Remare Verso la Speranza: Come la Cultura Nativa Aiuta i Giovani a Ritrovare la Vita con “Healing of the Canoe”
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi sta davvero a cuore: come le radici culturali possano diventare un’ancora di salvezza potentissima, specialmente per i giovani che affrontano momenti bui. Immaginate una canoa: simbolo di viaggio, di comunità, di tradizione. Ora immaginate che quella canoa possa letteralmente “guarire”. È questa l’idea affascinante dietro al progetto “Healing of the Canoe” (HOC), o “Guarigione della Canoa”.
Parliamoci chiaro, la situazione per molti giovani Nativi Americani e Nativi dell’Alaska (AIAN) è drammatica. Le statistiche sul rischio di suicidio, ideazione, tentativi e purtroppo decessi sono sproporzionatamente alte rispetto ad altri gruppi etnici. I dati dei CDC statunitensi (2018-2021) parlano di tassi di suicidio tra i giovani AIAN (10-24 anni) più di tre volte superiori alla media nazionale. Un dato che fa venire i brividi. Dietro questi numeri ci sono storie, comunità ferite, e l’ombra lunga di traumi storici legati al colonialismo e al razzismo, che ancora oggi pesano come macigni.
La Forza della Cultura Come Terapia
Per anni, si è cercato di applicare modelli di intervento “validati scientificamente” ma spesso pensati e testati su popolazioni non-Native. Il risultato? Spesso inefficaci, se non controproducenti. Ma da tempo, ricercatori, operatori e leader Nativi stanno alzando la voce, dicendo: “Ehi, abbiamo millenni di saggezza culturale a cui attingere! La nostra forza è lì, nelle nostre tradizioni, nella nostra comunità”. Ed è qui che entra in gioco la “cultura come intervento”. Non si tratta solo di folklore, ma di un approccio che rafforza l’identità, il senso di appartenenza, la connessione con gli Antenati e con la terra. È stato visto e rivisto: la connessione culturale è un fattore protettivo enorme contro la disperazione e il suicidio.
Cos’è Esattamente “Healing of the Canoe”?
Il progetto HOC nasce proprio da questa consapevolezza, nel cuore delle comunità Native del Pacifico Nord-Occidentale (PNW) degli Stati Uniti, dove la cultura della canoa è un pilastro identitario. È un curriculum flessibile, sviluppato insieme alle tribù Suquamish e Port Gamble S’Klallam e all’Università di Washington. Non è un pacchetto rigido calato dall’alto, ma qualcosa che può essere adattato al contesto specifico di ogni comunità.
Il cuore del programma ruota attorno a 10 concetti e abilità fondamentali per la vita:
- Consapevolezza di sé
- Riconoscere e combattere gli stereotipi
- Chiedere aiuto alla comunità
- Fare da mentore agli altri
- Gestire le emozioni negative
- Porsi degli obiettivi
- Superare ostacoli e risolvere problemi
- Ascolto e comunicazione efficace
- Comprendere le conseguenze dell’uso di sostanze
- Servire la comunità
Il bello è che non sono lezioni frontali noiose! Vengono coinvolti membri della comunità, Anziani, custodi della cultura, che insegnano abilità pratiche (come intagliare una canoa!), raccontano storie, creano legami positivi tra giovani e adulti. Inizialmente HOC era focalizzato sulla riduzione dell’uso di sostanze e altri comportamenti a rischio, e già lì aveva mostrato risultati positivi su speranza, ottimismo e autoefficacia.
La Svolta: HOC e la Prevenzione del Suicidio
Nel 2016, su richiesta specifica, il curriculum HOC è stato arricchito con moduli dedicati proprio alla prevenzione e all’intervento sul suicidio. Un modulo aiuta i ragazzi a capire meglio le proprie emozioni e insegna tecniche di autoregolazione, sempre intrecciate con elementi culturali, per coltivare speranza, ottimismo, autoefficacia e resilienza. Un altro modulo usa la potente metafora della “persona fuoribordo” (legata alla canoa) per insegnare a riconoscere i segnali di allarme del suicidio negli altri e cosa fare per aiutarli.
Ed è qui che arriva lo studio di cui vi parlo oggi, il primo a valutare l’efficacia di HOC *dopo* l’aggiunta di questi moduli specifici, confrontando i ragazzi che hanno partecipato (il gruppo di intervento, IG) con un gruppo simile di giovani che non hanno partecipato (il gruppo di non-intervento o di confronto, NIG).
Lo Studio: Cosa Hanno Scoperto?
Attenzione, non si trattava di un esperimento da laboratorio super controllato. Era più uno “studio sul campo”, nato dall’esigenza di capire se il programma funzionasse nel mondo reale, con tutte le sue variabili. Hanno raccolto dati tramite questionari compilati dai ragazzi prima (Pre-Survey) e dopo (Post-Survey) la partecipazione al programma (per l’IG) o nello stesso arco di tempo (per il NIG). Hanno misurato diverse cose, raggruppate in categorie come: speranza, salute mentale, ricerca di aiuto e capacità di aiutare gli altri, tentativi di suicidio, connessione culturale e resilienza.
C’erano 74 ragazzi nel gruppo HOC (IG) e 59 nel gruppo di confronto (NIG) che hanno completato entrambi i questionari. L’età media era simile, intorno ai 13 anni e mezzo. Lo studio si è svolto tra il 2018 e il 2019 in sei comunità tribali del PNW.
E i risultati? Davvero incoraggianti, direi!
- Speranza e Resilienza: Qui la differenza è stata netta. I ragazzi del gruppo HOC hanno mostrato un aumento significativo nei punteggi di speranza e resilienza tra il pre e il post questionario. Al contrario, i ragazzi del gruppo di confronto hanno visto questi stessi punteggi diminuire nello stesso periodo. È come se HOC non solo avesse dato una spinta positiva, ma avesse anche contrastato una tendenza negativa generale.
- Salute Mentale: Anche se l’effetto non è stato statisticamente forte come per speranza e resilienza, si è vista una tendenza interessante. La salute mentale percepita dai ragazzi HOC è leggermente migliorata, mentre quella dei ragazzi del gruppo di confronto è leggermente peggiorata.
- Un Dato Importante su Ragazze e Identità Non Binarie: Lo studio ha notato che, in generale, le ragazze e i giovani non binari riportavano punteggi di salute mentale più bassi rispetto ai ragazzi maschi. Tuttavia, mentre nel gruppo di confronto questi punteggi sono diminuiti nel tempo, nel gruppo HOC sono rimasti stabili. Sembra quasi che HOC abbia offerto una sorta di “scudo” protettivo contro il peggioramento.
- Ricerca di Aiuto e Cultura: Su altri fronti, come la propensione a cercare aiuto per sé o per gli altri, o il senso di connessione culturale misurato specificamente da alcune domande, non sono emerse differenze significative tra i due gruppi in questo studio.
Le Sfide e il Valore della Ricerca sul Campo
Certo, come dicevo, lo studio ha i suoi limiti. Il numero di partecipanti non era enorme, le modalità di implementazione di HOC variavano tra le comunità (alcune facevano un campo estivo, altre incontri durante l’anno scolastico), e c’è stata una certa perdita di partecipanti nel gruppo di confronto tra il primo e il secondo questionario (comprensibile, non c’era un programma a tenerli legati). Inoltre, un aspetto interessante è che circa il 30% dei giovani nel gruppo HOC, pur facendo parte della comunità tribale, non si auto-identificava come Nativo Americano/Nativo dell’Alaska nei questionari. Questo, come notano i ricercatori, potrebbe essere una dolorosa conseguenza del trauma intergenerazionale e del razzismo interiorizzato.
Nonostante queste sfide, che sono tipiche della ricerca fatta *con* e *per* le comunità nel mondo reale, i risultati sono preziosi. Ci dicono che programmi come HOC, che mettono al centro la cultura, le relazioni e le abilità pratiche, hanno davvero il potenziale per fare la differenza. Sembrano capaci di invertire tendenze negative in indicatori chiave come la speranza e la resilienza, fondamentali per il benessere mentale.
Le voci stesse dei ragazzi che hanno partecipato a HOC lo confermano. Alla domanda su cosa avessero imparato di più utile, le risposte sono state toccanti:
- “Ho imparato la pazienza e a crescere come persona migliore”
- “Tecniche per affrontare le emozioni”
- “Ho un sacco di persone che mi vogliono bene”
- “Come intagliare il legno”
- “Mi ha avvicinato alle persone e mi ha dato nuovi amici”
- “Ogni gruppo ha degli stereotipi, sta a me cercare di non farmi ferire”
- “Ho imparato cose nuove sulla mia cultura”
- “A fare respiri profondi”
- “Relazioni sane”
Guardando al Futuro: Più Canoe, Più Speranza
Cosa ci portiamo a casa da tutto questo? Che la strada indicata da “Healing of the Canoe” è promettente. C’è bisogno di più ricerca, magari con numeri più grandi e cercando di capire meglio quali aspetti del programma funzionano meglio (la durata? il formato? attività culturali specifiche?). Sarebbe utile anche approfondire perché alcune aree, come la ricerca d’aiuto, non hanno mostrato cambiamenti, per capire se il curriculum può essere ulteriormente migliorato.
Ma il messaggio fondamentale è forte e chiaro: investire in programmi culturalmente radicati, sviluppati dalle comunità stesse, non è solo una questione di rispetto, è una strategia di prevenzione efficace e potente. È un modo per aiutare i giovani a ritrovare le proprie radici, la propria forza interiore e, letteralmente, a remare verso un futuro con più speranza. La “Guarigione della Canoa” ci mostra che a volte, la cura più profonda viene proprio dal riconnettersi con chi siamo e da dove veniamo.
Fonte: Springer