Guide Artiche: Custodi di Saperi Ancestrali per un Pianeta da Rispettare
Ciao! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante, su fino all’estremo nord, nella Norvegia Artica. Immaginate paesaggi mozzafiato, fiordi maestosi, e una natura potente, a tratti quasi primordiale. Ma non siamo qui solo per ammirare cartoline. Siamo qui per scoprire qualcosa di più profondo, qualcosa che lega indissolubilmente l’uomo a questo ambiente unico: i saperi tradizionali ed ecologici locali (quelli che gli studiosi chiamano TEK e LEK). E chi meglio delle guide naturalistiche locali può farci da ponte verso questa conoscenza?
Mi sono sempre chiesto: queste guide, che accompagnano turisti in escursioni, kayak, mountain bike, sono solo “intrattenitori” o possono essere veri e propri educatori ambientali? Possono, attraverso le loro pratiche e i loro racconti, aiutarci a costruire relazioni più sostenibili con il nostro pianeta, inclusi animali, piante, e persino rocce e spiriti dei luoghi? Credo proprio di sì, e uno studio recente condotto proprio lì, nell’Artico norvegese, sembra darmi ragione.
Ma cosa sono esattamente TEK e LEK?
Prima di addentrarci, chiariamo un attimo questi termini. Il Traditional Ecological Knowledge (TEK) non è solo un insieme di nozioni, ma un complesso sistema che intreccia conoscenza, pratica e credenze. È un sapere cumulativo, che si evolve adattandosi e viene tramandato di generazione in generazione attraverso la cultura. Riguarda le relazioni tra tutti gli esseri viventi (umani inclusi) e il loro ambiente. Spesso è associato alle conoscenze indigene, come quelle del popolo Sámi, che abita queste terre da millenni.
Il Local Ecological Knowledge (LEK), invece, è anch’esso legato a un luogo specifico, ma si sviluppa principalmente attraverso l’esperienza diretta e l’interazione con l’ambiente locale. Non è necessariamente intergenerazionale come il TEK. Entrambi, però, si distinguono dalla conoscenza scientifica occidentale “classica”, che spesso si basa su modelli statistici e studi quantitativi, talvolta trascurando le sfumature culturali e spirituali.
Il Contesto: L’Artico Norvegese, Terra di Incontri e Sfide
Lo studio si svolge in una regione specifica dell’Artico norvegese, parte del Sápmi, il territorio indigeno del popolo Sámi. Qui, la storia è complessa. La cultura Sámi, specialmente quella costiera (Sea Sámi), ha subito una forte repressione coloniale e tentativi di assimilazione da parte dello stato norvegese. Questo ha portato a una fusione di identità etniche, ma tutte accomunate da uno stretto legame con la natura, che oggi influenza anche le pratiche turistiche. Molti abitanti hanno antenati Sámi, spesso mescolati con altri gruppi etnici. Le pratiche e i saperi legati alla natura in queste zone sono quindi frutto di decenni di interazioni tra diverse culture.
Le comunità locali vivono di pesca, agricoltura, artigianato, allevamento di renne e, sempre più, di turismo. L’area attira visitatori per le sue incredibili opportunità di attività all’aria aperta: sci alpinismo, kayak, mountain bike, escursionismo… Ma c’è un’ombra che si allunga: il cambiamento climatico. Le temperature instabili modificano le condizioni della neve, rendendo difficili gli spostamenti per renne, cani da slitta e sciatori. Qui entra in gioco il potenziale enorme delle guide naturalistiche: interpretare l’ambiente naturale e culturale per creare consapevolezza ecologica, contribuendo forse a relazioni più sostenibili.

L’Educazione Ambientale all’Aperto (OEE) e la Decolonizzazione dello Sguardo
Spesso pensiamo all’educazione ambientale come a qualcosa che si fa a scuola. Ma le esperienze guidate in natura sono una forma potentissima di OEE (Outdoor Environmental Education). Si impara nella natura, sulla natura e per la natura. Tuttavia, anche l’OEE tradizionale può portare con sé un bagaglio coloniale e antropocentrico, vedendo la natura solo come risorsa o sfondo per le attività umane.
Ecco perché è fondamentale “decolonizzare” questo approccio. Come? Includendo prospettive diverse, come quelle indigene Sámi, che vedono il paesaggio come intriso di relazioni, dove anche animali, rocce, e spiriti hanno un loro ruolo e una loro “personalità” (agency). Si tratta di “pensare con il paesaggio”, riconoscendo la storia coloniale dei luoghi e mettendo in discussione la nostra visione umano-centrica. Le guide che incarnano TEK e LEK possono essere maestre in questo.
Incontriamo le Guide: Arne, Oliver e Mattias
Lo studio si è concentrato su tre guide locali, veri imprenditori “lifestyle” che gestiscono piccole attività, spesso familiari.
- Arne: Norvegese, cresciuto nella cultura costiera locale, profondamente legata alla natura. Conosce a menadito l’archeologia e la storia della sua zona, ricca di testimonianze Sámi e norrene. Offre escursioni, whale watching, kayak, tour in barca. L’ho accompagnato in un’escursione a un sito archeologico con resti antichi, tombe umane e di orsi, luoghi sacrificali.
- Oliver: Originario di un altro paese europeo, si è sposato con una famiglia norvegese e si è integrato profondamente nella comunità. Offre tour guidati in kayak da mare e corsi, oltre a mountain bike d’inverno. Ho partecipato a un suo tour serale in kayak attorno a un’isoletta, tra storie locali e l’avvistamento di un’aquila di mare.
- Mattias: Si identifica come Sámi, della cultura Sea Sámi legata alla piccola agricoltura e pesca nei fiordi. Ha esperienza internazionale come guida e una formazione specifica in guida naturalistica artica. Offre sci alpinismo e mountain bike. Ho fatto con lui un tour privato in mountain bike elettrica attraverso un paesaggio culturale Sea Sámi, tra villaggi, pratiche agricole tradizionali e panorami mozzafiato sul fiordo.
Queste esperienze sul campo, fatte di osservazione partecipata, conversazioni e interviste, hanno rivelato come TEK e LEK prendono vita nelle pratiche di queste guide. Possiamo riassumere il tutto attraverso tre metafore potenti.
Raccontare Storie: Un Ponte tra Passato, Presente e Futuro
La prima cosa che emerge è che l’attività fisica (camminare, pagaiare, pedalare) diventa quasi secondaria rispetto alle storie. Le guide usano il racconto per dare contesto e significato all’esperienza, ma anche per mettere a fuoco le sfide ambientali attuali, basandosi sulle loro osservazioni dirette del cambiamento climatico. Il TEK e il LEK si manifestano attraverso storie legate a luoghi tangibili (come siti archeologici) e intangibili (credenze, spiritualità).
Pensate ad Arne che, durante l’escursione, mi mostra una sieidi, una pietra sacra Sámi. Mi racconta delle credenze passate legate a questi luoghi, dove si credeva risiedessero spiriti da rispettare con offerte. Queste credenze portavano con sé norme di comportamento: non danneggiare la natura inutilmente, non disturbare. La sieidi stessa ha “agency”, richiede cura e rispetto. Questo sapere tradizionale promuove la coesistenza, non lo sfruttamento. Purtroppo, oggi questi siti sono minacciati dal turismo poco consapevole (furti di reperti, danni). Arne sottolinea come spesso manchi la competenza per approcciarsi a questi luoghi con la dovuta cura, anche da parte di insegnanti che portano scolaresche.
Ma le storie non sono solo antiche. Arne condivide la sua storia personale, radicata nella vita del fiskarbonde (pescatore-contadino), un modello di sussistenza tradizionale costiero. Racconta di come l’isola sia stata plasmata dal lavoro dei suoi avi, di come ancora oggi le pecore pascolino liberamente. Questo collega il passato al presente, mostrando la continuità della relazione uomo-natura. E poi ci sono le storie sul cambiamento: Arne, con la sua esperienza decennale del mare, racconta di come il clima più caldo stia impattando la vita marina, la pesca, la scomparsa delle foreste di kelp a causa dei ricci di mare. Il suo LEK diventa uno strumento per comunicare l’urgenza della crisi ecologica e la nostra interconnessione con l’ecosistema. Anche Oliver usa le storie: racconta di come la sua famiglia usava l’isoletta per il pascolo, di cosa ha trovato nei muri durante la ristrutturazione di un edificio storico. Queste narrazioni intrecciano cultura e natura, passato e presente.

Muoversi con Cura: Rispetto Incarnato per Ogni Essere
La seconda metafora riguarda il modo fisico di attraversare il paesaggio: muoversi con cura. Non si tratta solo di non lasciare tracce, ma di un atteggiamento incarnato, relazionale, basato su rispetto e reciprocità. Le guide, grazie alla loro conoscenza intima del luogo (TEK/LEK), sanno come muoversi responsabilmente.
Arne, ad esempio, non solo conosce ogni sentiero e anfratto del sito archeologico, ma si prende cura dei reperti, controlla le condizioni delle ossa nelle tombe dopo l’inverno. È una cura che nasce da una relazione profonda con quel luogo. Oliver, durante il tour in kayak, spiega ai turisti perché non addentrarsi nella foresta dell’isola (per non disturbare le pecore) e ricorda l’obbligo morale di non lasciare rifiuti. Questa cura si estende oltre gli esseri viventi: riguarda anche le rocce, le ossa, i manufatti.
Ma la cura è anche verso le persone e le comunità locali. Mattias, essendo una guida locale Sámi, sa come interagire con i residenti quando attraversa terreni privati nel villaggio vicino. Conosce le norme sociali, sa come chiedere permesso, come scusarsi se necessario. Mi ha raccontato di un episodio in cui un proprietario si lamentava dei turisti che lasciavano i cancelli aperti facendo scappare le pecore. La sua conoscenza locale gli ha permesso di gestire la situazione con sensibilità, cosa che una guida “straniera” forse non avrebbe saputo fare. Muoversi con cura significa quindi anche rispettare le dinamiche socioculturali del luogo, riconoscendo che questi paesaggi “naturali” sono in realtà vissuti e utilizzati da persone da secoli.
Il Ciclo della Vita: Ritmi Naturali e Consumo Consapevole
L’ultima metafora è quella del ciclo della vita (lifecycling). Si riferisce alla filosofia delle guide verso i cicli naturali, sia materiali che immateriali, e alla loro conoscenza dei ritmi della natura. Caratterizza anche le loro pratiche di riuso, consumo responsabile, utilizzo di prodotti locali e buona manutenzione dell’attrezzatura.
In un mondo di turismo outdoor spesso spinto dal consumismo di attrezzature sempre nuove, queste guide mostrano un approccio diverso. Mattias sottolinea l’importanza di usare l’equipaggiamento fino alla fine, di riparare gli sci invece di buttarli. Si parla di preferire una barca a remi tradizionale a una a motore, di acquistare abbigliamento riciclato. Sono “pratiche materiali con i piedi per terra”, che riconoscono che anche gli oggetti fanno parte delle nostre relazioni con il mondo.
Questo approccio si estende al cibo. Tutte e tre le guide valorizzano il cibo sostenibile, locale, spesso di origine tradizionale. Oliver coltiva ortaggi biologici e produce miele. Mattias riflette criticamente sull’impatto degli allevamenti intensivi di pecore sul paesaggio e sulla fauna selvatica, preferendo spesso opzioni vegetariane. Durante il tour in bici, mi ha mostrato piante selvatiche usate nella cucina e medicina tradizionale Sámi, comunicando la connessione reciproca tra umani e non-umani attraverso la pratica della raccolta.
Fondamentale è l’adattamento ai ritmi delle stagioni. La vita e il lavoro delle guide sono scanditi dal ciclo naturale: le attività offerte cambiano con le stagioni, la conoscenza delle maree, del ghiaccio, del meteo (LEK) è cruciale. C’è una consapevolezza Sámi profonda qui: chiedere permesso alla natura, non prendere più del necessario, rispettare ogni essere. Le guide limitano la dimensione dei gruppi e la frequenza delle visite per non sovraccaricare l’ambiente. Infine, il “lifecycling” è anche passare questa conoscenza. Arne, quando ospita turisti, serve cibo tradizionale e, se gli ospiti sono interessati, li coinvolge nella preparazione, proprio come suo nonno ha insegnato a lui: “imparare facendo”, capendo il “perché” prima del “come”.

Conclusioni: Semi di Sostenibilità da Coltivare
Allora, cosa ci portiamo a casa da questo viaggio nell’Artico? Che le guide naturalistiche che lavorano con TEK e LEK sono molto più che semplici accompagnatori. Sono educatori ambientali potentissimi, anche in un contesto commerciale. Attraverso le loro storie, il loro modo di muoversi con cura e il loro rispetto per i cicli della vita, ci mostrano percorsi concreti verso relazioni più sostenibili e giuste con il mondo che ci circonda, umano e non-umano.
Le metafore dello storytelling, del muoversi con cura e del lifecycling possono ispirare non solo altre guide, ma anche insegnanti, leader di gruppi outdoor e chiunque voglia promuovere un rapporto più profondo e rispettoso con la natura. Certo, c’è ancora molta strada da fare per integrare davvero questi saperi nella formazione delle guide e nei programmi di OEE, decolonizzando approcci ancora troppo spesso eurocentrici.
La chiave, come sempre, sta nella collaborazione, nell’ascolto e nel rispetto. Collaborare con i detentori di questi saperi (come le comunità Sámi), chiedere il permesso, riconoscere che non tutta la conoscenza è fatta per essere condivisa universalmente. Solo così potremo davvero imparare da queste pratiche ancestrali e attualissime, e forse, iniziare a prenderci cura del nostro pianeta in modo più autentico e responsabile.
Fonte: Springer
