Gestione Vie Aeree e Cancro Orale: Un Viaggio Anestesiologico Tra Sfide e Sorprese
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un campo affascinante e, diciamocelo, a volte un po’ ostico dell’anestesia: la gestione delle vie aeree nei pazienti che devono subire un intervento chirurgico per un carcinoma del cavo orale. È un argomento che mi sta a cuore perché tocca corde delicate: la sicurezza del paziente, la complessità anatomica e l’impatto delle nostre scelte sul percorso post-operatorio.
Quando parliamo di tumori della bocca, non stiamo parlando solo della malattia in sé, ma anche di come questa possa letteralmente stravolgere l’anatomia locale. Immaginate un tumore che cresce, che occupa spazio, che magari deforma le strutture che normalmente ci permettono di respirare e di essere intubati senza problemi. Aggiungete poi magari gli effetti di una radioterapia precedente, che può rendere i tessuti rigidi e meno mobili, o una limitata apertura della bocca… insomma, per noi anestesisti può diventare un bel grattacapo.
La Sfida: Vie Aeree Difficili in Agguato
La gestione delle vie aeree in questi pazienti è cruciale. Un tumore, a seconda di dove si trova e quanto è grande, può ostruire le vie aeree superiori, rendendo l’intubazione un vero percorso a ostacoli. Anche trattamenti precedenti come la radioterapia possono lasciare il segno, limitando la mobilità dei tessuti del collo e della testa. E non dimentichiamo fattori come l’obesità (un BMI ≥ 30 è spesso un campanello d’allarme) o un punteggio di Mallampati elevato (quel test che facciamo fare aprendo la bocca), che sono noti per aumentare il rischio di ventilazione difficile con maschera e di intubazione complicata. La letteratura internazionale ha già puntato il dito su diversi fattori di rischio: punteggi alti di Mallampati e Cormack/Lehane (che valuta la visuale della laringe), età avanzata, classificazione ASA elevata (che indica lo stato di salute generale del paziente), sesso maschile e interventi chirurgici di revisione.
Una gestione attenta delle vie aeree, combinata con una terapia chirurgica appropriata, può davvero fare la differenza: può accorciare la degenza in terapia intensiva e la durata totale del ricovero, migliorando l’esito per il paziente, la sua qualità di vita e la riabilitazione. E, non da ultimo, può ridurre il peso economico sul sistema sanitario.
Lo Studio: Cosa Abbiamo Cercato di Capire?
Proprio per far luce su questo tema, recentemente ho analizzato retrospettivamente i dati di 201 pazienti operati per carcinoma del cavo orale nel nostro centro tra il 2012 e il 2023. L’obiettivo primario era capire quanto spesso ci imbattiamo in una “via aerea difficile” (secondo la definizione ufficiale della Società Tedesca di Anestesiologia e Terapia Intensiva, DGAI, del 2015, molto simile a quella britannica DAS 2015) e se ci fossero dei fattori specifici del paziente che potessero farci prevedere queste difficoltà. In secondo luogo, volevamo vedere se avere una via aerea difficile o sottoporsi a una tracheostomia intraoperatoria (una procedura spesso necessaria in interventi maggiori per prevenire ostruzioni post-operatorie) avesse un impatto sulla durata della degenza in terapia intensiva e sul ricovero totale.
Cosa si intende per via aerea difficile secondo queste linee guida? In sintesi, si parla di problemi durante la gestione delle vie aeree da parte di uno specialista. Può essere una ventilazione difficile o impossibile con la maschera facciale, il posizionamento difficoltoso di un dispositivo extraglottico, una laringoscopia difficile (quando non si riesce a vedere bene la glottide, corrispondente a un punteggio Cormack/Lehane 3 o 4) o un’intubazione endotracheale difficile (quando servono più tentativi).
La Grande Sorpresa: Predittori? Non Proprio…
Ebbene, i risultati sono stati, per certi versi, sorprendenti. Su 201 pazienti, abbiamo riscontrato una via aerea difficile nel 7,5% dei casi (15 pazienti). Nessuno ha avuto problemi di ventilazione con la maschera, ma 15 hanno avuto un’intubazione difficile (e di questi, 2 anche una laringoscopia difficile). Fin qui, numeri che ci si potrebbe aspettare.
La vera sorpresa è arrivata quando abbiamo cercato i famosi “predittori”. Abbiamo analizzato età, sesso, BMI, localizzazione e stadio del tumore, pregressa radioterapia, interventi di revisione, punteggio ASA, punteggio Mallampati, apertura della bocca, reclinazione della testa… e niente! Nessuno di questi fattori, nella nostra analisi multivariata, è emerso come un predittore statisticamente significativo di una via aerea difficile in questo specifico gruppo di pazienti. Certo, nei 15 pazienti con via aerea difficile abbiamo notato una maggior frequenza di storia positiva per fumo e alcol, punteggio ASA 2-3 e stadio tumorale T 2-3, ma il campione è troppo piccolo per trarre conclusioni generalizzabili.
Tentativi di Intubazione e Laringoscopia: Un Risultato Inatteso
Abbiamo poi guardato più da vicino i tentativi di intubazione. Il 92,5% dei pazienti è stato intubato al primo tentativo, il 6,4% al secondo e l’1,1% al terzo. Un BMI o un punteggio Mallampati elevati non sembravano aumentare il numero di tentativi necessari. Tuttavia, un punteggio di Cormack/Lehane pari a 3 (cioè una visuale laringea difficoltosa) era significativamente associato alla necessità di due tentativi.
E qui arriva un altro dato interessante, quasi controintuitivo rispetto a molta letteratura recente. Abbiamo confrontato la videolaringoscopia (usata nel 32,8% dei pazienti totali e nel 45,4% delle revisioni) con la laringoscopia diretta tradizionale. Sorprendentemente, il tasso di successo al primo tentativo è stato significativamente più basso con la videolaringoscopia (78%) rispetto alla laringoscopia diretta (95,5%)! Di conseguenza, l’intubazione difficile è stata più frequente con il video (21,9%) che con il diretto (4,4%).
Come interpretare questo dato? Potrebbe dipendere dal livello di training degli operatori? O forse, ed è la mia ipotesi, gli anestesisti hanno scelto la videolaringoscopia proprio nei casi in cui, dopo un’attenta valutazione preoperatoria, si aspettavano già delle difficoltà. In pratica, il video è stato usato nei casi “a rischio”, e anche così, il successo al primo colpo non era garantito. Nonostante questo risultato specifico del nostro studio, continuo a pensare, come suggerito da studi randomizzati controllati più ampi (anche se su popolazioni chirurgiche generali), che la videolaringoscopia rimanga un approccio potenzialmente preferibile, specialmente nei pazienti che affrontano interventi di revisione, dove l’anatomia può essere ulteriormente alterata.
Una Via Aerea Difficile Peggiora l’Esito Post-Operatorio?
Un’altra domanda che ci siamo posti era: se un paziente ha una via aerea difficile, questo si traduce in una degenza più lunga in terapia intensiva o in ospedale? La nostra ipotesi iniziale era di sì. Ma i dati hanno detto altro. Non abbiamo trovato una correlazione significativa tra l’aver avuto una via aerea difficile e una durata prolungata dell’intubazione, della permanenza in terapia intensiva post-operatoria o della durata totale del ricovero. Sembra quindi che, una volta superato l’ostacolo dell’intubazione, l’esito a breve termine non sia necessariamente peggiore per questo motivo. Ovviamente, la durata della degenza è multifattoriale e dipende da tante altre variabili.
Il Fattore Tracheostomia
Diverso è il discorso per la tracheostomia intraoperatoria. Ben 136 pazienti (il 68%) l’hanno ricevuta. Questa procedura, spesso eseguita elettivamente in chirurgie maggiori con dissezione del collo e/o ricostruzioni estese con lembi, serve a prevenire il rischio di ostruzione delle vie aeree nel post-operatorio a causa dei cambiamenti anatomici indotti dalla chirurgia. Tuttavia, la tracheostomia non è priva di potenziali complicanze (sanguinamento, infezione, problemi di guarigione, ecc.) e, come confermato dal nostro studio, è associata a un percorso post-operatorio più lungo.
I pazienti con tracheostomia hanno avuto una durata media di ventilazione meccanica significativamente più lunga (1,04 giorni vs 0,29 giorni per i non tracheostomizzati) e una durata totale del ricovero ospedaliero significativamente maggiore (15,25 giorni vs 6,78 giorni). Questo è in linea con altri studi e si spiega facilmente: i pazienti tracheostomizzati spesso richiedono uno svezzamento graduale dalla ventilazione, ossigenoterapia supplementare, riabilitazione fisica, logopedica e della deglutizione, soprattutto se ci sono altre condizioni mediche concomitanti. Tutto ciò richiede cure prolungate in ambiente ospedaliero.
Limiti e Messaggi Chiave
Come ogni studio retrospettivo, anche questo ha i suoi limiti: il rischio di bias nella documentazione (ad esempio, non sempre era chiaro quale tecnica laringoscopica fosse stata usata nei tentativi successivi al primo), l’esperienza variabile degli anestesisti, il fatto che non abbiamo potuto analizzare altri potenziali predittori (come la protrusione mandibolare o l’apnea notturna), e la possibile sottostima del ruolo della localizzazione del tumore a causa dei piccoli sottogruppi.
Tuttavia, credo che questo studio offra spunti importanti. Il messaggio chiave? Anche se non siamo riusciti a identificare chiari fattori predittivi specifici del paziente per una via aerea difficile in questa coorte di pazienti con carcinoma orale, l’importanza di una valutazione preoperatoria estremamente accurata, con criteri ben definiti per sospettare difficoltà, e di una preparazione anestesiologica adeguata è fondamentale. Questo approccio meticoloso è la nostra migliore arma per anticipare e gestire le complicanze durante l’intubazione. E nonostante i nostri dati specifici sul tasso di successo, la videolaringoscopia rimane uno strumento prezioso nel nostro arsenale, soprattutto in scenari complessi come le revisioni chirurgiche.
Insomma, la gestione delle vie aeree in questi pazienti rimane un campo che richiede grande attenzione, esperienza e un approccio personalizzato. Ogni paziente è una storia a sé, e il nostro compito è navigare queste complessità nel modo più sicuro possibile.
Fonte: Springer