Habenula: Il Regista Nascosto dei Nostri Pensieri Negativi?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che ci tocca da vicino, molto più di quanto pensiamo: quel chiacchiericcio interiore, quella vocina che a volte ci butta giù con pensieri non proprio lusinghieri su noi stessi. Sì, parlo delle auto-cognizioni negative. Saperle gestire e ristrutturare è una vera e propria armatura per la nostra salute mentale, mentre lasciarle pascolare indisturbate può aprirci la strada a un bel po’ di malessere. Ma cosa succede nel nostro cervello quando questi pensieri prendono il sopravvento o quando, al contrario, cerchiamo di metterli in riga? Preparatevi, perché stiamo per fare un viaggio affascinante in una piccola ma potentissima area del cervello: l’habenula.
Quel fastidioso chiacchiericcio interiore: cosa c’entra l’habenula?
Le auto-cognizioni sono, in pratica, i pensieri e le credenze che abbiamo su noi stessi: chi siamo, come siamo, come ci relazioniamo con gli altri e col mondo. Sono il succo delle nostre esperienze e formano la nostra identità. Il problema sorge quando questi pensieri virano costantemente sul negativo. Rimuginare su “non sono capace”, “non valgo niente” è un biglietto di sola andata per l’ansia e la depressione. Al contrario, saper prendere questi pensieri, guardarli in faccia e dire “Ehi, aspetta un attimo, è davvero così?” è una skill pazzesca per il nostro benessere.
Ma quali ingranaggi cerebrali si muovono dietro le quinte? Qui entra in gioco l’habenula. È una coppia di piccoli nuclei nel mesencefalo, una specie di “centralinista” delle emozioni negative. Finora, la conoscevamo soprattutto per il suo ruolo nel processare le punizioni o la mancanza di una ricompensa attesa. Tipo quando ti aspetti un “bravo!” e invece… silenzio. Ecco, l’habenula si accende. Ma il suo ruolo si ferma lì? O c’entra anche con quei pensieri negativi più astratti, quelli che ci costruiamo su noi stessi?
L’habenula: più di un semplice “centro anti-ricompensa”
Studi su animali e umani hanno mostrato che l’attività dell’habenula aumenta quando le cose vanno storte o quando riceviamo una punizione. Al contrario, si calma quando arriva una ricompensa inaspettata. Per questa sua specializzazione nel segnalare eventi negativi, è stata soprannominata il “centro anti-ricompensa” del cervello. Pensate che nei roditori, attivarla artificialmente induce sintomi simili alla depressione! E negli umani, si è visto un aumento del suo volume e della sua attività in persone con depressione.
L’habenula non è un’isola: è connessa con un sacco di altre aree cerebrali importanti, dalla corteccia prefrontale ai sistemi che rilasciano dopamina e serotonina, neurotrasmettitori chiave per l’umore e la motivazione. Insomma, ha tutte le carte in regola per influenzare come ci sentiamo e come ci comportiamo di fronte alle avversità. Ma, come dicevo, la grande domanda era: questa sua funzione si estende anche a processi cognitivi superiori, come i nostri dialoghi interiori negativi? E come fa a influenzarli?
Come abbiamo spiato l’habenula in azione: uno sguardo a 7 Tesla
Per capirci qualcosa di più, un team di ricercatori ha usato una tecnologia pazzesca: la risonanza magnetica funzionale (fMRI) a ultra-alto campo (7 Tesla). Immaginatela come una lente d’ingrandimento super potente che ci permette di vedere l’attività cerebrale con una risoluzione incredibile, fondamentale per studiare una struttura così piccola come l’habenula.
Hanno coinvolto due gruppi di adulti sani. Prima della risonanza, hanno insegnato ai partecipanti delle tecniche di “ristrutturazione cognitiva”, un po’ come quelle che si usano in terapia cognitivo-comportamentale. Si tratta di mettere in discussione i pensieri negativi con domande logiche, cercando prove contrarie o cambiando prospettiva.
Durante la scansione fMRI, ai partecipanti venivano presentate delle frasi comuni di auto-cognizione negativa (tipo “Sono incompetente” o “Il mio valore dipende dal mio aspetto fisico”). Per ogni frase, potevano scegliere se:
- Ristrutturarla (condizione “challenge”): usare le tecniche apprese per sfidare e modificare il pensiero negativo.
- Ripeterla (condizione “repeat”): ripetersi mentalmente la frase senza cercare di confutarla.
L’idea era vedere come l’habenula e le sue connessioni reagivano in queste due diverse situazioni. E per analizzare non solo *quali* aree si accendevano, ma *come* si influenzavano a vicenda, hanno usato una tecnica chiamata “Dynamic Causal Modelling” (DCM), che ci permette di inferire la direzione e la forza delle connessioni cerebrali.

Cervelli al lavoro: cosa succede quando rimuginiamo o ristrutturiamo?
Allora, cosa hanno scoperto questi “detective del cervello”?
Prima di tutto, l’attività dell’habenula era maggiore quando i partecipanti semplicemente ripetevano i pensieri negativi rispetto a quando li ristrutturavano. Questo ha senso: se non contrasti attivamente un pensiero negativo, l’habenula potrebbe continuare a segnalare la sua “negatività”, un po’ come un allarme che non viene spento. Si accendevano di più anche la corteccia cingolata posteriore (PCC) destra, l’ippocampo bilaterale e la corteccia orbitofrontale posteriore (pOFC) bilaterale. È interessante notare che l’habenula mostrava un’attività sostenuta durante la ripetizione e una risposta evocata durante la ristrutturazione.
Le connessioni che contano: l’habenula non lavora da sola
Ma la parte più succosa arriva quando guardiamo alle connessioni, grazie al DCM.
Nel primo gruppo di partecipanti (il “discovery sample”), è emerso che:
- L’habenula esercitava un effetto eccitatorio sulla corteccia cingolata posteriore (PCC) sia durante la ripetizione che durante la ristrutturazione dei pensieri negativi. La PCC è un nodo cruciale del “default mode network”, una rete cerebrale attiva quando siamo persi nei nostri pensieri, soprattutto quelli auto-riferiti. È come se l’habenula, segnalando la valenza negativa, “accendesse” quest’area che si occupa di chi siamo e delle nostre esperienze passate. Potrebbe essere il modo in cui la negatività si lega alle nostre rappresentazioni del sé.
- Durante la ristrutturazione dei pensieri negativi, l’habenula mostrava un effetto eccitatorio sulla corteccia orbitofrontale posteriore (pOFC). E questa è una scoperta chiave, perché è stata confermata anche nel secondo gruppo di partecipanti (il “replication cohort”), rendendola molto robusta!
Quest’ultima connessione, quella tra habenula e pOFC durante la ristrutturazione, è particolarmente intrigante. La pOFC è coinvolta nella valutazione degli stimoli e nella guida di comportamenti adattivi. Ristrutturare un pensiero negativo non è solo “pensare positivo”; è un processo attivo che richiede di manipolare rappresentazioni di sé, valutare strategie cognitive e aggiornare le proprie convinzioni. L’habenula potrebbe trasmettere alla pOFC informazioni sull’ “efficacia” dello sforzo di ristrutturazione, aiutandoci a capire se la nostra strategia sta funzionando o se dobbiamo aggiustare il tiro. Immaginate la pOFC come un centro di comando che riceve input dall’habenula (quanto è “brutto” questo pensiero? quanto sta funzionando il mio tentativo di cambiarlo?) per poi orchestrare una risposta più adattiva.
Non è emersa una modulazione significativa della connettività tra habenula e ippocampo destro. Tuttavia, un’analisi esplorativa su un modello lateralizzato a sinistra ha suggerito una modulazione eccitatoria dall’habenula all’ippocampo sinistro durante la ristrutturazione. Questo potrebbe indicare ruoli diversi dei due ippocampi, con quello sinistro più coinvolto nel recupero di memorie episodiche personali necessarie per confutare i pensieri negativi.
E quindi? Perché tutto questo ci interessa da vicino?
Beh, queste scoperte sono un bel passo avanti! Ci dicono che l’habenula non si occupa solo di ricompense e punizioni esterne, ma gioca un ruolo anche nelle nostre esperienze interne più astratte, come i pensieri su noi stessi.
Capire questi meccanismi è fondamentale. Pensate alla depressione, all’ansia, al disturbo da stress post-traumatico, dove i pensieri negativi su di sé sono spesso un macigno. Se l’habenula è iperattiva o le sue connessioni con la PCC sono troppo forti, e quelle con la pOFC troppo deboli, potrebbe essere più difficile sganciarsi dalla spirale dei pensieri negativi.
Questi risultati aprono la strada a future ricerche:
- Potremmo studiare questi circuiti in persone con disturbi mentali per vedere se ci sono alterazioni specifiche.
- Potremmo capire se la connettività dell’habenula può predire chi risponderà meglio a terapie come quella cognitivo-comportamentale, che si basa proprio sulla capacità di ristrutturare i pensieri.
- Potrebbe addirittura informare lo sviluppo di nuovi trattamenti, magari interventi di neuro-modulazione o farmaci (come la ketamina, che sembra influenzare i circuiti dell’habenula) per aiutare chi fa fatica a liberarsi da questi schemi di pensiero negativi radicati.

Un passo avanti, ma la strada è ancora lunga
Certo, come in ogni buona ricerca, ci sono dei “ma”. I partecipanti a questo studio erano sani, con bassi livelli di pensieri negativi, quindi è difficile dire come questi circuiti si comportino in chi soffre di più. Inoltre, i modelli usati sono semplificazioni della complessa realtà del cervello. Serviranno altri studi per confermare ed espandere queste scoperte, magari includendo altre aree cerebrali importanti come l’insula.
Nonostante le piccole differenze metodologiche tra i due campioni dello studio, la coerenza nel riscontrare la modulazione della connettività dell’habenula durante la ristrutturazione dei pensieri negativi ne sottolinea l’affidabilità.
Un piccolo grande regista nel nostro cervello
Insomma, quella piccola regione chiamata habenula potrebbe essere molto più di quanto pensassimo: un vero e proprio regista che, insieme ad altre aree chiave come la PCC e la pOFC, orchestra la nostra risposta ai pensieri negativi su noi stessi. Capire come funziona questo “regista” e come dialoga con il resto del “cast” cerebrale non è solo affascinante dal punto di vista scientifico, ma potrebbe un giorno darci strumenti più efficaci per spegnere quel fastidioso chiacchiericcio interiore e vivere una vita mentale più serena. E voi, cosa ne pensate? Vi eravate mai soffermati su quanto sia potente la vostra mente nel costruire (e decostruire) la vostra realtà interiore?
Fonte: Springer
