Ritratto fotografico concettuale, un volto composto da diversi frammenti che rappresentano vari tratti (intelligenza, motivazione, sicurezza), obiettivo 50mm, stile duotone blu e grigio, profondità di campo.

Intelligente, Sicuro, Motivato? Decifrare gli Studenti a Prima Vista con il Modello Lente

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi affascina da sempre: come ci formiamo le prime impressioni sugli altri, specialmente in un contesto delicato come la scuola. Sapete, quei giudizi quasi istantanei che diamo o riceviamo? Ecco, mi sono imbattuto in uno studio interessante che cerca di capire proprio questo: come insegnanti (o futuri insegnanti) valutano caratteristiche come l’intelligenza, l’autoconcetto accademico e la motivazione degli studenti basandosi solo su brevi video, senza conoscerli affatto. E lo fanno usando un approccio chiamato “Modello Lente” di Brunswik. Curiosi di sapere cosa abbiamo scoperto?

Il Potere (e il Pericolo) della Prima Impressione a Scuola

Partiamo da un presupposto: i giudizi degli insegnanti sugli studenti sono all’ordine del giorno. Non si tratta solo di voti, ma di valutazioni su un sacco di aspetti: abilità, sicurezza di sé, motivazione… E questi giudizi, amici miei, hanno un peso! Possono influenzare le decisioni didattiche, l’interazione in classe, persino la percezione che gli studenti hanno di sé, la loro motivazione e il loro comportamento.

Pensateci: un giudizio accurato può aiutare un insegnante a personalizzare l’insegnamento, adattandolo alle reali esigenze dello studente (quella che chiamano didattica adattiva). Ma un giudizio impreciso o, peggio, viziato da pregiudizi? Beh, quello può avere effetti negativi sul rendimento, sulla motivazione e persino sulla soddisfazione generale dello studente. Sono i famosi “effetti aspettativa”.

Di solito, si studia l’accuratezza dei giudizi degli insegnanti quando conoscono i loro studenti da tempo. Ma cosa succede al primissimo incontro? Quelle che chiamano valutazioni a “zero conoscenza” (zero-acquaintance), basate magari solo su pochi istanti di osservazione (thin-slices of behavior)? Queste prime impressioni sono fondamentali perché, diciamocelo, tendono a rimanere stabili nel tempo e possono condizionare tutto ciò che viene dopo. Eppure, se ne sa ancora poco.

Ecco perché questo studio è intrigante: usa proprio l’approccio delle “fette sottili di comportamento” per capire cosa guida queste primissime valutazioni.

Sbirciare Attraverso la Lente: Come Giudichiamo?

Per analizzare questo processo, abbiamo usato il Modello Lente di Brunswik. Immaginatelo come… beh, una lente! Da una parte c’è la caratteristica reale dello studente (intelligenza, motivazione…), che non possiamo vedere direttamente. Dall’altra ci siamo noi, i “giudici”. In mezzo, ci sono gli “indizi” (cues): informazioni osservabili, come l’espressione del viso, i gesti, l’aspetto fisico (porta gli occhiali? come è vestito?).

Il modello ci aiuta a capire:

  • Quali indizi sono davvero collegati alla caratteristica reale dello studente (validità dell’indizio)?
  • Quanto bene l’insieme degli indizi disponibili predice quella caratteristica (predicibilità)?
  • Quali indizi usiamo noi per dare il nostro giudizio (utilizzo dell’indizio)?
  • Quanto siamo coerenti nell’usare sempre la stessa “strategia” di giudizio (coerenza della risposta)?
  • Quanto siamo bravi a usare gli indizi che sono davvero validi (sensibilità all’indizio o matching)?

In pratica, secondo il Modello Lente, siamo giudici più accurati se ci sono indizi validi disponibili, se li usiamo in modo coerente e, soprattutto, se diamo peso agli indizi giusti!

Fotografia di ritratto, stile film noir, primo piano di un insegnante pensieroso che osserva uno studente in un'aula, profondità di campo, obiettivo 35mm, bianco e nero.

L’Esperimento: Studenti Sotto la Lente (Letteralmente!)

Cosa abbiamo fatto concretamente? Abbiamo preso 102 studenti universitari (futuri insegnanti e studenti di psicologia) e gli abbiamo mostrato brevi video (45 secondi l’uno, senza audio) di 45 studenti delle scuole superiori (10° grado). Questi ragazzi erano stati filmati mentre facevano esperimenti di fisica in un laboratorio universitario – una situazione scelta apposta perché genera comportamenti più osservabili rispetto a stare seduti al banco.

I nostri “giudici” non conoscevano affatto gli studenti nei video. Dopo ogni clip, dovevano valutare l’intelligenza dello studente, il suo autoconcetto accademico generale, il suo autoconcetto accademico specifico per la fisica e la sua motivazione intrinseca per la fisica.

Dall’altra parte, avevamo i dati reali degli studenti: i risultati di un test di intelligenza standardizzato e le loro auto-valutazioni su autoconcetto e motivazione, raccolte prima della visita al laboratorio.

Ma non è finita qui! Due ricercatori indipendenti hanno analizzato minuziosamente i video, codificando ben 165 indizi diversi per ogni studente: dall’aspetto fisico (colore dei capelli, occhiali, stile dei vestiti…) al comportamento non verbale (espressioni facciali – sorride? sembra attento? teso? – e gesti). Questi dati sugli indizi sono stati poi usati per le analisi con il Modello Lente. L’obiettivo era capire quali di questi 165 segnali venissero usati dai giudici e quali fossero realmente collegati alle caratteristiche degli studenti.

Il Verdetto: Cosa Abbiamo Visto Attraverso la Lente?

E allora, cosa è emerso? I risultati sono stati piuttosto interessanti e, per certi versi, sorprendenti.

Quanto siamo stati accurati?
Beh, non tantissimo, in generale. L’accuratezza media era statisticamente significativa per tutte le caratteristiche, ma i valori erano bassi o medi. Siamo stati un po’ più bravi a giudicare la motivazione intrinseca in fisica (accuratezza media r = 0.23 per il singolo giudice, r = 0.43 per il giudice medio). Molto meno per l’intelligenza (praticamente zero accuratezza per il singolo giudice, r = -0.03, e molto bassa per il giudice medio, r = 0.10). L’autoconcetto accademico (generale e in fisica) si è piazzato a metà strada.

C’erano indizi utili nell’ambiente?
Sì, l’ambiente (cioè i video) conteneva informazioni potenzialmente utili. La predicibilità (quanto bene l’insieme degli indizi poteva prevedere la caratteristica reale) era più alta per la motivazione in fisica (R² = 0.61) e più bassa per l’intelligenza (R² = 0.29). Quindi, c’erano più segnali validi per capire la motivazione che per capire l’intelligenza, almeno in quei 45 secondi di video muto.

Come abbiamo usato gli indizi?
Qui le cose si fanno succose. I nostri giudici sono stati molto coerenti (Rs tra 0.69 e 0.72): tendevano ad applicare la stessa “formula” di giudizio a tutti gli studenti. Ma quali indizi pesavano di più in questa formula?

  • Sesso dello studente: Questo è stato un fattore forte! I ragazzi (maschi) venivano costantemente giudicati come più intelligenti, più motivati e con un autoconcetto accademico più alto.
  • Espressione facciale: Uno sguardo attento e sicuro di sé (non timido) portava a giudizi più positivi su tutte le caratteristiche.
  • Occhiali: Portare gli occhiali era associato a giudizi più alti su autoconcetto, motivazione e intelligenza.
  • Aspetto fisico: Un aspetto “scuro” (capelli, carnagione?) e gesti “espressivi” o “tesi” erano anch’essi associati a valutazioni più elevate. Al contrario, un viso percepito come “distintivo” o “maturo” portava a giudizi più bassi.

Immagine macro di un occhio umano che guarda attraverso una lente d'ingrandimento verso un diagramma astratto, obiettivo macro 90mm, alta definizione, illuminazione controllata, messa a fuoco precisa.

Ma quali indizi erano DAVVERO validi?
E qui casca l’asino! Gli indizi che i nostri giudici usavano non sempre coincidevano con quelli realmente collegati alle caratteristiche degli studenti.

  • Sesso dello studente: Era effettivamente valido per l’autoconcetto e la motivazione (le ragazze nel campione riportavano valori più bassi), ma non per l’intelligenza (non c’erano differenze reali nei punteggi IQ tra ragazzi e ragazze).
  • Aspetto fisico: Essere alti, avere un aspetto mascolino (anche all’interno dello stesso sesso) e avere un’acconciatura “distintiva” erano legati a una maggiore motivazione in fisica e/o autoconcetto in fisica. Uno stile di abbigliamento “distintivo”, invece, era legato a un autoconcetto più basso in fisica.
  • Espressione facciale e gesti: Un’espressione amichevole e gesti tesi erano positivamente collegati all’autoconcetto accademico generale. I gesti tesi erano validi anche per l’autoconcetto in fisica.

Notate le differenze? Ad esempio, l’espressione attenta e sicura, così importante per i giudici, non era un indicatore valido. Gli occhiali, altro fattore chiave nei giudizi, non erano collegati a nessuna delle caratteristiche reali. E soprattutto, il sesso veniva usato per giudicare l’intelligenza, anche se non c’era una base reale per farlo.

Il Bias di Genere
Questo ci porta a un punto cruciale: abbiamo trovato prove di un bias di genere, specialmente per l’intelligenza, a favore dei ragazzi. Anche se non c’erano differenze nei test di intelligenza, i maschi venivano percepiti come più intelligenti. Questo è preoccupante, soprattutto nel contesto della fisica (una materia STEM), dove questi stereotipi sono noti. Per l’autoconcetto e la motivazione, il giudizio a favore dei maschi rifletteva in parte le auto-valutazioni degli studenti (le ragazze si valutavano più basse), un fenomeno che alcuni chiamano “nocciolo di verità” (kernel of truth) negli stereotipi, ma che non giustifica il bias sull’intelligenza.

Cosa Ci Portiamo a Casa?

Questo studio, pur con i suoi limiti (solo video muti, contesto specifico della fisica, giudici studenti e non insegnanti esperti), ci dice alcune cose importanti.

Primo, le prime impressioni basate su pochissime informazioni sono un processo complesso e fallibile. Siamo abbastanza bravi a cogliere la motivazione a pelle, ma molto meno l’intelligenza, almeno basandoci solo sull’aspetto e sul comportamento non verbale.

Secondo, ci affidiamo molto a certi indizi (sguardo attento, occhiali, sesso) che potrebbero non essere per nulla validi. La nostra “lente” può essere distorta.

Terzo, il bias di genere è reale e può insinuarsi fin dalle primissime impressioni, specialmente in ambiti come le STEM. Il fatto che i ragazzi fossero giudicati più intelligenti senza una base oggettiva è un campanello d’allarme.

Foto grandangolare di un laboratorio di fisica universitario luminoso, studenti adolescenti lavorano individualmente su esperimenti scientifici ai banchi, obiettivo grandangolare 20mm, messa a fuoco nitida.

Questo significa che noi insegnanti (o futuri tali) dobbiamo essere consapevoli di questi meccanismi. Dobbiamo sapere che i nostri giudizi iniziali possono essere sbagliati e che dobbiamo essere pronti a rivederli man mano che conosciamo meglio gli studenti. Dobbiamo interrogarci sui possibili bias che potremmo avere, come quello di genere.

La ricerca futura dovrà esplorare altri contesti, includere la comunicazione verbale, coinvolgere insegnanti esperti e capire come queste prime impressioni si traducono poi nel comportamento reale in classe. Ma già ora, questo studio ci ricorda quanto sia importante guardare oltre le apparenze e sforzarsi di conoscere ogni studente per quello che è veramente.

Insomma, la prossima volta che incontrate uno studente per la prima volta, ricordatevi della “lente”: cercate di essere consapevoli degli indizi che state usando e chiedetevi… sono davvero quelli giusti?

Fonte: Springer

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