Gusci di Nocciola: La Mia Scommessa Vincente per l’Idrogeno Pulito!
Amici scienziati e curiosi di innovazione, oggi voglio portarvi con me in un viaggio entusiasmante nel mondo dell’energia pulita, un viaggio che parte da qualcosa di umile e spesso trascurato: i gusci di nocciola. Sì, avete capito bene! Proprio quei gusci che di solito finiscono nel compost (nella migliore delle ipotesi) possono diventare la chiave per produrre idrogeno verde in modo più efficiente e sostenibile. Lasciate che vi racconti come ci siamo riusciti.
La Sfida dell’Idrogeno Verde e il Problema dei Catalizzatori
Come sapete, l’idrogeno verde, prodotto tramite elettrolisi dell’acqua usando energia rinnovabile, è una delle grandi speranze per la decarbonizzazione. Il processo di elettrolisi si basa su due reazioni fondamentali: la reazione di sviluppo dell’idrogeno (HER) e la reazione di sviluppo dell’ossigeno (OER). Per far avvenire queste reazioni in modo efficiente, servono dei “super-aiutanti”, chiamati elettrocatalizzatori.
Quelli più performanti sono a base di metalli nobili come il platino, l’iridio o il rutenio. Fantastici, sì, ma con un piccolo dettaglio non trascurabile: costano un occhio della testa e sono pure scarsi! Questo è un bel freno alla diffusione su larga scala dell’idrogeno verde. Da qui la nostra domanda: possiamo trovare alternative più economiche e sostenibili senza sacrificare troppo le prestazioni?
L’Idea Geniale: Biochar da Gusci di Nocciola e un Duo Metallico
La nostra ipotesi di partenza era audace: e se usassimo un materiale di scarto agricolo, come i gusci di nocciola (pensate che il Cile, da dove proviene la nostra materia prima, ne produce tonnellate!), per creare un supporto super poroso e poi lo “decorassimo” con metalli non nobili ma promettenti come il molibdeno (Mo) e il cobalto (Co)? L’idea era di ottenere un elettrocatalizzatore bifunzionale, capace cioè di dare una mano sia alla produzione di idrogeno (HER) che a quella di ossigeno (OER) in ambiente alcalino.
Perché proprio i gusci di nocciola? Perché hanno un alto contenuto di carbonio e lignina, perfetti per essere trasformati, tramite un processo chiamato pirolisi (una sorta di “cottura” ad alta temperatura in assenza di ossigeno), in biochar. E non un biochar qualsiasi: un biochar attivato e “drogato” con azoto.
La “Ricetta” del Nostro Super Catalizzatore
Vi spiego brevemente come abbiamo fatto, senza annoiarvi con troppi tecnicismi.
- Abbiamo preso i gusci di nocciola, li abbiamo lavati, macinati finemente.
- Poi li abbiamo impregnati con idrossido di potassio (KOH), che agisce come agente attivante per creare un sacco di pori, e urea, che serve per “drogare” il biochar con atomi di azoto. L’azoto è importante perché migliora le proprietà elettroniche e catalitiche del materiale.
- Abbiamo quindi “cotto” il tutto a 885°C per creare il nostro biochar attivato e drogato con azoto (N-biochar). Immaginate una spugna super porosa a livello microscopico!
- Successivamente, su questo N-biochar abbiamo depositato i nostri metalli, molibdeno e cobalto, e abbiamo fatto una seconda pirolisi a 800°C. Questo passaggio è cruciale per formare i siti attivi bimetallici.
Il risultato? Un materiale che abbiamo chiamato BC-Mo/Co, dove BC sta per biochar.

Le analisi ci hanno dato subito grandi soddisfazioni. Il nostro biochar di base aveva una superficie specifica elevatissima, ben 1102 m² per grammo (immaginate di srotolare un grammo di questo materiale e coprire quasi un quarto di campo da calcio!). La struttura era gerarchica, con pori di diverse dimensioni, tutti interconnessi, perfetti per far circolare reagenti e prodotti. L’aggiunta di Mo e Co ha portato alla formazione di siti attivi bimetallici specifici (Co6Mo6C), che si sono rivelati la chiave di volta.
Performance da Campioni (o Quasi!)
E veniamo al dunque: come si è comportato il nostro BC-Mo/Co nelle reazioni HER e OER? Direi alla grande!
Per la reazione di sviluppo dell’idrogeno (HER), abbiamo misurato un sovrapotenziale (cioè l’energia “extra” che devi dare per far partire la reazione) di soli 0.257 Volt. Per darvi un’idea, il biochar da solo richiedeva 0.505 V. Un bel miglioramento!
Anche la cinetica era ottima, con pendenze di Tafel (un parametro che ci dice quanto velocemente aumenta la corrente al variare del potenziale) basse, pari a 51 mV dec-1. Questo suggerisce un meccanismo di reazione efficiente, dove il rilascio dell’idrogeno avviene speditamente.
Passando alla reazione di sviluppo dell’ossigeno (OER), notoriamente più ostica, il nostro BC-Mo/Co ha mostrato un sovrapotenziale di 0.370 Volt (contro i 0.907 V del biochar semplice) e una pendenza di Tafel di 59 mV dec-1. Anche qui, un passo avanti notevole.
Un altro aspetto fondamentale è la stabilità. Il nostro elettrocatalizzatore ha mantenuto ottime prestazioni per ore di funzionamento continuo (25 ore per HER e 15 ore per OER), con solo un piccolo calo di corrente. Questo è promettente per applicazioni reali.
Abbiamo anche visto che la temperatura di pirolisi per la sintesi del catalizzatore finale è importante: 800°C si è rivelata ottimale. Temperature più basse non cristallizzano abbastanza il biochar, temperature più alte possono portare all’aggregazione dei metalli, riducendo i siti attivi accessibili.
Cosa Rende Speciale il Nostro BC-Mo/Co?
Credo che il successo del nostro materiale stia in una combinazione di fattori:
- L’origine sostenibile: valorizzare uno scarto agro-industriale è un grande plus in un’ottica di economia circolare.
- La struttura del biochar: l’elevata area superficiale e la porosità gerarchica offrono tantissimi siti per l’ancoraggio dei metalli e canali per il trasporto di massa.
- Il drogaggio con azoto: la presenza di azoto (soprattutto in configurazioni piridiniche e grafitiche) migliora la conduttività e l’attività catalitica.
- La sinergia Mo/Co: la formazione di fasi bimetalliche carburo (come Co6Mo6C2 e Mo2C) e la presenza di cobalto metallico sembrano creare un effetto sinergico potentissimo, superando le prestazioni dei singoli metalli. Il cobalto, inoltre, sembra favorire la grafitizzazione del biochar, migliorando ulteriormente il trasferimento elettronico.

L’analisi XPS (spettroscopia fotoelettronica a raggi X) ci ha confermato la presenza di questi legami C-Mo, legami Mo-N, e diverse forme di cobalto (metallico Co0 e ossidato Co2+/Co3+), tutti attori protagonisti nella catalisi.
Un Futuro Pieno di Energia (e Nocciole!)
Certo, siamo ancora a livello di laboratorio, ma i risultati sono davvero incoraggianti. Abbiamo dimostrato che è possibile creare elettrocatalizzatori bifunzionali efficienti, stabili ed economici partendo da un rifiuto. Questo apre la strada a studi futuri per ottimizzare ulteriormente il processo, magari migliorando la dispersione delle nanoparticelle metalliche o testando il materiale in celle elettrolitiche su scala più grande.
Pensate all’impatto: da un lato contribuiamo alla produzione di idrogeno verde, fondamentale per la transizione energetica, dall’altro diamo nuovo valore a un residuo agricolo, chiudendo il cerchio della sostenibilità. Non è affascinante? Io credo moltissimo nel potenziale di queste ricerche, che uniscono chimica dei materiali, ingegneria e un pizzico di creatività per affrontare le grandi sfide del nostro tempo.
Spero di avervi trasmesso un po’ del mio entusiasmo per questo lavoro. La scienza è anche questo: guardare le cose comuni con occhi nuovi e scoprire potenzialità nascoste. E chissà, magari la prossima volta che mangerete delle nocciole, penserete anche al loro possibile futuro come protagoniste della rivoluzione dell’idrogeno!
Fonte: Springer
