Concetto astratto di biomarcatori nel sangue con molecole di GFAP stilizzate che fluttuano tra globuli rossi e una rappresentazione schematica della barriera emato-encefalica. Macro lens, 60mm, high detail, precise focusing, illuminazione drammatica per evidenziare le molecole.

GFAP nel Sangue: Biomarcatore Miracoloso o Specchietto per le Allodole nelle Malattie Neurodegenerative?

Amici scienziati e appassionati di neuroscienze, mettetevi comodi perché oggi voglio parlarvi di un argomento che scotta, uno di quelli che ci fa battere forte il cuore nel mondo della ricerca: i biomarcatori. E non un biomarcatore qualsiasi, ma uno che negli ultimi dieci anni ha fatto parlare parecchio di sé: la proteina gliale fibrillare acida, o più semplicemente GFAP. Immaginate la scena: stiamo cercando disperatamente degli indicatori precoci, affidabili e magari poco invasivi per diagnosticare malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, il Parkinson, la sclerosi multipla, prima ancora che i sintomi si manifestino con prepotenza. Ed ecco che spunta lei, la GFAP, una proteina che sembra promettere faville.

Il Fascino Discreto della GFAP

Devo ammettere che l’entusiasmo iniziale era più che giustificato. La GFAP, presente nel nostro fluido cerebrospinale (CSF) e nel sangue, ha mostrato in numerosi studi una correlazione interessante con la progressione di diverse patologie del cervello e del midollo spinale. In particolare, nel CSF, i livelli di GFAP sembrano andare a braccetto con l’astrogliosi, ovvero la reazione degli astrociti (cellule importantissime del nostro sistema nervoso) a un danno o a una malattia. Questo dato è supportato da altri marcatori di astrogliosi come S100β, CHI3L1 (conosciuta anche come YKL40 nell’uomo), acquaporina 4, e persino da tecniche di imaging come la PET che “fotografano” gli astrociti reattivi.

Anzi, per dirla tutta, in alcuni contesti, come quello dell’Alzheimer, la GFAP nel plasma (la parte liquida del sangue) sembrava addirittura offrire una performance diagnostica superiore a quella nel CSF. Studi su pazienti, con tanto di risonanze magnetiche e PET, hanno sottolineato come i livelli di GFAP nei fluidi corporei, specialmente nel plasma, fossero significativamente correlati alla progressione della malattia. Addirittura, ricerche recenti suggeriscono che la reattività astrocitaria, indicata da un aumento della GFAP plasmatica, potrebbe modulare l’effetto della proteina beta-amiloide sulla patologia tau, due attori protagonisti nel dramma dell’Alzheimer. Non stupisce, quindi, che la GFAP sia stata recentemente inclusa nei criteri dell’Alzheimer’s Association Workgroup come marcatore di infiammazione, utilizzabile sia da campioni di plasma che di CSF. Un bel riconoscimento, no?

Ma da Dove Arriva Davvero la GFAP nel Sangue? Il Primo Grande Interrogativo

E qui, amici miei, iniziano i primi grattacapi. Nonostante questo quadro apparentemente roseo, io e altri colleghi abbiamo iniziato a sollevare qualche sopracciglio. Usare la GFAP nel sangue come un indicatore diretto della reattività degli astrociti potrebbe essere un po’ affrettato. Perché dico questo? Beh, per un paio di ragioni fondamentali.

Innanzitutto, l’origine della GFAP plasmatica è ancora avvolta nel mistero. Viene dal CSF? O direttamente dagli astrociti, magari quelli “reattivi”? La GFAP è stata identificata per la prima volta nel tessuto cerebrale di pazienti con sclerosi multipla nel lontano 1969, diventando subito un marcatore chiave degli astrociti. Sappiamo che durante l’astrogliosi reattiva, gli astrociti cambiano forma e funzione, e aumentano la produzione di GFAP. Di conseguenza, si è sempre pensato che un aumento di GFAP nel CSF e nel sangue fosse dovuto a questa iperproduzione da parte degli astrociti “stressati”.

Se in caso di traumi cerebrali acuti, con rottura della barriera emato-encefalica, è facile immaginare come la GFAP possa finire nel sangue, il meccanismo con cui ciò avviene nelle malattie neurodegenerative – specialmente quando la barriera è intatta – è molto meno chiaro. Studi recenti hanno persino messo in discussione questa associazione diretta, mostrando una correlazione negativa tra i livelli di GFAP plasmatica e la reattività astrocitaria misurata con PET in pazienti con Alzheimer. Addirittura, un preprint recente su un modello murino di Alzheimer (i topi 5xFAD) ha riportato una correlazione negativa tra la concentrazione di GFAP nel cervello e quella nel plasma. Sembra quasi un controsenso, vero?

Pare che nell’Alzheimer l’attivazione gliale preceda l’aumento dei livelli di GFAP sia nel CSF che nel plasma, suggerendo che la GFAP plasmatica elevata potrebbe non derivare unicamente dagli astrociti reattivi che hanno aumentato la loro produzione di GFAP. Durante la fase pre-sintomatica, si osservano modesti aumenti di GFAP nel CSF e nel plasma anche 10 anni prima della comparsa dei sintomi, con aumenti più significativi solo nelle fasi sintomatiche. Inoltre, i livelli di GFAP plasmatica tendono ad aumentare prima di quelli nel CSF, e con magnitudini diverse. Questa discrepanza temporale e spaziale mette un po’ in crisi l’idea di un legame diretto tra GFAP nel sangue e reattività astrocitaria. Certo, ci sono anche studi, come uno su una coorte di pazienti con demenza, che hanno mostrato correlazioni tra GFAP sierica aumentata e reattività astrocitaria basata su immunoistochimica e atrofia cerebrale post-mortem, ma il quadro generale resta complesso.

Visualizzazione microscopica di astrociti reattivi nel tessuto cerebrale, evidenziati con immunofluorescenza per GFAP, con un focus su un singolo astrocita che rilascia proteine nel microambiente. Macro lens, 100mm, high detail, precise focusing, controlled lighting, colori vivaci su sfondo scuro per enfatizzare la fluorescenza.

Non Solo Astrociti: La GFAP è una Star… un Po’ Troppo Diffusa?

E se vi dicessi che la GFAP non è un’esclusiva del nostro cervello? Sebbene sia considerata una proteina specifica degli astrociti, i suoi ruoli non sono ancora del tutto compresi, anche a causa della sua espressione variabile tra diversi tipi di cellule cerebrali e sottopopolazioni astrocitarie. Persino nel cervello umano, ci sono altre cellule che esprimono GFAP, come le cellule progenitrici neurali in via di sviluppo e le cellule ependimali. Per identificare con precisione gli astrociti, infatti, abbiamo bisogno di altri marcatori di supporto.

Ma la vera sorpresa è che la GFAP si trova anche al di fuori del sistema nervoso centrale! È espressa nelle cellule di Schwann non mielinizzanti del sistema nervoso periferico, nelle glia di Müller nella retina, nelle cellule gliali enteriche del sistema nervoso enterico (quello dell’intestino, per intenderci), nelle cellule tubulari renali, nelle cellule di Leydig e Sertoli nei testicoli, e in vari tipi cellulari nel fegato, pelle, ossa e placenta, in condizioni normali. E indovinate un po’? Anche queste cellule non cerebrali che esprimono GFAP, in condizioni patologiche, ne aumentano la produzione, complicando ulteriormente i nostri tentativi di capire da dove venga la GFAP che misuriamo nel sangue.

Facciamo qualche esempio pratico: la GFAP è sovraespressa nell’intestino di pazienti con malattie infiammatorie intestinali; il Parkinson è stato associato a un’aumentata espressione e fosforilazione della GFAP nelle glia enteriche; le cellule stellate epatiche mostrano una sovraespressione di GFAP vicino ad aree di fibrosi epatica; ed è stata rilevata GFAP nel sangue dopo complessi interventi di chirurgia aortica toracica. Nonostante tutte queste osservazioni, ad oggi, non abbiamo prove dirette che la GFAP nel sangue provenga dagli astrociti reattivi del cervello. Un bel rompicapo, non trovate?

Quando i Conti Non Tornano: GFAP Plasmatica vs. Altri Biomarcatori

Il secondo grande motivo di cautela riguarda le incongruenze documentate tra i livelli di GFAP plasmatica e altri biomarcatori gliali, mentre, al contrario, i livelli di GFAP nel CSF sono fortemente correlati con questi stessi marcatori. I biomarcatori gliali non si limitano alla sola GFAP; ci sono altri indicatori di astrociti reattivi, come CHI3L1 e S100B, e anche sTREM2, che è secreto dalla microglia (altre cellule immunitarie del cervello).

Mentre, come dicevo, la GFAP nel CSF va d’amore e d’accordo con questi biomarcatori, per la GFAP plasmatica la situazione è più confusa. Ci sono report contraddittori sulla sua correlazione con le misure di astrogliosi ottenute con diversi traccianti PET o all’autopsia. Per esempio, i livelli di GFAP plasmatica erano correlati positivamente con l’uptake del tracciante 18F-SMBT-1 in pazienti con Alzheimer sporadico rispetto ai controlli, ma non mostravano correlazione, o erano addirittura correlati negativamente, con il tracciante 11C-DED o con i livelli di GFAP nel tessuto cerebrale. Questo suggerisce che potrebbero esserci meccanismi, al di là della reattività astrocitaria o del rilascio dal CSF, che contribuiscono all’aumento della GFAP nel sangue. Inoltre, in uno studio su una coorte di pazienti con sclerosi multipla, i livelli sierici di GFAP non riuscivano a predire l’attività e la progressione della malattia, a differenza dei livelli nel CSF, che invece erano predittori significativi, nonostante esistesse una correlazione tra i livelli di GFAP nel siero e nel CSF e altri marcatori gliali/neuroinfiammatori.

La Sfida della Misurazione: Non è Tutto Oro Quello che Luccica

Passando a considerazioni più pratiche, quantificare i livelli di GFAP nel sangue è una sfida per i metodi ELISA convenzionali. Questo ha portato all’adozione di tecniche ultrasensibili come la SIMOA. Tuttavia, le incongruenze nei livelli di GFAP tra i vari studi indicano una mancanza di criteri standardizzati per il suo uso come biomarcatore. Questo potrebbe essere dovuto a limitazioni dei metodi basati su anticorpi, incluso l’effetto “gancio” legato all’aggregazione della proteina, e alla presenza di multiple isoforme di GFAP e modificazioni post-traduzionali. Per far progredire la GFAP come un biomarcatore più affidabile, sono essenziali metodi di quantificazione standardizzati, protocolli di manipolazione dei campioni che includano informazioni sugli anticorpi utilizzati, e studi completi sulle isoforme di GFAP per chiarire le origini del suo rilascio e migliorare la sua accuratezza analitica.

Ricercatore in laboratorio che analizza campioni di sangue con una macchina SIMOA ultrasensibile per la quantificazione di biomarcatori come la GFAP. Prime lens, 35mm, depth of field, illuminazione da laboratorio chiara e precisa.

Cosa Fare? La Strada Verso una Comprensione Più Profonda

Nonostante le numerose limitazioni e questioni irrisolte che circondano l’aumento dei livelli di GFAP nel sangue, questi rimangono ampiamente accettati come biomarcatori che riflettono gli stadi delle malattie neurodegenerative, non solo specifici per l’Alzheimer ma anche per l’amiloidosi precoce, la demenza o un declino cognitivo più rapido. Insieme ad altri marcatori come la tau fosforilata, il rapporto amiloide beta 42/40 e la proteina dei neurofilamenti a catena leggera (NfL), si ritiene che la GFAP nel sangue possa migliorare la nostra comprensione della progressione della malattia.

Tuttavia, e qui voglio essere molto chiaro, affinché la GFAP sia riconosciuta come un biomarcatore affidabile, è essenziale un esame rigoroso delle sue origini e dei legami causali con le condizioni patofisiologiche, basato su prove biologiche concrete piuttosto che su semplici correlazioni. Per determinare veramente il valore della GFAP, dobbiamo intraprendere un’indagine completa che includa:

  • La mappatura dell’espressione della GFAP in tutti i tessuti rilevanti.
  • La marcatura o il targeting selettivo della GFAP in specifici tipi cellulari, magari in combinazione con l’imaging PET mirato a cellule particolari.
  • Un esame attento delle condizioni che scatenano il rilascio di GFAP dagli astrociti e dagli astrociti reattivi. Un modo per osservare il rilascio di GFAP potrebbe essere l’analisi degli esosomi derivati dagli astrociti attraverso marcatori specifici per queste cellule.

Queste analisi biologiche devono essere supportate da studi di coorte globali e longitudinali, con metodi di misurazione rigorosamente standardizzati, insieme al supporto di sonde di imaging per gli astrociti reattivi.

Tirando le Somme: Cautela, Amici, Cautela!

La GFAP plasmatica ha un potenziale enorme, non fraintendetemi. Ma prima di incoronarla regina indiscussa dei biomarcatori per gli astrociti reattivi nelle malattie neurodegenerative, dobbiamo fare i compiti a casa. Dobbiamo passare da associazioni superficiali a una comprensione profonda e meticolosa. Solo così potremo sfruttare appieno la GFAP come uno strumento preciso e affidabile nella nostra lotta contro queste terribili malattie. La strada è ancora lunga, ma la scienza, si sa, è fatta di pazienza, rigore e, perché no, di qualche sana messa in discussione.

Fonte: Springer

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