoro, non è retribuito e limita le opportunità economiche e di sviluppo personale delle donne.
Peggio ancora, nonostante la sua importanza vitale per la sopravvivenza della comunità, la cura viene spesso subordinata ad altre forme di etica considerate più “maschili”, come quella dei diritti o della giustizia. È vista come appartenente alla sfera privata, meno preziosa del lavoro svolto nello spazio pubblico o per la produzione economica. Questo sistema non solo sfrutta il lavoro di cura delle donne, ma rafforza la loro dipendenza economica e vulnerabilità.
L’Impatto Amplificato su Donne e Ambiente
Ora colleghiamo tutto questo all’IA sostenibile. La FAE ci offre una lente potentissima per capire come le crisi ambientali legate all’IA (estrazione mineraria, e-waste) colpiscano in modo sproporzionato proprio le donne africane, specialmente quelle nelle aree rurali. Perché?
- Dipendenza dall’ambiente: Molte donne africane rurali dipendono direttamente dalla terra e dalle risorse naturali per la sussistenza (agricoltura di piccola scala, raccolta di legna e acqua). L’estrazione mineraria causa deforestazione, degrada il suolo, inquina l’acqua, distruggendo i loro mezzi di sostentamento.
- Perdita di mezzi di sussistenza: Quando la terra agricola viene espropriata per progetti minerari o inquinata, sono le donne a subire le conseguenze più pesanti. Le compensazioni, quando ci sono, vanno spesso ai capi villaggio o ai proprietari terrieri (uomini), escludendo le donne che lavoravano quella terra.
- Scarsità d’acqua: L’estrazione mineraria consuma e inquina enormi quantità d’acqua. Poiché sono principalmente le donne a dover procurare l’acqua per la famiglia, la sua scarsità significa per loro dover percorrere distanze sempre maggiori (anche 8 ore al giorno!), aumentando fatica e rischi.
- Salute e sicurezza: L’esposizione a tossine derivanti dall’estrazione e dallo smaltimento dell’e-waste causa gravi problemi di salute, che colpiscono in modo particolare la salute riproduttiva delle donne (aborti spontanei, malformazioni nei neonati, infezioni). Inoltre, la disgregazione sociale nelle aree minerarie aumenta i rischi di violenza, abusi e sfruttamento sessuale per le donne.

Il Lavoro di Cura Non Pagato: Un Fardello che Aumenta
E non dimentichiamo il lavoro di cura non pagato. Già normalmente le donne svolgono globalmente 2.5 volte più lavoro di cura degli uomini. In Africa rurale, questo divario è ancora maggiore (fino a 6 volte di più!). Quando le crisi ambientali legate all’IA peggiorano le condizioni di vita (es. acqua più lontana, più malattie), il carico di cura sulle donne aumenta ulteriormente. Devono dedicare più tempo a cercare risorse, curare i malati, gestire la casa, spesso con meno supporto maschile (gli uomini potrebbero migrare per lavoro). Questo riduce ulteriormente il tempo che potrebbero dedicare a lavoro retribuito, istruzione o riposo, intrappolandole in un circolo vizioso di povertà e dipendenza.

Verso un’IA Veramente Sostenibile ed Equa: Cosa Possiamo Fare?
Allora, cosa ci insegna tutto questo? Che non possiamo parlare di IA Sostenibile senza considerare le dinamiche di genere e le prospettive del Sud globale. L’Etica Femminista Africana non è solo una critica, ma offre un quadro trasformativo. Ci chiede di:
- Includere le voci africane: Integrare attivamente le filosofie e le etiche africane, in particolare la FAE, nei dibattiti globali sull’IA.
- Centrare le esperienze delle donne: Riconoscere e affrontare l’impatto sproporzionato dell’IA sulle donne africane, mettendo le loro esperienze vissute al centro delle analisi e delle soluzioni.
- Riconoscere e valorizzare la cura: Sfidare la femminizzazione e la svalutazione del lavoro di cura, promuovendo politiche che lo supportino (es. congedi parentali retribuiti, servizi per l’infanzia, infrastrutture che riducano il carico di lavoro domestico come accesso all’acqua potabile).
- Promuovere politiche inclusive: Implementare politiche specifiche per l’industria dell’IA che tengano conto della giustizia di genere e ambientale lungo tutto il ciclo di vita della tecnologia, dall’estrazione allo smaltimento.
- Supportare interventi comunitari: Dare potere alle comunità locali, e in particolare alle donne, affinché possano partecipare ai processi decisionali riguardanti i progetti estrattivi, la gestione ambientale e lo sviluppo tecnologico.
Solo adottando un approccio più relazionale, contestualizzato e orientato alla giustizia, che metta al centro le persone più colpite – in questo caso, le donne africane – potremo sperare di costruire un futuro in cui l’Intelligenza Artificiale sia veramente al servizio della sostenibilità sociale e ambientale per tutti, e non solo per pochi privilegiati. È una sfida enorme, ma credo sia l’unica strada percorribile.

Fonte: Springer
