Il Tuo DNA Decide Chi Vive nel Tuo Intestino? La Sorprendente Connessione con l’Amilasi
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel mondo della genetica e del nostro intestino. Sembra strano, vero? Eppure, quello che succede nella nostra pancia, quell’universo brulicante di microbi noto come microbioma intestinale, è molto più connesso al nostro DNA di quanto potremmo immaginare. E non solo: questa connessione ha delle ripercussioni incredibili sulla nostra salute metabolica.
Da tempo sappiamo che il microbioma intestinale è un attore chiave per la nostra salute. Alterazioni in questa comunità microbica sono state collegate a un sacco di condizioni, dai disturbi metabolici alle malattie cardiovascolari, fino a problemi autoimmuni e infiammatori. Ma cosa modella questo ecosistema interno? Sappiamo che la dieta gioca un ruolo enorme, ma anche la nostra genetica ha una voce importante in capitolo. Il punto è: come esattamente il nostro patrimonio genetico influenzi i tipi di batteri che ospitiamo e le loro funzioni è ancora un bel rompicapo.
Alla scoperta degli “Enterotipi” nei topi
Per cercare di capirci qualcosa di più, abbiamo intrapreso uno studio ambizioso, utilizzando un gruppo speciale di “collaboratori”: 90 ceppi diversi di topi iperlipidemici, parte di un pannello chiamato HMDP (Hybrid Mouse Diversity Panel). Questi topolini sono stati studiati in passato per una varietà di tratti cardio-metabolici, rendendoli perfetti per la nostra indagine. Abbiamo analizzato il DNA presente nel contenuto cecale (una parte del loro intestino) con tecniche di metagenomica, che ci permettono di vedere non solo *chi* c’è (quali batteri), ma anche *cosa* fanno (quali geni e funzioni metaboliche possiedono).
E qui la prima sorpresa: analizzando la composizione batterica, abbiamo visto che i microbiomi di questi topi non erano tutti uguali, ma tendevano a raggrupparsi in tre “tipi” principali, che chiamiamo enterotipi. Immaginate delle “tribù” batteriche dominanti:
- Una tribù dominata dai Firmicutes
- Una tribù dominata dai Bacteroidetes
- Una tribù dominata dai Verrucomicrobia
Questa stratificazione era evidente sia guardando le specie batteriche presenti, sia analizzando le loro funzioni metaboliche complessive. È un po’ come succede anche nell’uomo, anche se le “tribù” dominanti sono diverse (noi abbiamo spesso Bacteroides, Prevotella e Ruminococcaceae).
Il Gene dell’Amilasi Entra in Scena
Ma la vera domanda era: c’entra qualcosa la genetica dei topi con questi enterotipi? Per scoprirlo, abbiamo usato un approccio chiamato “Genome-Wide Association Study” (GWAS), che cerca associazioni tra le variazioni genetiche dei topi (presenti nel loro DNA) e le caratteristiche del loro microbioma (abbondanza di batteri specifici, funzioni metaboliche, ecc.).
Ed ecco il colpo di scena! Abbiamo identificato un’area specifica sul cromosoma 3 dei topi che era fortemente associata agli enterotipi dominati da Firmicutes e Bacteroidetes. E cosa c’è in quella regione del genoma? Un gruppo di geni che codificano per l’amilasi! L’amilasi è quell’enzima, presente anche nella nostra saliva e nel nostro pancreas, che serve a digerire l’amido, uno dei carboidrati principali della nostra dieta.

In particolare, abbiamo visto che una specifica variazione genetica (un SNP, per i tecnici, chiamato rs31001780) in questa regione era collegata alla composizione del microbioma: i topi con un certo “allele” (una versione del gene) tendevano ad avere più Firmicutes e meno Bacteroidetes, mentre quelli con l’altro allele mostravano la tendenza opposta, specialmente verso l’enterotipo Bacteroidetes. Anche l’enterotipo Verrucomicrobia aveva il suo “locus” genetico associato, stavolta sul cromosoma 1.
Perché proprio l’Amilasi? La Pista dei Carboidrati
Ma perché mai un gene che digerisce l’amido dovrebbe influenzare i batteri intestinali? L’ipotesi è affascinante. L’amido è un carboidrato complesso. Se l’ospite (il topo, in questo caso) ha un’amilasi molto efficiente (magari perché ha più copie del gene o una versione più attiva), digerirà gran parte dell’amido prima che arrivi nell’intestino crasso, dove vivono la maggior parte dei batteri. Questo lascerebbe a disposizione dei microbi principalmente zuccheri più semplici. Al contrario, se l’amilasi dell’ospite è meno efficiente, più amido “resistente” arriverà nell’intestino, diventando cibo per batteri specializzati nella sua degradazione.
E guarda caso, analizzando le funzioni metaboliche, abbiamo visto che i batteri dell’enterotipo Bacteroidetes (in particolare la famiglia Muribaculaceae, super abbondante nei topi) sembravano più “attrezzati” per degradare amido e polisaccaridi complessi. Invece, i batteri dell’enterotipo Firmicutes (come la famiglia Lachnospiraceae) sembravano preferire zuccheri più semplici. Addirittura, analizzando i genomi batterici ricostruiti (i MAGs), abbiamo visto che i batteri Muribaculaceae con più geni per utilizzare i polisaccaridi (i cosiddetti PULs) erano più abbondanti nei topi con una minore espressione del gene dell’amilasi salivare (Amy1). Sembra proprio che la capacità dell’ospite di digerire l’amido crei nicchie diverse per batteri con diverse “specialità” alimentari!
La Prova del Nove: Amilasi e Microbioma in Altri Topi
Per essere ancora più sicuri, abbiamo fatto un esperimento su altri sei ceppi di topi comuni, con background genetici diversi, alimentati stavolta con una dieta ricca di carboidrati. Abbiamo misurato quante copie dei geni dell’amilasi (Amy1 e Amy2) avevano nel loro DNA. Mentre Amy1 era abbastanza costante, il numero di copie di Amy2 variava tantissimo (da 9 a 16!). E cosa abbiamo trovato nel loro intestino? Proprio quello che ci aspettavamo: i topi con meno copie del gene Amy2 avevano una quantità significativamente maggiore di batteri della famiglia Muribaculaceae e anche più geni batterici per l’alfa-amilasi (l’enzima batterico che fa un lavoro simile a quello dell’ospite). Bingo! Sembra proprio che una minore capacità genetica dell’ospite di digerire l’amido favorisca la crescita di questi batteri “specialisti” dell’amido.

Ma Tutto Questo, Che Impatto Ha sulla Salute?
Ok, abbiamo stabilito un legame tra genetica dell’ospite (amilasi), tipo di microbioma (enterotipi) e dieta (carboidrati). Ma la domanda da un milione di dollari è: tutto ciò influisce sulla salute metabolica dei topi? Ricordate che i nostri topi HMDP erano stati studiati per tratti come i livelli di colesterolo, la steatosi epatica (fegato grasso) e persino l’aterosclerosi.
Abbiamo quindi cercato correlazioni tra gli enterotipi (rappresentati dalle loro “tribù” principali, i CAGs Firmicutes e Bacteroidetes) e questi parametri di salute. E le associazioni sono emerse! Per esempio:
- La dimensione delle lesioni aterosclerotiche era correlata positivamente con alcuni Bacteroidetes e negativamente con alcuni Firmicutes (come Roseburia).
- I livelli di colesterolo HDL (“buono”) e LDL/VLDL (“cattivo”) mostravano associazioni opposte con i due gruppi batterici.
- La fibrosi epatica (un danno al fegato più serio) era correlata negativamente con i Bacteroidetes e positivamente con i Firmicutes.
Questi risultati suggerivano che gli enterotipi, plasmati in parte dalla genetica dell’amilasi, fossero associati a importanti esiti per la salute.
Dalla Correlazione alla Causalità: La Randomizzazione Mendeliana
Correlazione non significa causalità, lo sappiamo bene. Solo perché due cose accadono insieme, non vuol dire che una causi l’altra. Per cercare di capire se fosse il microbioma a influenzare la salute metabolica (e non viceversa, o magari entrambi influenzati da un terzo fattore), abbiamo usato una tecnica statistica potente chiamata Randomizzazione Mendeliana (MR). Sfrutta le variazioni genetiche (che sono assegnate casualmente alla nascita, un po’ come in un esperimento randomizzato) come “strumenti” per inferire relazioni causali.
E i risultati dell’MR sono stati illuminanti! Hanno suggerito una relazione causale tra l’enterotipo Firmicutes/Bacteroidetes (rappresentato dalle sue funzioni metaboliche aggregate) e due parametri importanti:
- Un aumento dell’area di fibrosi epatica.
- Un aumento dei livelli di colesterolo HDL.
Quando abbiamo provato a invertire la domanda (cioè, se fossero i tratti metabolici a causare cambiamenti nel microbioma), non abbiamo trovato effetti causali significativi. Questo rafforza l’idea che sia proprio il microbioma, influenzato dalla genetica dell’ospite, ad avere un impatto su questi aspetti della salute.
Un Dettaglio Inaspettato: i Flagelli Batterici
C’è un ultimo dettaglio intrigante. Abbiamo notato che tra le funzioni batteriche associate al locus dell’amilasi sul cromosoma 3, c’erano molti geni legati ai flagelli, le “code” che alcuni batteri usano per muoversi. Questi geni erano particolarmente abbondanti nei batteri dell’enterotipo Firmicutes (come le Lachnospiraceae). E, cosa interessante, l’abbondanza di un gene chiave del flagello (fliC) era correlata con diversi parametri metabolici, tra cui colesterolo e fibrosi epatica. Addirittura, diverse varianti di questo gene flagellare sembravano avere associazioni diverse con la salute del topo. Questo apre una nuova pista: forse non è solo il metabolismo dei carboidrati a contare, ma anche come questi batteri interagiscono con il sistema immunitario dell’ospite attraverso strutture come i flagelli? Studi precedenti hanno infatti collegato i batteri flagellati a cambiamenti nei livelli di colesterolo HDL e alla progressione della malattia epatica.

Cosa Ci Portiamo a Casa?
Questo studio, usando un approccio di “genetica dei sistemi” su un gruppo diversificato di topi, ci ha mostrato in modo piuttosto convincente come la variazione genetica dell’ospite, in particolare nel locus del gene dell’amilasi, possa plasmare attivamente la composizione e la funzione del microbioma intestinale, favorendo enterotipi distinti con diverse capacità metaboliche (specialmente riguardo ai carboidrati). E, cosa ancora più importante, suggerisce che questi microbiomi “scelti” dalla genetica possano avere un impatto causale su tratti metabolici fondamentali come i livelli di colesterolo e la salute del fegato.
Certo, siamo ancora nel mondo dei topi, e trasferire queste scoperte all’uomo richiede cautela e ulteriori ricerche. Ma è un passo avanti enorme nella comprensione di quel dialogo complesso e fondamentale tra i nostri geni, i nostri microbi e la nostra salute. Ci ricorda che siamo ecosistemi complessi, e che a volte la chiave per capire grandi problemi di salute può nascondersi in dettagli apparentemente piccoli, come un enzima che digerisce l’amido!
Fonte: Springer
