Oltre il Trauma: Come la Gestalt Integrativa Ricuce le Ferite del PTSD Complesso
Amici lettori, oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel mondo della psicoterapia, un campo che non smette mai di stupirmi per la sua capacità di offrire speranza e guarigione. Parleremo di come l’Integrazione di metodi specifici per il trauma all’interno della Terapia della Gestalt Integrativa possa fare la differenza per chi soffre di Disturbo Post-Traumatico da Stress Complesso (DPTSC o kPTBS). Un tema tosto, lo so, ma vi assicuro che scopriremo insieme approcci pieni di umanità e incredibilmente efficaci.
Immaginatevi la mente come un tessuto prezioso, e un trauma complesso come uno strappo profondo, che non solo lacera, ma sfilaccia i bordi, rendendo la riparazione più ardua. Ecco, la Terapia della Gestalt Integrativa (IGT), arricchita da strumenti mirati, si propone proprio come un abile sarto capace di ricucire con pazienza e maestria quelle ferite.
Le Fondamenta: La Terapia della Gestalt Integrativa e il Trauma
Prima di addentrarci nelle tecniche specifiche, capiamo un attimo cosa intendiamo per Terapia della Gestalt Integrativa quando si parla di trauma. Non si tratta solo di “parlare” dei problemi. L’IGT è un approccio che considera la persona nella sua interezza: corpo, emozioni, pensieri, relazioni. E quando si tratta di trauma, questo è fondamentale. Il trauma, vedete, non risiede solo nei ricordi, ma si inscrive nel corpo, nelle sensazioni, nel modo in cui regoliamo le nostre emozioni.
Un pilastro dell’IGT è la relazione terapeutica. Non è un optional, è il terreno fertile su cui ogni tecnica può attecchire. Come diceva Martin Buber, a cui l’IGT si ispira, si tratta di un “abbraccio” (Umfassung), in cui il terapeuta riesce a mettersi nei panni del paziente, a risuonare con la sua esperienza in modo autentico. Per chi ha vissuto traumi complessi, spesso caratterizzati da relazioni disfunzionali o abusanti, sperimentare una relazione sicura, accogliente e co-creata in terapia è già di per sé un’esperienza trasformativa.
Si lavora nel “qui e ora”, con un metodo dialogico, fenomenologico (cioè attento a come le cose appaiono, a come vengono vissute) ed ermeneutico (cioè interpretativo, volto a dare un senso). L’obiettivo? Aiutare la persona a passare da uno stato di perenne allerta, di lotta o fuga, a uno stato fisiologico di sicurezza e impegno sociale. Solo così si possono gettare le basi per elaborare il trauma.
Il Labirinto del PTSD Complesso: Frammenti da Ricomporre
Quando parliamo di Disturbo Post-Traumatico da Stress Complesso, ci riferiamo spesso a traumi ripetuti o prolungati, magari avvenuti nell’infanzia, che hanno un impatto profondo sull’identità, sulle relazioni e sulla capacità di regolare le emozioni. È come se la personalità si frammentasse in diverse “parti”, alcune delle quali portano il peso vivo dell’esperienza traumatica: cognizioni, emozioni, ricordi corporei, immagini, impulsi all’azione.
Diventa cruciale, quindi, un’attenta diagnosi processuale, che non si limita a etichettare, ma cerca di comprendere la persona nella sua storia e nel suo mondo. Si raccolgono insieme i dati biografici, si esplorano quegli eventi o periodi di vita in cui la persona si è sentita sopraffatta, impotente. È un lavoro delicato, perché bisogna evitare di riattivare il trauma (la cosiddetta ritraumatizzazione).
La regolazione dell’arousal, cioè dell’attivazione fisiologica ed emotiva, è un aspetto chiave. Pensate al modello del ciclo di contatto di Perls: l’IGT lavora proprio su questo, per aiutare la persona a gestire le ondate emotive che il trauma scatena.

Gli Strumenti del Terapeuta: Un Arsenale di Tecniche Mirate
E qui entrano in gioco gli “strumenti specifici”. L’IGT, nella sua natura integrativa, non ha paura di dialogare e incorporare tecniche che si sono dimostrate efficaci. Tra queste, spiccano:
- EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing): Sviluppata da Francine Shapiro, questa tecnica utilizza la stimolazione bilaterale (come i movimenti oculari guidati) per aiutare il cervello a elaborare i ricordi traumatici “congelati”. È come se si sbloccasse un ingranaggio inceppato, permettendo all’esperienza di essere digerita e integrata in modo più adattivo. L’EMDR può essere usato sia per elaborare i ricordi che per rafforzare risorse interne, come il “luogo sicuro interiore”.
- Brainspotting: Una tecnica affascinante sviluppata da David Grand. Si basa sull’idea che “dove guardi influenza come ti senti”. Mantenendo lo sguardo fisso su un punto specifico nel campo visivo (“Brainspot”), si può accedere a materiale traumatico immagazzinato a livello profondo nel cervello, facilitandone l’elaborazione e il rilascio.
Ma non è tutto. La Gestalt stessa offre un tesoro di metodi creativi e potenti:
- Lavoro con le parti della personalità traumatizzate: Spesso chiamate “bambino interiore”, queste parti vengono accolte, ascoltate e aiutate a ricevere ciò di cui avevano bisogno al tempo del trauma, ma in un contesto sicuro e protetto, grazie alla presenza dell’adulto di oggi.
- Tecniche immaginative: Come la creazione di un “luogo sicuro interiore”, un rifugio mentale dove la persona può ritrovare calma e stabilità.
- Lavoro con la sedia vuota: Per dialogare con parti di sé, con figure significative o con i perpetratori, in un ambiente protetto.
- Lavoro con i simboli e i media creativi: Come il disegno, la pittura (ad esempio, la tecnica del “Trittico” di cui parleremo), l’uso di oggetti simbolici (come cuscini o peluche) per dare forma ed espressione a vissuti difficili da verbalizzare.
La scelta di quale tecnica usare, e quando, è sempre individualizzata e frutto di una decisione condivisa tra terapeuta e paziente, tenendo sempre al primo posto la sicurezza e il rispetto dei tempi della persona.
Il Viaggio di Frau P.: Una Storia di Resilienza e Trasformazione
Per rendere tutto questo più concreto, voglio raccontarvi brevemente la storia di Frau P., una donna di 51 anni che ha intrapreso un percorso terapeutico durato 18 anni (per un totale di 644 ore) per un DPTSC. La sua infanzia e adolescenza sono state segnate da abusi sessuali da parte del padre adottivo e da violenza da parte della madre. All’inizio della terapia, soffriva di attacchi di panico, tachicardia, fasi depressive, stati dissociativi e disturbi del sonno.
I primi tre anni sono stati dedicati a costruire un senso di sicurezza interiore e una solida relazione terapeutica. La terapeuta, profondamente toccata dai racconti di Frau P., ha condiviso in modo selettivo la propria risonanza emotiva, facendo sentire la paziente vista e compresa. Questo è un punto cruciale: il terapeuta non è un osservatore distaccato, ma un “compagno di viaggio” che sa essere presente e autentico, pur mantenendo il suo ruolo professionale.
Dal quarto anno, il focus si è spostato sull’ampliamento delle capacità di autoregolazione e sul distanziamento dalle figure abusanti, anche attraverso tecniche come la sedia vuota e il lavoro con i simboli. Durante tutto il percorso, è stata fondamentale un’attitudine terapeutica di sostegno, benevolenza e compassione.
Un momento significativo è stato l’esplorazione delle parti della personalità traumatizzate. Frau P. ricordava frammenti di sé a uno, tre, sei e sette anni. La terapeuta, pur provando sentimenti intensi come il disgusto verso i perpetratori, ha guidato Frau P. con cautela, per evitare ritraumatizzazioni.
Una tecnica molto utile per Frau P. è stata la visualizzazione del suo “luogo sicuro interiore” (un letto con dei peluche), spesso proposta all’inizio e alla fine delle sedute, specialmente quando emergevano ricordi dolorosi. Questa pratica è stata potenziata con l’EMDR, per ancorare più saldamente questa risorsa. Già dall’inizio, questo ha portato a una diminuzione del senso di angoscia soggettiva.
Quando Frau P. entrava in stati dissociativi, sentendosi “come assente”, la terapeuta, percependo una risonanza simile, l’ha aiutata a collegare questi stati agli abusi subiti. Domande come “Di cosa ha bisogno ora per sentirsi sicura?” o “Per favore, mi dica subito se qualcosa non va bene per lei” erano costanti, sottolineando la centralità della sicurezza e del consenso.
Un esempio potente di lavoro con le parti traumatizzate: Frau P. ricorda una scena in cui da bambina doveva sdraiarsi accanto al padre adottivo. La terapeuta, sentendo rabbia verso l’aggressore, ha incoraggiato la paziente a immaginare cosa l’avrebbe aiutata allora. Frau P. ha visualizzato la sua parte adulta che impediva alla parte bambina di entrare nella stanza dell’abusatore, erigendo un muro bianco impenetrabile. Poi, l’adulta portava la bambina al sicuro. Questo processo, accompagnato da movimenti oculari tipo EMDR, ha reso la scena traumatica originaria molto più distante e meno disturbante.

Nel quarto anno, un articolo di giornale su un abuso sessuale ha scatenato in Frau P. immagini intrusive. Il suo livello di stress soggettivo (SUD) era altissimo (8 su 10). La terapeuta ha proposto il Brainspotting. Frau P. ha identificato un punto nel suo campo visivo dove le immagini erano più attive (a destra, all’altezza degli occhi) e un “punto risorsa” dove si sentiva meno oppressa (in alto a sinistra). Alternando lo sguardo tra i due punti e poi soffermandosi sul punto risorsa, il suo SUD è sceso a 0. Nelle sedute successive, ha riferito di sentirsi bene e di aver ripreso a suonare, una sua passione.
Un’altra tecnica creativa utilizzata è stata il “Trittico”. Immaginate un dipinto in tre parti: l’anta sinistra per un bel momento prima del trauma, l’anta destra per una visione del futuro, quando il trauma sarà guarito, e la parte centrale, incorniciata per sicurezza, per l’immagine chiave del trauma. Frau P., al sedicesimo anno di terapia, ha dipinto una casa a tre piani nella parte centrale, collocando le sue parti bambine traumatizzate ai diversi piani a seconda della gravità delle loro ferite. Lavorando con questo trittico per due anni, aiutandosi con dei peluche in seduta, ha iniziato a prendersi cura simbolicamente di queste parti, parlando loro con affetto, offrendo conforto. Questo lavoro ha portato a una significativa riduzione della dissociazione e a un miglioramento dell’immagine di sé.
Infine, al diciottesimo anno, per integrare ulteriormente queste parti, è stata introdotta la tecnica del “Wohlfühlraum” (Spazio del Benessere), combinata con il Brainspotting. Frau P. ha immaginato uno spazio piacevole (una stanza con dei tavoli) focalizzando un punto specifico nel suo campo visivo. In questo spazio, ha visualizzato tutte le sue parti bambine che si incontravano, come in una gita scolastica, con figure adulte positive che davano sicurezza. In una seduta successiva, le parti erano sedute a tavoli diversi, alcune pronte a giocare, altre ancora bisognose di cure, ma tutte accudite. Il SUD è sceso a 0. La terapeuta stessa si è sentita molto toccata e sollevata da queste immagini di integrazione.
Perché Questa Integrazione Funziona Così Bene?
Il caso di Frau P. ci mostra in modo vivido come la combinazione di approcci specifici per il trauma con i metodi e le tecniche della Gestalt Integrativa possa offrire un percorso di guarigione profondo e rispettoso. La varietà di metodi ha permesso un’elaborazione il più possibile delicata delle sue esperienze traumatiche.
L’enfasi iniziale sulla sicurezza e sulla relazione terapeutica ha creato il contenitore necessario per affrontare il dolore. Tecniche come EMDR e Brainspotting, integrate con il lavoro sulle parti traumatizzate e con metodi creativi e simbolici della Gestalt, hanno permesso a Frau P. non solo di “processare” i ricordi, ma di ricostruire un senso di sé più coeso e amorevole.
Oggi, Frau P. utilizza autonomamente tecniche come il tapping bilaterale (tipico dell’EMDR) per stabilizzarsi e dice di sé: “Sono orgogliosa di me, mi piaccio. Le mie parti sono come personalità forti, hanno dovuto sopportare molto. Ora è molto meglio di prima, sono più morbida e gentile con me stessa, mi affermo e mi sento interiormente libera”.
Un percorso lungo, certo, ma che dimostra come, anche di fronte a ferite profonde, la guarigione sia possibile. E questo, amici miei, è un messaggio di speranza che vale la pena condividere.
Fonte: Springer
