Grandangolo, lente 10mm, scena in sala operatoria focalizzata su un monitor che mostra un'ecografia epatica durante un'ablazione a microonde, team medico parzialmente visibile, messa a fuoco nitida sulla tecnologia, ambiente sterile.

Angioma Epatico e Microonde: Occhio ai Reni, Ma Niente Panico!

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento un po’ tecnico ma super interessante, che riguarda il trattamento di una condizione comune, l’angioma epatico (HH), e una possibile, seppur rara, complicanza: l’insufficienza renale acuta (AKI). Nello specifico, vedremo come la gestiamo quando si verifica dopo un trattamento chiamato ablazione a microonde (MWA).

Cos’è l’Angioma Epatico e Perché Usiamo le Microonde?

Partiamo dalle basi. L’angioma epatico è il tumore benigno più comune del fegato. Molti lo scoprono per caso durante un controllo. La buona notizia è che non diventa maligno. Tuttavia, se cresce molto (diciamo sopra i 10 cm, come suggerito dall’American College of Gastroenterology nel 2014, anche se alcuni dicono già sopra i 5 cm se continua a crescere) può dare fastidio: dolore addominale, senso di peso, ecc.

Tradizionalmente, l’opzione era la chirurgia, a cielo aperto o in laparoscopia. Ma parliamoci chiaro: sono interventi importanti, con rischi, recupero lento e possibili complicazioni come il sanguinamento. Ecco perché negli ultimi anni, sulla base della nostra esperienza ventennale con le terapie ablative (abbiamo iniziato nel 1999 e fatto più di 2000 interventi, inizialmente soprattutto su tumori maligni del fegato), abbiamo iniziato a esplorare l’ablazione a microonde anche per gli angiomi epatici.

Come funziona? È affascinante: usiamo un campo elettrico a microonde che fa “vibrare” le molecole d’acqua nel tessuto dell’angioma ad altissima velocità. Questo sfregamento genera calore intenso che, in pratica, “cuoce” (necrosi coagulativa) il tessuto bersaglio. I vantaggi sono enormi:

  • Sicurezza elevata
  • Trauma minimo (niente grandi tagli)
  • Recupero post-operatorio rapido

Insomma, è una tecnica che si sta affermando sempre di più perché efficace e ben tollerata.

Il “Ma”: Il Rischio di Insufficienza Renale Acuta (AKI)

Tutto bello, ma c’è un “però”. A volte, dopo l’ablazione a microonde dell’angioma epatico, può verificarsi un problema ai reni, l’insufficienza renale acuta (AKI). Come mai? Il meccanismo è legato proprio all’effetto del calore. L’ablazione distrugge il tessuto dell’angioma, che è ricco di vasi sanguigni. In questo processo, possono rompersi molti globuli rossi (emolisi intravascolare). La rottura libera emoglobina (HB) nel sangue.

Se la quantità di emoglobina liberata è tanta, più di quella che il corpo riesce a smaltire, questa può finire nelle urine (emoglobinuria – a volte l’urina prende un colore scuro, tipo “Coca-Cola” o “marsala scuro”) e, nei casi peggiori, può accumularsi e “intasare” i piccoli tubuli dei reni, causando appunto l’insufficienza renale acuta. L’AKI si definisce come un rapido peggioramento della funzione renale, diagnosticato dall’accumulo di prodotti di scarto (come la creatinina, che raddoppia) e/o da una ridotta produzione di urina (meno di 0.5 ml per chilo all’ora per 12 ore).

Macro fotografia, lente 100mm, vista dettagliata della punta di una sonda per ablazione a microonde vicino a tessuto epatico simulato sotto guida ecografica, illuminazione medica controllata, alto dettaglio, messa a fuoco precisa.

La Nostra Esperienza e Come Affrontiamo l’AKI

Nel nostro centro, tra gennaio 2021 e ottobre 2024, abbiamo trattato 117 pazienti con angiomi epatici grandi (>10 cm) usando l’ablazione a microonde laparoscopica guidata da ecografia, con l’obiettivo di una ablazione completa in un’unica seduta. Di questi 117 pazienti, solo due hanno sviluppato AKI dopo l’intervento. La cosa importante è che, con un trattamento tempestivo, entrambi hanno recuperato completamente la funzione renale.

Abbiamo analizzato retrospettivamente questi due casi per capire meglio e affinare la nostra strategia. Entrambi avevano angiomi molto grandi (136 mm e 104 mm) e altre condizioni preesistenti (ipertensione, diabete, iperlipidemia, ecc.). Durante l’intervento, abbiamo monitorato attentamente, ma l’emoglobinuria significativa non è stata vista subito. È comparsa dopo.

Cosa abbiamo fatto quando abbiamo diagnosticato l’AKI? Abbiamo adottato un approccio sequenziale e tempestivo:

  1. Alcalinizzazione dell’urina: Abbiamo somministrato bicarbonato di sodio per rendere l’urina meno acida, aiutando a prevenire la precipitazione dell’emoglobina nei tubuli renali.
  2. Reidratazione rapida: Abbiamo infuso liquidi velocemente per mantenere una buona perfusione renale e “lavare via” l’emoglobina in eccesso.
  3. Diuresi forzata: Abbiamo usato diuretici per stimolare i reni a produrre più urina, sempre assicurandoci che il paziente fosse ben idratato.
  4. Dialisi: Quando le misure precedenti non bastavano e la funzione renale peggiorava (soprattutto se c’era oliguria, cioè poca urina, o anuria, assenza di urina), siamo ricorsi alla dialisi.

Uno dei due pazienti ha avuto un periodo di oliguria importante con urine scure e ha necessitato di sette sedute di dialisi prima che la funzione renale e la produzione di urina tornassero normali (circa 13 giorni dopo l’intervento). L’altro paziente, pur mantenendo una produzione di urina normale, ha mostrato un aumento progressivo della creatinina e segni di sovraccarico cardiaco (aumento del BNP, aveva una cardiomiopatia ipertrofica). Ha fatto una sola seduta di dialisi (non tollerava la procedura) e poi, continuando con idratazione e alcalinizzazione, i suoi valori sono rientrati.

Fotografia ritratto, lente 35mm, un medico osserva attentamente un monitor medico che mostra grafici e numeri della funzione renale come i livelli di creatinina, profondità di campo che sfoca leggermente lo sfondo, illuminazione realistica di ambiente ospedaliero.

Prevenire è Meglio Che Curare: Le Nostre Strategie

Analizzando questi casi e l’esperienza generale, abbiamo messo a punto delle strategie per minimizzare il rischio di AKI:

  • Embolizzazione pre-operatoria: Per gli angiomi molto grandi, prima dell’ablazione eseguiamo un’embolizzazione superselettiva. In pratica, tramite cateterismo, andiamo a “chiudere” i piccoli vasi arteriosi che nutrono l’angioma. Questo riduce l’afflusso di sangue e, di conseguenza, il numero di globuli rossi che potrebbero essere distrutti durante l’ablazione.
  • Idratazione Adeguata: Fondamentale! Assicuriamo una buona idratazione prima e durante l’intervento per mantenere i reni ben perfusi. Usiamo sempre un catetere vescicale per monitorare la produzione di urina.
  • Gestione Intraoperatoria dell’Emoglobinuria: Se vediamo comparire emoglobinuria durante l’intervento, non ci allarmiamo subito. Somministriamo bicarbonato e diuretici (sempre con adeguata idratazione) per favorire l’eliminazione rapida dell’emoglobina libera. L’importante è che venga eliminata per non causare danni.
  • Dialisi Precoce se Necessario: Se, nonostante tutto, si sviluppa AKI con oliguria/anuria, non aspettiamo: la dialisi va iniziata il prima possibile.

Grazie a queste misure, nei pazienti trattati successivamente, anche se a volte abbiamo osservato una lieve e transitoria emoglobinuria, non abbiamo più avuto casi di AKI.

Fotografia still life, lente macro 60mm, primo piano di una sacca per flebo etichettata 'Soluzione Salina' appesa, focus sul liquido che gocciola, luce soffusa di una stanza d'ospedale, alto dettaglio.

In Conclusione

L’ablazione a microonde è davvero un’ottima opzione, sicura ed efficace, per trattare gli angiomi epatici, anche quelli grandi. Sì, esiste il rischio di emoglobinuria e, più raramente, di insufficienza renale acuta, ma è un rischio che conosciamo e che sappiamo gestire. Con un monitoraggio attento durante tutto il percorso perioperatorio e l’applicazione tempestiva delle giuste strategie preventive e terapeutiche (idratazione, alcalinizzazione, diuresi e, se serve, dialisi), possiamo evitare l’AKI o, qualora si verificasse, risolverla completamente. Quindi, niente panico: la tecnologia ci offre grandi strumenti, e noi impariamo ogni giorno a usarli nel modo più sicuro possibile per i nostri pazienti!

Fonte: Springer

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