Un'immagine evocativa che mostra un albero di acacia stilizzato i cui rami si trasformano in circuiti digitali luminosi, simboleggiando l'integrazione armoniosa tra i valori ancestrali africani (Ubuntu) e l'intelligenza artificiale. Sullo sfondo, un tramonto africano caldo. Obiettivo grandangolare 24mm, leggera profondità di campo, colori caldi e vibranti, stile fotorealistico.

IA Africana: E l’Ubuntu, Dove lo Mettiamo? Un Grido per un Futuro Tecnologico Radicato nei Valori

Amici, parliamoci chiaro. L’intelligenza artificiale è sulla bocca di tutti, una vera e propria rivoluzione che promette di trasformare il mondo. E l’Africa, il mio continente, non sta certo a guardare. C’è una corsa, una necessità pressante di adottare l’IA, soprattutto pensando alla crescita economica, al miglioramento dei servizi pubblici e privati, e, non da ultimo, alla lotta contro i cambiamenti climatici e al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Ma c’è un “ma”, un “ma” grosso come una casa, o meglio, come un baobab secolare.

Vedete, mentre il cosiddetto “Sud Globale” (e l’Africa ne è parte integrante) non sfrutta l’IA con la stessa intensità dei grandi attori mondiali, si ritrova a subire i danni ambientali maggiori causati dall’uso che ne fa il “Nord Globale”. È un paradosso amaro: l’Africa, con le sue immense risorse minerarie cruciali per il ciclo di vita dell’IA, si trova spesso con normative deboli, diventando una sorta di “discarica etica” per le problematiche che il Nord preferisce non affrontare a casa propria. E questa carenza normativa stride terribilmente con i valori comunitari africani, quelli che ci insegnano il dovere collettivo di preservare l’ambiente.

Mi chiedo, quindi: una politica sull’IA che voglia definirsi veramente “africana” non dovrebbe mettere la sostenibilità ambientale al primo posto? Invece, mi sembra che le attuali politiche sull’IA nel continente abbiano spesso trascurato questi valori fondamentali, abbracciando piuttosto modelli e valori eurocentrici. Ecco, è proprio qui che voglio arrivare: in questo mio intervento, voglio esplorare come la filosofia dell’Ubuntu possa e debba informare le politiche sull’IA in Africa.

Il Paradosso Africano: Risorse Abbondanti, Tutele Scarse

Pensateci un attimo: l’Africa contribuisce solo per il 3.8% alle emissioni globali di carbonio, eppure è il continente più vulnerabile ai cambiamenti climatici. Ce lo dice pure il Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici. L’IA potrebbe essere uno strumento pazzesco per mitigare questi effetti: analizzare emissioni, tracciare disastri naturali, elaborare dati complessi. Peccato che, rispetto al Nord Globale, qui da noi manchino spesso gli strumenti di IA specifici per queste sfide, per via di un ritardo nello sviluppo tecnologico. Questo significa che l’IA che arriva è spesso pensata altrove, per esigenze diverse, non sensibile al nostro contesto.

E non è solo una questione di strumenti. La mancanza di esperti di IA africani ha avuto un impatto enorme sul dibattito etico globale: le voci africane, le nostre tradizioni etiche, sono state messe da parte, privilegiando valori eurocentrici su cosa sia un’IA affidabile, responsabile, sostenibile. E queste cornici etiche sono state poi adottate da istituzioni e aziende africane. Ma ditemi voi, come si può pensare che un framework europeo funzioni tal quale in Africa, un continente così diverso sociologicamente, ambientalmente ed economicamente? Le politiche sull’IA dovrebbero nascere dal nostro contesto culturale, essere “sensibili alle esperienze vissute dai diversi gruppi sociali in spazi e luoghi diversi”.

Qualcuno ha detto che “codificare i principi etici come politiche si è dimostrato il modo più efficace e conveniente per ottenere conformità e implementazione per le tecnologie IA sviluppate” e che “è opportuno costruire quadri che siano riflessivi del milieu socioculturale”. Sono d’accordissimo! Per raggiungere la sostenibilità ambientale in Africa, le politiche sull’IA devono mettere i principi afro-comunitari che promuovono la sostenibilità ambientale al centro dell’adozione dell’IA.

Dalla mia analisi, però, emerge che nelle politiche sull’IA in Africa non ci sono regolamentazioni etiche robuste; piuttosto, si adottano e, in una certa misura, si replicano i principi europei. Questo, amici miei, è una forma di neocolonialismo. C’è un bisogno disperato di decolonizzare l’etica dell’IA, usando l’etica comunitaria africana come modello per un uso sostenibile dell’IA nel nostro continente.

Un'immagine concettuale che fonde intricati circuiti di intelligenza artificiale con un paesaggio africano lussureggiante e vibrante, al centro un gruppo diversificato di persone africane che collaborano attorno a un tavolo luminoso con ologrammi di dati. Obiettivo prime, 35mm, con una leggera profondità di campo per enfatizzare l'interconnessione tra tecnologia, comunità e ambiente. Illuminazione naturale calda e avvolgente, stile cinematografico.

Ubuntu: La Filosofia Mancante nell’Equazione dell’IA

Ed è qui che entra in gioco l’Ubuntu. Voglio “sognare”, come suggerisce Laenui nella sua “fase del sogno” del processo di decolonizzazione, le caratteristiche fondamentali di una politica sull’IA africana basata sull’Ubuntu. Sognare è quella fase in cui i colonizzati ricostruiscono governi e strutture sociali commisurati alle loro culture, speranze e aspirazioni. E in questo sogno, vi mostrerò come l’Ubuntu possa essere usato come quadro per la sostenibilità dell’IA in Africa. È ora di creare politiche sull’IA con i valori africani al centro, per rendere omaggio alle voci dimenticate, spesso silenziate, e come passo verso la sovranità digitale.

Le prove dell’impatto ambientale negativo dello sviluppo e dell’uso dell’IA si accumulano. Pensate che l’addestramento di un singolo modello come GPT-3 ha emesso più carbonio in Sud Africa e India che in altre regioni. Questo perché le deboli regolamentazioni sull’IA nel Sud Globale hanno permesso alle grandi aziende tecnologiche occidentali di costruire infrastrutture IA in Africa. Inoltre, l’Africa è uno dei principali siti di estrazione di materie prime per la costruzione dell’IA e una grande discarica di rifiuti elettronici (e-waste). L’estrazione insostenibile di minerali per lo sviluppo dell’IA ha portato al degrado ambientale. Il Ghana, per esempio, ha approvato una miniera di litio gestita da un’azienda australiana. Porterà fondi, certo, ma il costo ambientale? L’estrazione di questi minerali contamina l’acqua. Uno studio recente ha stimato che con il progredire del ‘Galamsey’ (estrazione illegale), “il Ghana potrebbe dover importare acqua nei prossimi quindici anni”. E considerate che l’Africa è il continente più arido del mondo!

L’impatto che l’IA avrà su un continente già afflitto da siccità e inondazioni è preoccupante. L’acqua contaminata inquinerà ulteriormente i suoli, mettendo a rischio il sostentamento dell’80% degli africani che dipendono dall’agricoltura. E poi c’è Agbogbloshie, in Ghana, una delle principali discariche di e-waste in Africa. Non sorprende, visto che l’Unione Europea ricicla meno del 40% dei suoi rifiuti elettronici. Servono regolamentazioni robuste per arginare questa ingiustizia.

C’è un vuoto epistemico, una mancanza di inclusione delle voci africane e indigene nel dibattito globale sull’etica dell’IA. Ma c’è tanto da imparare dai valori dell’Ubuntu. Prendiamo Ukama, un valore Ubuntu che propugna la conservazione dell’ambiente. Più in generale, il comunitarismo africano dovrebbe essere riconosciuto e impiegato per progettare politiche sull’IA in Africa che mirino a promuovere la sostenibilità e a dare voce alla ricchezza dei valori etici africani.

Ukama: Quando la Natura Diventa Parte della Comunità

L’Ubuntu si traduce spesso con “umanità”, “dignità umana” o “interconnessione” tra i membri della comunità e con gli altri (come la natura). Ha una dimensione ontologica – nasciamo in una comunità e la nostra identità è determinata dalla nostra relazione con essa (“Io sono perché noi siamo”) – e una dimensione normativa, che riguarda come ci relazioniamo con la comunità: solidarietà, compassione, cordialità e rispetto. Nella tradizione Ubuntu, i membri della comunità hanno un dovere/responsabilità verso la sostenibilità della natura. L’ambiente è interconnesso con la relazione spirituale che gli esseri umani hanno con totem, dei, animali, antenati e altri esseri umani. Nella tradizione Akan, per esempio, c’è una gerarchia ontologica che include l’Essere Supremo, le divinità, gli antenati, gli esseri umani e il mondo fisico. E anche se la massima riverenza è per l’Essere Supremo, l’essere umano ha il dovere di mostrare rispetto per tutti gli aspetti dell’ontologia. Si crede che non riuscire a sostenere il mondo fisico scatenerà l’ira degli dei.

Questo si collega a Ukama, che significa “interconnessione”, non solo tra umani, ma anche l’interconnessione dell’umanità con il mondo naturale (biofisico). È fondamentale agire in modi che non scontentino la divina Madre Terra (Pachamama per gli indigeni delle Ande, un concetto che risuona con la divinità dell’ambiente nella filosofia africana). Sostenendo la natura, la comunità Ubuntu crede che gli dei porteranno “cose buone”. La divinità dell’ambiente si estende ad altre comunità indigene in Africa: per gli Akan la terra è una divinità chiamata Yaa, per gli Igbo è Ala. È quindi imperativo agire in modi che sostengano l’ambiente. L’Ubuntu “promuove un senso di interconnessione e responsabilità collettiva verso l’ambiente: in sostanza, nello spirito dell’Ubuntu, dobbiamo considerare la terra come un bene comune”.

La filosofia Ubuntu introduce tre cose fondamentali per le regolamentazioni etiche dell’IA africana:

  • Responsabilità morale: chiunque sia associato all’IA deve adottare metodi sostenibili rispettando la natura.
  • Valore intrinseco dell’ambiente: a differenza dei valori eurocentrici che gli danno un valore strumentale, per l’Ubuntu l’ambiente è divino e va trattato con cautela.
  • Approccio pluriversale: sottolineando valori come solidarietà, reciprocità, cura e compassione, l’Ubuntu promuove la necessità di adottare molteplici visioni del mondo sulla sostenibilità ambientale, allontanandosi dalle considerazioni etiche egemoniche occidentali.

Con questo in mente, come sarebbe una politica sull’IA con le fondamenta dell’Ubuntu come punto di partenza? La solidarietà sarebbe al centro, quel “collante” che tiene insieme compassione, dignità e rispetto. E questa solidarietà non è limitata alle relazioni umane, ma si estende all’ambiente naturale (Ukama). Preservare l’ambiente non solo mette i membri della comunità in buona relazione con l’Essere Supremo, le divinità e gli antenati, ma assicura anche il benessere della comunità. Sostenere l’ambiente, nel pensiero africano, è una condizione per salvaguardare e beneficiare le generazioni presenti e future. Per questo motivo, insisto, la sostenibilità ambientale dovrebbe essere il pilastro principale delle politiche africane sull’IA. Qualsiasi cosa in meno suggerisce che le politiche non sono “africane” ma un adattamento di valori eurocentrici.

Un ritratto di gruppo di giovani leader e tecnologi africani che discutono animatamente attorno a un tavolo rotondo, con simboli stilizzati dell'Ubuntu (persone che si tengono per mano) e della natura (alberi, fiumi) proiettati olograficamente al centro. Obiettivo 50mm, stile documentaristico, luce soffusa e calda che crea un'atmosfera di speranza, collaborazione e riflessione profonda. Film noir con toni seppia e blu.

Le Politiche Attuali: Uno Specchio Eurocentrico?

Ho dato un’occhiata ad alcune delle politiche e strategie sull’IA esistenti nel continente, come il White Paper dell’AUDA-NEPAD e la Strategia Continentale sull’IA dell’Unione Africana (UA), oltre alle strategie nazionali di Mauritius, Rwanda e Benin. L’obiettivo era duplice: vedere se affrontano rigorosamente le preoccupazioni etiche con regolamentazioni robuste e se all’ambiente viene dato quel valore intrinseco tipico della tradizione africana, e non solo strumentale.

Il White Paper dell’AUDA-NEPAD, pur menzionando i valori panafricani, si concentra principalmente sullo sfruttare l’IA per lo sviluppo socio-economico (“IA per la sostenibilità”) piuttosto che sull’implementare misure per regolare lo sviluppo e l’uso dell’IA (“la sostenibilità dell’IA”). L’ambiente è visto come un mezzo per accedere a dati di qualità e migliorare vari settori. Anche se si dice che le normative dovrebbero essere in linea con i valori culturali africani come l’Ubuntu, le fonti di ispirazione citate sono principalmente europee (UNESCO, Consiglio d’Europa, UE, OCSE). Il valore di Ukama, ahimè, è palesemente assente.

La Strategia sull’IA dell’UA, devo dire, sembra dare più priorità ai valori comunitari africani. Afferma chiaramente che i principi etici dovrebbero avere “valori come l’Ubuntu, che rispetta la comunità collettiva rispetto all’individualità”. Questo si riflette nei principi di “centralità della persona”, “orientamento allo sviluppo” e “inclusività”. Tuttavia, anche qui, lo sfruttamento dell’IA per la crescita economica rimane l’obiettivo principale. Un plauso va fatto perché menziona la sostenibilità ambientale come una preoccupazione pertinente, elencando i rischi come le emissioni di CO2, il consumo di acqua per i data center e i rifiuti elettronici. Questi problemi si intersecano con il valore Ubuntu di Ukama. La strategia dell’UA è innovativa nel menzionare i rischi ambientali, ma manca di misure concrete per affrontarli. Identifica la necessità, ma non dice come gestire emissioni, estrazione, e-waste. Ukama deve essere “praticizzato”, reso operativo con misure esplicite.

Strategie Nazionali: Promesse Mancate e l’Assenza di Ukama

Passando alle strategie nazionali di Mauritius, Rwanda e Benin, l’obiettivo è simile: aumentare l’uso dell’IA per la crescita economica. Mauritius e Rwanda sono ai primi posti per “prontezza” all’IA in Africa. Tuttavia, come nel White Paper, non c’è menzione esplicita di regolamentazioni IA che affrontino i probabili costi ambientali. Nella strategia del Benin si parla di “ambiente controllato”, ma non in termini di sostenibilità ambientale, bensì di uso efficiente dell’IA. Mauritius menziona la “protezione dell’ambiente”, ma senza specificare leggi precise. La sezione sulle “sfide etiche/morali” si sofferma su questioni filosofiche sullo status morale dell’IA, tralasciando il “dumping etico” e la protezione dell’ambiente nel contesto africano.

La strategia del Rwanda è più specifica, indicando regolamentazioni, scadenze e istituzioni responsabili. Questo è lodevole e ha portato alcuni a considerarla “reattiva alla decolonizzazione”. Tuttavia, anche qui, mancano normative su emissioni, degrado ambientale, inquinamento idrico, rifiuti elettronici derivanti dal ciclo di vita dell’IA.

C’è un problema fondamentale: queste politiche non incorporano adeguatamente il valore Ubuntu di Ukama. L’Ubuntu mette la comunità e il suo ambiente al centro della cura. Questo dovrebbe tradursi in politiche IA che pongono la sostenibilità ambientale come area cruciale. Se l’83% degli africani dipende dall’ambiente per il proprio sostentamento, sostenerlo dovrebbe essere un focus urgente.

Un'immagine macro di un minerale grezzo, come il coltan o il litio, tenuto delicatamente in una mano africana. Sullo sfondo, un paesaggio diviso: da un lato segni di degrado ambientale dovuti all'estrazione, dall'altro un'area di rigogliosa natura incontaminata. Obiettivo macro 100mm, alta definizione, illuminazione controllata per evidenziare la texture del minerale e il drammatico contrasto ambientale. Duotone seppia e verde.

Un Appello Urgente: Riscoprire l’Anima Africana dell’IA

Allora, dove sono i valori mancanti? Nel mio “sogno” di una politica IA basata sull’Ubuntu, la solidarietà e altre virtù come la cordialità, la compassione, il rispetto sarebbero i principi fondamentali. E, cosa ancora più importante, Ukama sarebbe palesemente visibile. Per decolonizzare, per avere valori comunitari africani che informano le nostre politiche, l’Africa deve formulare politiche specifiche per i problemi esistenziali dell’IA e del cambiamento climatico che affliggono il continente. Come diceva Frantz Fanon: “Per noi stessi e per l’umanità, compagni, dobbiamo voltare pagina, dobbiamo elaborare nuovi concetti e cercare di mettere in piedi un uomo nuovo”.

Una politica IA africana decolonizzata dovrebbe sfidare audacemente il dumping etico del Nord Globale e stabilire regolamenti che mirino ad alleviare l’impatto che l’IA ha sull’ambiente. Le normative robuste devono fondarsi sui valori comunitari africani dell’Ubuntu. L’ambiente non serve solo come strumento per sfruttare l’IA (mezzo per un fine), ma ha un valore intrinseco (un fine in sé), come evidente nelle tradizioni Ubuntu come Ukama. Purtroppo, le attuali politiche africane sull’IA adottano valori eurocentrici, dando priorità all’adozione dell’IA per la crescita economica e non riuscendo a fornire solide normative etiche per arginare il dumping etico. Così, trascurano il costo ambientale che l’Africa sopporta. Questa dolorosa assenza di valori africani potrebbe esacerbare i problemi di e-waste, estrazione, emissioni di carbonio e cambiamento climatico.

C’è bisogno che l’Africa si liberi dalle egemonie epistemiche e torni ai principi comunitari africani, altrimenti il sostentamento del continente sarà minacciato. Durante il processo di decolonizzazione del “sogno”, i valori fondamentali dell’Ubuntu devono guidare le normative etiche. Poiché è chiaro che le politiche africane falliscono in questa fase, ho suggerito che la solidarietà dovrebbe sostenere queste politiche. La solidarietà è il punto di convergenza tra i valori afro-comunitari e Ukama estende la solidarietà alla natura. Pertanto, affinché l’adozione dell’IA in Africa produca una crescita sostenibile, le future politiche africane dovrebbero smettere di strumentalizzare l’ambiente e tornare alla comprensione comunitaria africana del valore intrinseco dell’ambiente. Solo così le politiche africane sull’IA affronteranno il dumping etico ricevuto dal Nord Globale e promulgheranno severe normative etiche per l’adozione dell’IA in Africa.

Fonte: Springer

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