Rifiuti Nascosti: La Sfida Quotidiana dei Residenti ‘Invisibili’ di Fisantekraal
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio un po’ insolito, alla scoperta di una realtà spesso ignorata ma incredibilmente significativa: la gestione dei rifiuti tra i cosiddetti “backyard dwellers” a Fisantekraal, in Sudafrica. Magari vi starete chiedendo: “backyard dwellers”? Chi sono? E perché dovremmo interessarci ai loro rifiuti? Beh, preparatevi, perché quello che ho scoperto rovista ben oltre i semplici bidoni della spazzatura, toccando corde profonde di disuguaglianza strutturale e governance urbana.
Partiamo dall’inizio. La gestione dei rifiuti in Sudafrica è un bel rompicapo, specialmente nelle aree a basso reddito. Ma c’è una categoria di persone che spesso finisce nel dimenticatoio: appunto, i “backyard dwellers”. Si tratta di persone o famiglie che vivono in strutture improvvisate – spesso baracche di lamiera o legno – costruite nei cortili (i “backyards”) di proprietà residenziali formali. È una forma di affitto informale, una soluzione abitativa diffusa per chi non può permettersi altro. Il problema? Questi residenti sono spesso esclusi dai servizi municipali formali, inclusa la raccolta dei rifiuti. E no, non è per negligenza loro, come ho potuto capire approfondendo. La questione è molto più complessa e affonda le radici in un’esclusione sistemica.
Chi sono i “Backyard Dwellers” di Fisantekraal?
Per capirci meglio, mi sono immerso nei dati raccolti tramite un questionario somministrato a 284 di questi residenti a Fisantekraal, una township alla periferia di Città del Capo. Immaginatevi questa comunità: nata come nodo di servizio rurale, si è trasformata in un insediamento urbano in crescita, con case popolari costruite dal governo (le famose case RDP) ma anche un numero imprecisato di queste abitazioni “nel cortile”.
Chi ci vive? Un mix di persone: uomini (123) e donne (161), con un’età media tra i 25 e i 35 anni. La maggior parte (93.3%) è nata in Sudafrica, ma c’è anche una quota significativa (5.6%) proveniente da paesi vicini come Zimbabwe, Malawi e Lesotho. Questo sfata un po’ il mito che siano solo migranti; sono anche cittadini sudafricani che cercano un posto dove vivere vicino alle opportunità (spesso precarie) della città. Quasi la metà (48.2%) ha un lavoro a tempo pieno, ma un quarto (23.9%) è disoccupato.
Il costo esorbitante delle case a Città del Capo è un fattore chiave. Vivere in un “backyard” diventa l’unica alternativa accessibile. A Fisantekraal, poi, la vicinanza a terreni agricoli significa che molti lavorano come braccianti stagionali, con redditi instabili che non permettono certo di accedere al mercato immobiliare formale.
E la densità? Beh, la maggior parte delle proprietà ospita una o due strutture nel cortile, ma si arriva anche a tre, quattro, e in casi estremi documentati altrove, fino a 17! Questo sovraffollamento non è solo un problema abitativo, ma intensifica enormemente la sfida della gestione dei rifiuti.

Il Paradosso della Raccolta Rifiuti
Qui arriva il bello, o meglio, il paradosso. A Fisantekraal, sulla carta, il servizio di raccolta rifiuti municipale c’è, ed è anche regolare: il 92.6% degli intervistati ha confermato che il bidone della proprietà principale viene svuotato settimanalmente. Città del Capo è spesso lodata per l’efficienza dei suoi servizi. Allora dov’è il problema?
Il problema è che quel bidone è pensato per una singola famiglia, quella che vive nella casa “formale”. Ma quando nello stesso cortile vivono una, due, tre o più famiglie aggiuntive, quel singolo bidone diventa drammaticamente insufficiente. Trabocca, i rifiuti si accumulano.
E non è tutto. Quasi la metà dei residenti dei cortili (42.8%) ha dichiarato di non avere un proprio bidone designato per conservare temporaneamente i rifiuti. Sono strutturalmente dipendenti dal proprietario di casa per lo smaltimento. E indovinate un po’? Alcuni proprietari pongono restrizioni sull’uso del bidone municipale ai loro inquilini “informali”. Perché? A volte per evitare problemi, altre volte perché magari beneficiano di tariffe agevolate per l’indigenza, e richiedere un bidone aggiuntivo (che comporterebbe un costo) farebbe perdere questo beneficio. Un vero circolo vizioso.
Questa situazione l’ho capita meglio usando la lente dell’Ecologia Politica Urbana (UPE). Questo approccio ci aiuta a vedere come le dinamiche politiche ed economiche plasmino l’ambiente urbano, creando risultati diseguali. Qui vediamo chiaramente come un sistema di governance basato sulla proprietà formale escluda di fatto una parte significativa della popolazione, lasciandola in un limbo infrastrutturale.
Quando il Bidone Non Basta: Le “Fughe” di Rifiuti
Cosa succede quando il sistema formale non basta o non è accessibile? Si cercano alternative. E qui entrano in gioco le cosiddette “waste leakages”, le fughe di rifiuti dal sistema ufficiale. Nonostante la raccolta settimanale, ho scoperto che le pratiche di smaltimento informale sono diffuse:
- Il 5.7% butta i rifiuti per strada.
- Il 18.7% li smaltisce nel proprio cortile (immaginate le condizioni igieniche).
- L’11.0% usa spazi aperti vicini come discariche improvvisate.
- Il 12.2% brucia i rifiuti (con tutti i rischi per la salute e l’ambiente che ne derivano).
- Ben il 38.8% si affida a discariche abusive nelle vicinanze.
- Il 13.6% dà i rifiuti in pasto ai cani.
Questi numeri (che si sovrappongono, perché una persona può usare più metodi) dipingono un quadro preoccupante. Non si tratta di inciviltà, ma di strategie di sopravvivenza dettate dalla mancanza di alternative valide e accessibili. La UPE ci insegna che queste pratiche non sono scelte individuali isolate, ma risposte strutturali a un sistema escludente. Il sistema stesso, privilegiando i proprietari formali, spinge i “backyard dwellers” ai margini, costringendoli a trovare soluzioni che, purtroppo, peggiorano l’ambiente e la salute pubblica. E questo, a sua volta, rafforza stereotipi negativi su queste comunità.

La Doppia Faccia dei Servizi Igienici
La questione dei rifiuti è strettamente legata a un altro aspetto critico: i servizi igienici. Anche qui, la situazione è complessa e rivela una netta “divisione sanitaria”. Durante il giorno, la maggioranza (219 persone) usa un WC con sciacquone, presumibilmente quello della casa principale del proprietario. Ma attenzione: 48 persone usano un sistema a secchio, 5 latrine a fossa e 5 addirittura spazi aperti.
Di notte, la musica cambia drasticamente. L’uso dei secchi schizza a 131 persone, mentre l’uso del WC con sciacquone scende a 148. Perché? Le ragioni possono essere diverse: restrizioni imposte dal proprietario, problemi di sicurezza nell’attraversare il cortile al buio, sovraffollamento. Fatto sta che l’accesso ai servizi igienici diventa ancora più precario dopo il tramonto, costringendo molti a usare alternative informali e decisamente poco igieniche.
Anche qui, la UPE ci aiuta a leggere la situazione: non è solo un problema logistico, ma un sintomo di come le infrastrutture urbane falliscano nell’adattarsi alla densificazione informale. Mentre i proprietari formali godono di servizi integrati, i “backyard dwellers” vivono una realtà frammentata, con un accesso parziale e condizionato. È un’altra manifestazione di quella che gli studiosi chiamano “frattura metabolica urbana”: il flusso dei servizi essenziali si interrompe per i gruppi marginalizzati. E, dettaglio non da poco, lo studio non ha indagato su dove finisca il contenuto dei secchi usati di notte… un’ulteriore area grigia con potenziali rischi sanitari.
Il “Micro-Governo” dei Proprietari
Un aspetto affascinante emerso è il ruolo dei proprietari di casa. Non sono solo affittuari, ma diventano una sorta di “micro-governatori” dello spazio del cortile. Sebbene la maggior parte degli intervistati (227) abbia detto di non subire restrizioni specifiche, 57 hanno riportato limitazioni che vanno ben oltre il semplice affitto. Parliamo di regole sulla pulizia (manutenzione quotidiana del cortile, uso obbligatorio dei bidoni, divieto di sporcare), ma anche sul comportamento sociale (limiti ai visitatori, divieto di musica alta dopo le 2 del mattino, proibizione di attività illegali).
Questa forma di governance informale nasce dalla natura precaria dell’affitto nel cortile, spesso senza contratti formali, dove l’inquilino è soggetto all’autorità discrezionale del proprietario. Dal punto di vista della UPE, questo evidenzia come, in assenza di un intervento municipale diretto, l’autorità sulla gestione dei servizi (come i rifiuti) venga di fatto privatizzata e decentralizzata. I proprietari diventano regolatori de facto, controllando l’accesso ai bidoni e imponendo norme che influenzano direttamente le pratiche di smaltimento dei loro inquilini.

Vivere ai Margini dell’Infrastruttura: L’Esclusione Strutturale
Tirando le somme, quello che emerge da questa esplorazione a Fisantekraal è che le sfide della gestione dei rifiuti per i “backyard dwellers” non sono incidenti di percorso, ma il risultato diretto di fallimenti sistemici nella governance, di disuguaglianze socio-economiche e della natura escludente dei servizi urbani.
Questi residenti vivono in uno stato di “liminalità infrastrutturale”: fisicamente dentro la città formale, ma socialmente e politicamente ai margini della sua gestione. A differenza degli insediamenti informali “puri”, che a volte ricevono interventi mirati, i “backyard dwellers” cadono in un vuoto politico e strutturale.
Il problema principale non è tanto l’assenza totale di servizi, quanto uno scollamento infrastrutturale: il modello standard di raccolta (un bidone per proprietà) non è pensato per gestire la densità abitativa reale di questi lotti. Il risultato? Traboccamento dei bidoni, accumulo di rifiuti, discariche abusive – conseguenze non intenzionali di un sistema inadatto.
L’Ecologia Politica Urbana ci spinge a guardare oltre i comportamenti individuali e a riconoscere le cause strutturali. Non si tratta di “educare” le persone a non sporcare, ma di riformare un sistema di governance dei rifiuti che attualmente si basa sulla proprietà e non sulla densità abitativa reale. Bisogna riconoscere i “backyard dwellers” come legittimi destinatari dei servizi e adattare le infrastrutture alle loro esigenze.
Finché questo non avverrà, queste comunità continueranno a navigare in un sistema che non è stato progettato per loro, rimanendo intrappolate in un ciclo di esclusione e rischio ambientale. La vera sfida, quindi, non è “aggiustare” i comportamenti, ma smantellare le esclusioni strutturali che creano queste vulnerabilità. Un compito complesso, certo, ma fondamentale per città più giuste e sostenibili.
Fonte: Springer
