Intelligenza Artificiale Svela i Segreti delle Nostre Scelte sul Clima: Cosa Ci Influenza Davvero?
Sapete, mi sono sempre chiesto cosa spinga davvero le persone a credere o meno al cambiamento climatico, a sostenere certe politiche ambientali o, ancora più concretamente, a rimboccarsi le maniche e fare qualcosa. È una questione che mi affascina, perché riguarda tutti noi e il futuro del nostro pianeta. Recentemente, mi sono imbattuto in uno studio che ha provato a fare luce su questo intricato puzzle, e devo dire che i risultati sono stati illuminanti, a tratti sorprendenti!
Immaginate di poter analizzare le convinzioni e i comportamenti di migliaia di persone sparse in ben 55 paesi, mettendo sul tavolo non solo chi sono (età, genere, istruzione), ma anche cosa pensano, in cosa credono e il contesto nazionale in cui vivono. È esattamente quello che hanno fatto i ricercatori, utilizzando la potenza del machine learning, o intelligenza artificiale se preferite, per capire quali fattori, individuali e a livello di nazione, pesano di più sulla bilancia quando si parla di clima.
Perché questa ricerca è una svolta?
Molti studi precedenti, diciamocelo, si sono concentrati su campioni limitati, spesso provenienti dai paesi del “Nord Globale” (Europa, Nord America, ecc.). Questo è un problema, perché le conclusioni tratte da questi contesti potrebbero non valere per tutti. Pensateci: le sfide ambientali, le culture, le situazioni socio-economiche sono incredibilmente diverse in giro per il mondo! Inoltre, spesso si è dato molto peso a fattori individuali, come tratti psicologici o dati demografici, dimenticando che non viviamo in una bolla. Le strutture sociali, politiche ed economiche in cui siamo immersi giocano un ruolo cruciale.
E c’è un altro punto fondamentale: tante ricerche si basano su quello che le persone dicono di fare o pensare, su intenzioni e scenari ipotetici. Ma sappiamo bene che tra il dire e il fare… c’è di mezzo il mare! Questo studio, invece, ha cercato di misurare anche comportamenti concreti, uno sforzo reale per l’ambiente. Capire cosa influenza questi comportamenti effettivi è cruciale se vogliamo identificare le leve giuste per promuovere un cambiamento positivo.
Cosa abbiamo fatto esattamente? L’approccio con il machine learning
Per farla breve, abbiamo preso i dati di un grande progetto internazionale chiamato International Climate Psychology Collaboration (ICPC), con ben 4635 partecipanti. Abbiamo esaminato quattro “risultati” principali legati al clima:
- La credenza nel cambiamento climatico: quanto le persone ritengono che sia una minaccia seria.
- Il sostegno a politiche climatiche: ad esempio, tasse sulle emissioni o investimenti in rinnovabili.
- La volontà di condividere informazioni sul clima sui social media.
- Un compito comportamentale pro-ambientale: i partecipanti potevano scegliere di dedicare del tempo a un compito noioso in cambio della piantumazione di alberi. Un modo per misurare l’impegno concreto!
Poi, abbiamo messo in campo 19 “predittori”, cioè fattori che potevano influenzare questi risultati. Alcuni erano a livello individuale (età, genere, orientamento politico, motivazioni ambientali, fiducia nella scienza, ecc.) e altri a livello nazionale (come l’Indice di Sviluppo Umano del paese, la disuguaglianza di reddito, le emissioni pro capite).
L’approccio di machine learning che abbiamo usato, basato su alberi decisionali potenziati dal gradiente (GBDT), è un po’ come organizzare una “gara” tra tutti questi predittori per vedere quali spiegano meglio i diversi risultati. Questo metodo è fantastico perché riesce a scovare relazioni complesse, anche non lineari, che i metodi statistici tradizionali potrebbero perdersi. E, cosa importantissima, ci permette di stilare una classifica di importanza dei predittori.
Quanto riusciamo a prevedere? Sorprese e conferme
Una delle prime cose che abbiamo scoperto è che la nostra capacità di “prevedere” i risultati varia parecchio. Ad esempio, siamo riusciti a spiegare ben il 57% della varianza nella credenza nel cambiamento climatico e il 46% nel sostegno alle politiche climatiche. Per la volontà di condividere sui social, l’accuratezza della classificazione è stata del 74%. Numeri di tutto rispetto, direi!
Ma ecco la sorpresa: per il comportamento pro-ambientale concreto (il compito di piantare alberi), i nostri 19 predittori spiegavano solo il 10% della varianza! Un risultato bassino, che ci fa capire quanto sia difficile prevedere le azioni reali delle persone. Forse perché quando si tratta di un impegno che costa fatica o tempo, entrano in gioco fattori momentanei (come la disponibilità di tempo in quel preciso istante) o un senso di impegno specifico per quel compito che “scavalcano” le nostre predisposizioni generali.

Questo dato, per me, è uno dei più stuzzicanti: ci dice che c’è ancora tanto da capire su come tradurre le buone intenzioni e le credenze in azioni concrete, specialmente quando queste richiedono uno sforzo personale.
I protagonisti: chi sono i veri “influencer” del clima?
Analizzando l’importanza dei vari predittori (grazie a una tecnica chiamata SHAP, che ci dice quanto ogni fattore sposta l’asticella del risultato), sono emersi quattro “campioni” che hanno mostrato effetti consistenti su tutti e quattro i risultati climatici che abbiamo esaminato. Eccoli:
- Identità ambientalista: Sentirsi una persona che ha a cuore l’ambiente. Questo è risultato uno dei predittori più forti in assoluto, positivamente correlato a credere nel cambiamento climatico, supportare le politiche, condividere informazioni e impegnarsi nel compito pratico. Insomma, se ti senti “uno di noi” ambientalisti, è più probabile che tu agisca di conseguenza.
- Fiducia nella scienza del clima: Non una sorpresa, ma una conferma importante. Chi si fida degli scienziati e della ricerca sul clima tende ad avere credenze più forti, a sostenere le politiche, a condividere di più e, in generale, a mostrare maggiore motivazione.
- Motivazione ambientale interna: Agire perché si crede profondamente nell’importanza di proteggere l’ambiente, non per pressioni esterne o per “fare bella figura”. Questa spinta interiore è un motore potente.
- Indice di Sviluppo Umano (HDI): Qui, forse, una piccola sorpresa. I partecipanti provenienti da paesi con un HDI più alto (quindi, tendenzialmente più “sviluppati” in termini di aspettativa di vita, istruzione e reddito pro capite) hanno mostrato punteggi inferiori in tutti e quattro i risultati climatici. Una possibile spiegazione? Forse nei paesi con HDI più basso, dove gli impatti del cambiamento climatico sono spesso più diretti e le capacità di adattamento minori, c’è una maggiore percezione dell’urgenza e della necessità di agire.
La maggior parte degli altri 15 predittori, invece, ha mostrato schemi più complessi, influenzando alcuni risultati ma non altri, o addirittura avendo effetti opposti. Per esempio:
- L’orientamento politico (più a sinistra/liberale) prevedeva una maggiore credenza nel cambiamento climatico e un maggiore sostegno alle politiche, il che è in linea con molte ricerche. Tuttavia, chi si dichiarava più conservatore era più disposto a condividere informazioni sui social, e l’orientamento politico non aveva un impatto significativo sul comportamento pro-ambientale concreto. Un bel rompicapo che suggerisce come la polarizzazione politica sul clima sia più sfumata di quanto pensiamo, soprattutto quando si passa dalle idee alle azioni.
- La motivazione ambientale esterna (agire per approvazione sociale o per evitare critiche) era un forte predittore positivo per la volontà di condividere sui social (un’azione pubblica), ma negativo per l’impegno nel compito privato e faticoso. Questo ci dice che le motivazioni contano, e contano in modo diverso a seconda del contesto (pubblico vs. privato).
- L’età è emersa come il predittore principale per il compito pro-ambientale, con i partecipanti più giovani che si impegnavano meno. Interessante, perché spesso si pensa ai giovani come i più attenti all’ambiente. Questo modello, però, spiegava solo una piccola parte della varianza, quindi va interpretato con cautela.
Cosa ci portiamo a casa da tutto questo?
Beh, per prima cosa, che i fattori psicologici come l’identità ambientalista e la fiducia nella scienza sembrano avere un peso più consistente e generalizzato rispetto ai fattori demografici puri e semplici. Questo potrebbe aprire strade interessanti per interventi futuri: rafforzare l’identità ambientalista o costruire la fiducia nella scienza potrebbero essere strategie efficaci.
Poi, la faccenda del comportamento concreto. È chiaro che prevederlo è difficile e che i fattori che influenzano le nostre credenze o il supporto a livello astratto potrebbero non essere gli stessi che ci spingono ad agire quando c’è da “sporcarsi le mani”. Servono più ricerche per capire come i fattori contestuali e cognitivi del momento influenzino le nostre azioni.

L’influenza del contesto nazionale, come l’HDI, è un altro punto chiave. Non possiamo ignorare come le condizioni economiche e sociali di un paese plasmino l’impegno pubblico sulle questioni climatiche. Questo sottolinea l’importanza di integrare teorie psicologiche e sociologiche per avere un quadro più completo.
Infine, la variabilità dei predittori a seconda del risultato che si guarda (credenza, supporto, condivisione, azione) ci dice che non esiste una “bacchetta magica” unica. Bisogna considerare i diversi contesti (pubblico vs. privato, ad esempio) in cui emergono pensieri e azioni legati al clima.
Un pizzico di cautela e sguardi al futuro
Come ogni studio, anche questo ha i suoi limiti. Parliamo di associazioni, non di cause ed effetti diretti. Il compito comportamentale era specifico e online. E, sebbene il campione fosse ampio e diversificato, non era perfettamente rappresentativo di ogni paese. Tuttavia, credo che i risultati offrano spunti preziosissimi.
Per il futuro, sarebbe fantastico approfondire le possibili relazioni causali e testare interventi basati sui predittori più promettenti. E, naturalmente, continuare a esplorare come questi fattori interagiscono in diverse regioni del mondo.
In conclusione: un puzzle complesso ma affascinante
Quello che mi porto via da questa avventura nel mondo dei dati è che capire le nostre risposte al cambiamento climatico è un viaggio affascinante in un territorio complesso. L’intelligenza artificiale ci ha aiutato a tracciare una mappa più dettagliata, evidenziando alcuni sentieri principali – come l’identità ambientalista e la fiducia nella scienza – e mostrandoci anche zone ancora inesplorate, soprattutto quando si tratta di tradurre le nostre convinzioni in azioni concrete e faticose.
La sfida è enorme, ma avere strumenti più sofisticati per capire cosa ci muove è, secondo me, un passo fondamentale per costruire un futuro più sostenibile per tutti. E voi, cosa ne pensate? Quali fattori credete che influenzino di più le vostre scelte quotidiane per il clima?
Fonte: Springer
