Schemi Agroambientali: Perché la Governance è la Chiave (e Cosa la Blocca)
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta molto a cuore e che, secondo me, è cruciale per il futuro della nostra agricoltura e del nostro ambiente: gli schemi agroambientali (AES). Ne sentiamo parlare tanto, soprattutto nell’ambito della Politica Agricola Comune (PAC) dell’Unione Europea. Sono quegli strumenti pensati per incoraggiare gli agricoltori ad adottare pratiche più sostenibili, più rispettose della biodiversità, del clima e del paesaggio. In pratica, si tratta di contratti in cui gli agricoltori ricevono pagamenti per fare cose come ridurre fertilizzanti e pesticidi, mantenere prati stabili, creare fasce fiorite per gli impollinatori, o conservare pratiche tradizionali come il pascolo estensivo.
Sulla carta, sembrano una soluzione fantastica, no? Ci si aspetta molto da questi schemi. Il problema è che, troppo spesso, i risultati ambientali concreti faticano ad arrivare. Molti studi hanno messo in dubbio la loro reale efficacia nel raggiungere obiettivi a lungo termine come la protezione della biodiversità o la mitigazione del cambiamento climatico. E allora, la domanda sorge spontanea: perché?
Finora, la ricerca si è concentrata molto sugli aspetti ecologici (funzionano davvero quelle misure?) ed economici (costi, benefici, pagamenti adeguati?). Sono analisi importantissime, sia chiaro. Ma c’è un pezzo del puzzle che forse abbiamo trascurato un po’: la governance.
Ma cosa c’entra la governance?
Quando parlo di governance, intendo tutto quel complesso sistema di attori, regole, processi decisionali e interazioni che sta dietro all’implementazione di una politica. Chi decide cosa? Chi controlla? Chi paga? Chi consiglia gli agricoltori? Come comunicano tra loro tutti questi soggetti?
Ecco, l’idea alla base dello studio che vi racconto oggi è proprio questa: analizzare gli schemi agroambientali da una prospettiva di governance per capire meglio cosa non funziona e perché i risultati ambientali a volte deludono. Non basta avere una buona misura ecologica o un incentivo economico; se il “sistema” che la deve mettere in pratica ha delle falle, l’efficacia ne risente.
Per farlo, abbiamo sviluppato un modello che guarda alla governance degli AES su tre livelli distinti, un po’ come i piani di un edificio:
- Livello Macro: Qui si definiscono le “regole del gioco” generali, gli obiettivi strategici, i budget. È il livello delle istituzioni europee e dei ministeri nazionali che stabiliscono i confini della politica.
- Livello Meso: Questo è il piano dell’implementazione pratica. Qui troviamo le amministrazioni regionali, le agenzie di controllo e pagamento, gli enti che coordinano i progetti sul territorio, i servizi di consulenza. Traducano le direttive generali in azioni concrete.
- Livello Micro: È il livello “a terra”, quello degli agricoltori e dei gestori del territorio. Sono loro che, alla fine, devono adottare le pratiche richieste dagli schemi. Le loro decisioni e azioni determinano il successo o il fallimento sul campo.
Questo approccio multilivello ci aiuta a capire che le decisioni prese a un piano influenzano gli altri e che le interazioni (o la mancanza di interazioni) tra i diversi piani sono fondamentali.
Il caso studio: uno sguardo da vicino
Per mettere alla prova questo modello, abbiamo condotto uno studio approfondito in una regione specifica: l’Hauts-de-France, nel nord della Francia. È una regione molto agricola, con produzioni intensive ma anche con sfide ambientali significative. Inoltre, la Francia ha una struttura di governance interessante, storicamente centralizzata ma con recenti spinte verso la decentralizzazione, il che la rende un caso perfetto per osservare come funziona il principio di sussidiarietà (le decisioni prese al livello più basso possibile ed efficace) nell’ambito della PAC.
Abbiamo parlato con tantissime persone: funzionari regionali, rappresentanti di organizzazioni agricole, consulenti, ricercatori, membri di ONG locali, agricoltori. Abbiamo cercato di mappare chi fa cosa (i ruoli), chi sono gli attori coinvolti e, soprattutto, quali sono gli ostacoli, le “barriere”, che impediscono agli schemi agroambientali di funzionare al meglio dal punto di vista ambientale.
Le barriere: cosa abbiamo scoperto?
E qui viene il bello! Abbiamo identificato ben 40 diverse barriere. Tante, vero? Le abbiamo raggruppate in sette categorie principali:
- Tecniche: Difficoltà legate alla messa in pratica delle misure.
- Dinamiche di Potere e Relazionali: Influenza di lobby, squilibri di potere nelle negoziazioni, mancanza di fiducia tra attori.
- Conoscenza: Lacune nella comprensione dei processi ecologici, delle procedure amministrative o persino di chi fa cosa nella rete di governance.
- Organizzative: Problemi di coordinamento tra enti, complessità burocratica, ritardi nei pagamenti, mancanza di meccanismi di feedback.
- Finanziarie: Budget insufficienti, pagamenti non adeguati a coprire i costi o il mancato guadagno, difficoltà nel valorizzare sul mercato i prodotti “AES”.
- Culturali: Scarsa fiducia tra agricoltori e amministrazioni, avversione al rischio, norme sociali locali, narrazioni dominanti che colpevolizzano solo gli agricoltori.
- Istituzionali: Regole troppo rigide o poco adatte al contesto locale, criteri di ammissibilità restrittivi, mancanza di coerenza con altre politiche agricole.
Quello che è emerso chiaramente è che queste barriere non sono confinate a un solo livello o a un solo tipo di attore. Sono distribuite in modo diseguale tra i livelli macro, meso e micro.
Un problema multilivello e di “agenzia”
Alcune barriere sono specifiche di un livello. Ad esempio, al livello macro troviamo problemi legati al design generale delle politiche, ai vincoli di budget imposti dall’UE o dallo Stato, e all’influenza delle lobby. Al livello meso, spiccano le difficoltà organizzative e di coordinamento tra le diverse agenzie regionali e i partner locali. Al livello micro, invece, pesano di più fattori culturali come l’avversione al rischio o la fiducia nelle istituzioni.
Ma molte barriere attraversano più livelli. Pensiamo alla mancanza di conoscenza: può esserci una lacuna nella conoscenza scientifica a livello macro (chi disegna le misure non capisce appieno gli effetti ecologici), una mancanza di conoscenza delle procedure amministrative a livello meso (chi deve gestire le pratiche si perde nella burocrazia), e una mancanza di conoscenza tecnica a livello micro (l’agricoltore non sa come implementare al meglio una pratica). Questi problemi sono interconnessi!
Un altro punto fondamentale che è emerso è quello che potremmo chiamare il “problema dell’agenzia”. Spesso, gli attori che subiscono le conseguenze di una barriera non sono quelli che hanno il potere (l’agency) di rimuoverla. Ad esempio, un agricoltore (livello micro) può lamentare un pagamento troppo basso (barriera finanziaria), ma la decisione sul livello dei pagamenti viene presa a livello nazionale o europeo (livello macro). Oppure, un’amministrazione regionale (livello meso) può soffrire per la complessità burocratica imposta dalle regole nazionali (livello macro).
Questo significa che le soluzioni non possono essere semplicistiche. Non basta dire “semplifichiamo le procedure” se il problema principale è la mancanza di fondi decisa a un livello superiore. Bisogna capire dove si trova la barriera e chi ha il potere di intervenire, promuovendo dialogo e collaborazione tra i diversi livelli.
Oltre la governance: uno sguardo più ampio
Infine, lo studio ci ricorda che la governance degli AES non vive in una bolla. Ci sono attori e forze esterne che influenzano la performance ambientale. Pensiamo al mercato: se i consumatori non riconoscono o non sono disposti a pagare un prezzo maggiore per prodotti ottenuti con pratiche sostenibili incentivate dagli AES, per gli agricoltori diventa più difficile adottarle. Anche le banche, con le loro politiche di valutazione del rischio per gli investimenti agricoli, possono giocare un ruolo.
Quindi, migliorare l’efficacia degli schemi agroambientali richiede non solo di aggiustare la governance interna, ma anche di considerare queste dinamiche esterne, lavorando su tutta la filiera, dalla produzione al consumo.
Cosa ci portiamo a casa?
Se dovessi riassumere in pochi punti cosa ho imparato da questa immersione nella governance degli AES, direi:
- La governance conta, eccome! Non possiamo ignorarla se vogliamo che gli schemi agroambientali raggiungano i loro obiettivi.
- Le barriere sono tante, diverse e interconnesse. Non esiste una soluzione unica. Bisogna analizzare caso per caso, livello per livello.
- Chi subisce il problema non sempre può risolverlo. È fondamentale capire chi ha il potere decisionale e promuovere la collaborazione tra livelli.
- Bisogna guardare anche fuori dalla finestra. Mercato, consumatori e altri attori esterni influenzano il successo degli AES.
Insomma, rendere la nostra agricoltura davvero più sostenibile attraverso gli schemi agroambientali è una sfida complessa, che va ben oltre la semplice definizione di una pratica ecologica o di un incentivo economico. Richiede un’attenzione costante ai meccanismi di governance, alle interazioni tra chi decide, chi implementa e chi agisce sul campo. Spero che questo sguardo “dietro le quinte” vi sia stato utile e vi abbia dato qualche spunto di riflessione!
Fonte: Springer