Screening Neonatale: Come Tagliare i Costi Senza Sacrificare la Salute (Specialmente Dove Serve di Più!)
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta particolarmente a cuore: lo screening metabolico neonatale (NMS). Sapete, quel piccolo prelievo dal tallone del neonato che può letteralmente cambiargli la vita? Ecco, proprio quello. È uno strumento potentissimo di prevenzione, capace di scovare precocemente malattie metaboliche, endocrine, genetiche ed ematologiche che, se non trattate subito, possono causare danni permanenti o addirittura essere fatali.
Pensateci: identificare subito una condizione come l’ipotiroidismo congenito, la fenilchetonuria (PKU) o il deficit di G6PD significa poter intervenire immediatamente, garantendo al bambino uno sviluppo il più normale possibile e risparmiando alle famiglie sofferenze indicibili. Non solo, ma per un Paese intero, significa anche evitare sprechi enormi di risorse umane e finanziarie legate all’assistenza di persone con disabilità gravi che potevano essere prevenute. Insomma, lo screening neonatale è un investimento sul futuro, sulla salute dei cittadini e sullo sviluppo stesso della nazione.
Perché lo screening è fondamentale (ma costa!)
Molti Paesi, giustamente, hanno dato priorità a programmi di screening per queste malattie, data la loro prevalenza e i costi elevati di trattamento e cura a lungo termine. Prendiamo l’Iran, ad esempio: dal 2016 hanno un programma nazionale che screena i neonati tra il terzo e il quinto giorno di vita per ipotiroidismo congenito, deficit di G6PD e PKU. Se un bimbo risulta positivo, il sistema sanitario nazionale si fa carico del follow-up, delle cure e della formazione necessaria. Un successo? Assolutamente sì, in termini di diagnosi precoci e prevenzione delle complicanze.
Ma c’è un “ma”, soprattutto quando parliamo di paesi in via di sviluppo. Gestire i costi di questi programmi, mantenendo alta la qualità del servizio, è una sfida enorme per manager sanitari e decisori politici. Capire quanto costa realmente ogni singolo passaggio, identificare gli sprechi, ottimizzare le risorse… non è affatto semplice. Spesso, in questi contesti, il calcolo dei costi avviene in modo un po’ approssimativo, e le strutture contabili esistenti rendono difficile separare i costi diretti da quelli indiretti.
Ecco perché mi ha affascinato uno studio recente che ha cercato di fare luce proprio su questo aspetto, concentrandosi sull’esperienza iraniana ma offrendo spunti preziosi per tutti i paesi con risorse limitate. L’obiettivo? Calcolare il costo reale dello screening e, soprattutto, identificare e dare priorità a strategie concrete per gestirlo al meglio. Perché ottimizzare i costi significa rendere questi programmi salvavita più sostenibili e accessibili a un numero sempre maggiore di neonati.
Cosa ci dice lo studio iraniano? Il metodo TDABC
Per capire i costi nel dettaglio, i ricercatori hanno usato un metodo chiamato Time-Driven Activity-Based Costing (TDABC). Non spaventatevi per il nome complicato! In pratica, si tratta di un approccio molto preciso che scompone l’intero processo di screening (dalla raccolta del campione all’analisi, fino alla comunicazione dei risultati) in singole attività. Per ogni attività, si misura il tempo impiegato e si calcola quanto costano le risorse utilizzate (personale, materiali, attrezzature, energia, ecc.). Hanno analizzato i dati di ben 2030 neonati sottoposti a screening per ipotiroidismo, PKU e G6PD in una provincia del nord dell’Iran.

I risultati sono stati illuminanti. Il costo totale per ogni neonato screenato è risultato essere:
- Circa 4,7 dollari USA per l’ipotiroidismo congenito.
- Circa 4,8 dollari USA per la fenilchetonuria (PKU).
- Circa 4,7 dollari USA per il deficit di G6PD.
Questi numeri potrebbero sembrare bassi rispetto a quelli di altri studi condotti in paesi sviluppati (ad esempio, uno studio in Libia stimava 5,7$ per la PKU, uno negli USA 10$ per il G6PD, e altri nelle Filippine davano cifre variabili). Questa differenza, spiegano i ricercatori, è probabilmente dovuta in gran parte al minor costo delle risorse umane nei paesi in via di sviluppo. Un fattore importante da considerare!
Il nodo cruciale: i costi del personale
Ma l’aspetto più interessante emerso dall’analisi dei costi è un altro. Sapete qual è la voce di spesa che incide di più in assoluto? Le risorse umane! Parliamo del personale sanitario, dei tecnici di laboratorio, del personale amministrativo… Ebbene, questa voce rappresentava:
- Il 77,7% del costo totale per lo screening dell’ipotiroidismo.
- Il 76,6% per la PKU.
- Il 78,4% per il G6PD.
Quasi l’80% del costo è legato alle persone che lavorano nel programma! Questo dato è fondamentale, perché ci dice chiaramente dove bisogna agire per ottimizzare le spese senza compromettere la qualità. Al secondo posto, ma molto distanziati, troviamo i materiali di consumo (circa il 20-21%).
Le strategie vincenti per risparmiare (secondo gli esperti)
Una volta capiti i costi, lo studio è passato alla fase successiva: come possiamo gestirli meglio? Qui sono entrati in gioco gli esperti. Attraverso il metodo Delphi (una tecnica che permette di raccogliere e aggregare opinioni di esperti in modo strutturato) e poi il metodo TOPSIS (per dare una priorità alle diverse opzioni), sono state identificate e classificate ben 12 strategie di gestione dei costi.
E quali sono risultate le più promettenti? Ecco il podio:
1. Prevenire la preparazione di campioni inappropriati attraverso corsi di formazione specifici per chi effettua il prelievo (Punteggio TOPSIS: 0.988). Sembra banale, ma un campione raccolto male (troppo poco sangue, contaminato, ecc.) deve essere ripetuto, causando spreco di tempo, materiali e denaro. Formare bene il personale è la strategia numero uno!
2. Creare incentivi per chi raccoglie i campioni, basati sulla qualità (percentuale di campioni appropriati vs inappropriati) (Punteggio TOPSIS: 0.965). Collegato al punto precedente, premiare chi lavora bene può essere un forte stimolo a migliorare la qualità e ridurre gli errori.
3. Progettare e implementare un sistema informativo integrato per lo screening (Punteggio TOPSIS: 0.961). Informatizzare l’intero processo, dalla registrazione della richiesta alla consegna dei risultati, può aumentare drasticamente l’efficienza, ridurre gli errori manuali e ottimizzare l’uso delle risorse.

Queste tre strategie, focalizzate sulla qualità dei campioni e sull’efficienza del sistema, hanno ottenuto punteggi altissimi, indicando che sono considerate dagli esperti come le più fattibili ed efficaci per ridurre i costi mantenendo (o addirittura migliorando) la qualità dello screening.
Cosa possiamo fare concretamente?
Lo studio, quindi, ci lascia con delle raccomandazioni molto chiare, soprattutto per i contesti con risorse limitate. La parola chiave è ottimizzazione delle risorse umane.
- Investire in formazione continua: Assicurarsi che il personale sia sempre aggiornato sulle migliori tecniche di prelievo e gestione dei campioni è cruciale per ridurre la necessità di ripetere i test.
- Riprogettare gli spazi di lavoro: A volte, anche la disposizione fisica dei laboratori o degli ambulatori può influire sulla produttività e sul lavoro di squadra. Pensare a layout più efficienti può fare la differenza.
- Abbracciare la tecnologia: Un sistema informativo integrato non è un lusso, ma uno strumento potente per rendere tutto il processo più fluido, tracciabile ed efficiente.
Implementare queste strategie può davvero aiutare i paesi in via di sviluppo a rendere i loro programmi di screening neonatale più sostenibili ed efficaci nel lungo periodo.
Uno sguardo al futuro (e qualche limite)
Ovviamente, come ogni ricerca, anche questa ha i suoi limiti. Gli autori stessi sottolineano come le fluttuazioni dei tassi di cambio e dei prezzi delle attrezzature possano aver influenzato l’analisi. Anche il calcolo del tempo effettivo di lavoro del personale ha delle approssimazioni.
Tuttavia, il messaggio principale resta valido e forte. C’è bisogno di continuare a ricercare in questa direzione: studiare la costo-efficacia a lungo termine, confrontare esperienze tra diverse regioni, sfruttare ancora meglio la tecnologia, capire le prospettive di tutti gli attori coinvolti (famiglie, operatori, decisori) e valutare l’impatto delle politiche sanitarie sui programmi di screening.

In conclusione, questo studio ci ricorda quanto sia vitale lo screening neonatale, ma anche quanto sia importante gestirlo con intelligenza, soprattutto dove le risorse scarseggiano. Le strategie emerse – formazione, incentivi sulla qualità e sistemi informativi – non sono magie, ma passi concreti che possono fare una grande differenza per la salute di migliaia di bambini e per la sostenibilità dei sistemi sanitari. Un lavoro prezioso che spero possa ispirare azioni concrete!
Fonte: Springer
