Fotografia di ritratto, lente da 35 mm, profondità di campo, duotone (ciano e magenta), che mostra un'immagine concettuale di sagome gemelle. Una silhouette contiene mitocondri luminosi e fili di DNA, mentre l'altra mostra cellule di tessuto adiposo. Una sottile linea di collegamento tra loro simboleggia la ricerca che collega questi elementi all'obesità.

Gemelli sotto la lente: svelati i segreti tra DNA, mitocondri e ciccia!

Amici scienziati e curiosi di natura, oggi vi porto con me in un viaggio affascinante nel cuore delle nostre cellule, per capire meglio un nemico comune: l’obesità. Sappiamo tutti che è un bel rompicapo, con tanti fattori in gioco. Ma se vi dicessi che studiando i gemelli abbiamo scovato degli indizi importantissimi che legano la metilazione del DNA, la quantità di DNA mitocondriale e, appunto, i chili di troppo? Tenetevi forte, perché la storia è intrigante!

I protagonisti della nostra indagine: DNA, mitocondri e gemelli

Partiamo dalle basi. I mitocondri, li ricordate? Sono le centraline energetiche delle nostre cellule. Hanno un loro piccolo DNA circolare, ma per funzionare al meglio hanno bisogno di dialogare costantemente con il DNA principale, quello che sta nel nucleo. Questa comunicazione, che chiamiamo “mitonucleare”, è fondamentale. E qui entra in gioco l’epigenetica, in particolare la metilazione del DNA. Immaginatela come dei piccoli interruttori che possono accendere o spegnere i geni, influenzandone l’attività. È un po’ come se la metilazione del DNA potesse fare da regista a questa orchestra cellulare.

La letteratura scientifica ci dice che questa relazione è a doppio senso: i mitocondri possono influenzare la metilazione del DNA nucleare e, viceversa, la metilazione può regolare il metabolismo mitocondriale. Un vero e proprio tango cellulare! E quando si parla di metabolismo energetico, l’obesità è subito lì, dietro l’angolo. L’eccesso di grasso corporeo, infatti, è spesso associato a problemi nella biogenesi mitocondriale e nella loro capacità di produrre energia. Ma come la metilazione del DNA si inserisce in questo quadro, soprattutto nei tessuti chiave come quello adiposo e muscolare, era ancora un bel mistero.

La nostra missione: a caccia di indizi nei gemelli finlandesi

Per cercare di sbrogliare questa matassa, abbiamo coinvolto un gruppo di 173 partecipanti dal Finnish Twin Cohort study, tra cui ben 86 coppie di gemelli. Perché i gemelli, vi chiederete? Beh, i gemelli monozigoti (MZ), quelli identici, condividono praticamente lo stesso DNA. Questo ci permette di capire meglio quanto contino i fattori ambientali o, come in questo caso, le modifiche epigenetiche, rispetto alla genetica pura. Abbiamo analizzato campioni di tessuto adiposo sottocutaneo e di muscolo scheletrico, misurando un sacco di parametri legati all’obesità, la quantità di DNA mitocondriale (mtDNAq) e, ovviamente, i livelli di metilazione del DNA in tutto il genoma.

L’obiettivo era triplice:

  • Identificare siti di metilazione del DNA associati alle differenze nella quantità di DNA mitocondriale.
  • Vedere se questi siti fossero collegati a parametri dell’obesità.
  • Esplorare le possibili relazioni di causa-effetto tra mtDNAq, metilazione e obesità usando un metodo statistico chiamato ICE FALCON.

Il nostro campione era interessante: età media tra i 23 e i 70 anni, con una prevalenza femminile (59%). L’indice di massa corporea (BMI) medio era di 29.2 kg/m2, indicando un campione tendenzialmente in sovrappeso, e alcuni partecipanti avevano anche il diabete di tipo 2. Insomma, un bel mix per studiare queste dinamiche.

La scoperta chiave nel tessuto adiposo: il gene SH3BP4

E qui arriva il bello! Analizzando il tessuto adiposo, abbiamo scovato un sito di metilazione specifico, un CpG chiamato cg19998400, che era significativamente e inversamente associato alla quantità di DNA mitocondriale. Questo significa che più DNA mitocondriale c’era, meno metilato era questo sito. E dove si trova questo cg19998400? In una regione che regola l’attività del gene SH3BP4 (SH3 domain binding protein 4), una proteina coinvolta nelle vie di segnalazione intracellulare. Un altro sito, cg17468563 vicino al gene DHRS3, ha mostrato un’associazione marginale.

Curiosamente, nel tessuto muscolare non abbiamo trovato associazioni così chiare. Sembra proprio che il tessuto adiposo sia il palcoscenico principale di questa interazione. Questo ci ha spinto a concentrarci proprio sul grasso per il resto delle nostre analisi.

Macro lens, 60mm, high detail, precise focusing, controlled lighting, immagine artistica di una cellula adiposa con in evidenza i mitocondri e il nucleo, con filamenti di DNA stilizzati che si collegano, a simboleggiare l'interazione mitonucleare e la metilazione.

Ma non ci siamo fermati qui. La metilazione, come dicevamo, può influenzare l’espressione dei geni. E infatti, abbiamo visto che la metilazione di cg19998400 era correlata positivamente con l’espressione del gene SH3BP4. In altre parole, più metilazione, più attivo il gene. Per DHRS3, invece, la correlazione era negativa. Un bel rebus, perché di solito si pensa che la metilazione spenga i geni, ma la realtà è molto più complessa e dipende dal contesto genomico.

Chi influenza chi? L’analisi di causalità con ICE FALCON

Avere delle associazioni è interessante, ma noi scienziati siamo golosi di capire le cause! Per questo, abbiamo usato il metodo ICE FALCON sulle coppie di gemelli monozigoti. Questo strumento statistico ci aiuta a inferire la direzione della causalità. E cosa abbiamo scoperto per SH3BP4?

I dati suggerivano che la quantità di DNA mitocondriale potesse essere una causa delle variazioni nella metilazione di cg19998400. È come se i mitocondri mandassero un segnale al nucleo, dicendogli “Ehi, modifica la metilazione di quel gene lì!”. Questa è quella che chiamiamo segnalazione retrograda, dai mitocondri al DNA nucleare. Un’ipotesi è che i mitocondri, essendo cruciali per il ciclo della metionina (che fornisce i “mattoncini” per la metilazione), possano influenzare direttamente questo processo.

Abbiamo anche cercato di capire se fosse la metilazione a influenzare l’espressione di SH3BP4 o viceversa. I risultati, seppur marginali, erano consistenti con l’idea che la metilazione di cg19998400 influenzi l’espressione di SH3BP4, anche se non possiamo escludere altri fattori confondenti.

Il legame con l’obesità: un quadro complesso

Ora, la domanda da un milione di dollari: tutto questo c’entra con l’obesità? Assolutamente sì! Abbiamo esaminato 35 tratti legati all’obesità e abbiamo visto che ben 14 di essi erano associati sia alla quantità di DNA mitocondriale sia alla metilazione di SH3BP4. Questi includevano principalmente parametri relativi alla composizione del grasso corporeo, alla sensibilità all’insulina e ai livelli di colesterolo HDL (quello “buono”).

Per esempio, una maggiore quantità di DNA mitocondriale era correlata con meno grasso corporeo e maggiore sensibilità all’insulina. La metilazione di SH3BP4, invece, era associata a livelli più alti di trigliceridi, proteina C-reattiva (un marker di infiammazione), glucosio a digiuno e pressione sanguigna sistolica.

Per non farci mancare nulla, abbiamo validato alcune di queste scoperte in altre coorti di gemelli, come la TwinsUK e una coorte scandinava di gemelli discordanti per il diabete di tipo 2, trovando conferme importanti, ad esempio sull’associazione tra metilazione di SH3BP4, sua espressione e BMI.

Cosa causa cosa nell’obesità? Altre rivelazioni da ICE FALCON

Tornando al nostro fidato ICE FALCON, abbiamo esplorato le relazioni causali tra i 14 tratti di obesità, la metilazione di SH3BP4 e la quantità di DNA mitocondriale. I risultati sono stati illuminanti! Sembra che alcune variabili legate all’insulino-resistenza e al grasso ectopico (quello che si accumula dove non dovrebbe, come nel fegato o tra gli organi addominali) possano esercitare un’influenza causale sulla metilazione di SH3BP4. In pratica, alterazioni metaboliche come una ridotta sensibilità all’insulina o un accumulo di grasso intra-addominale potrebbero “innescare” cambiamenti nella metilazione di questo gene.

È interessante notare che non tutti i tratti di obesità sembravano avere questo legame causale diretto con la metilazione di SH3BP4. Ad esempio, il BMI in sé non mostrava la stessa chiara causalità. Questo potrebbe riflettere l’eterogeneità metabolica che vediamo spesso tra persone con BMI simili: non tutti gli obesi sono uguali dal punto di vista metabolico!

E per quanto riguarda la relazione tra quantità di DNA mitocondriale e obesità? L’analisi suggeriva o che l’mtDNAq fosse causale per molti dei tratti di obesità, oppure che ci fosse qualche fattore confondente non misurato. Un eccessivo apporto di nutrienti, ad esempio, potrebbe danneggiare la funzione mitocondriale e contribuire all’aumento di peso. Resta da capire se sia un semplice confondente o se i mitocondri medino proprio il percorso che porta all’obesità.

Fotografia di ritratto, obiettivo da 35 mm, stile noir per film, che mostra due gemelli identici fianco a fianco, uno leggermente più pesante dell'altro, con sottile elica del DNA e grafica mitocondriale sovrapposta, che rappresentano lo studio sui gemelli e l'obesità.

Mitocondri, invecchiamento e l’importanza del tessuto giusto

Un’altra chicca: abbiamo trovato un’associazione tra la quantità di DNA mitocondriale e l’accelerazione dell’età epigenetica (misurata con diversi “orologi biologici” come Horvath, Hannum e PhenoAge) nel tessuto adiposo. Questo suggerisce che il metabolismo mitocondriale sia una componente chiave nel guidare l’invecchiamento biologico. Non è un caso che PhenoAge mostri un’accelerazione dell’età in cellule con mitocondri depleti.

Questo studio sottolinea anche quanto sia importante studiare i tessuti direttamente coinvolti nella malattia, andando oltre i semplici campioni di sangue. Abbiamo visto che le associazioni tra metilazione del DNA e mtDNAq nell’obesità non sono uniformi: solo il tessuto adiposo, e non quello muscolare, ha mostrato queste chiare connessioni. Questo potrebbe riflettere i diversi ruoli di questi due tessuti nell’obesità; le alterazioni nel tessuto adiposo sembrano essere più profondamente legate alla salute metabolica rispetto a quelle muscolari, almeno nelle fasi iniziali.

Cosa ci portiamo a casa e cosa ci aspetta?

In sintesi, il nostro studio sui gemelli ha messo in luce un potenziale legame causale tra il metabolismo mitocondriale nel tessuto adiposo, la metilazione del DNA e l’espressione del gene SH3BP4. Questa connessione è particolarmente rilevante nell’obesità, dove alcuni esiti legati alla sensibilità all’insulina e al grasso intra-addominale sembrano contribuire alla metilazione di SH3BP4, sia attraverso la quantità di DNA mitocondriale sia tramite altre vie.

Certo, il nostro studio ha dei limiti: è trasversale (una fotografia in un dato momento), il campione non è enorme e non avevamo dati precisi su alcune abitudini, come la dieta. Inoltre, i nostri partecipanti non avevano condizioni di salute gravissime, quindi i risultati potrebbero non essere generalizzabili a tutti. Tuttavia, la forza sta nell’aver integrato dati di metilazione, mtDNAq, espressione genica e fenotipi dettagliati dell’obesità in gemelli, permettendoci di usare strumenti come ICE FALCON.

Proponiamo l’esistenza di una complessa rete che interconnette la metilazione del DNA e il metabolismo mitocondriale nell’obesità, contribuendo alla natura sfaccettata di questa condizione. Capire a fondo queste interazioni promette di farci fare passi da gigante nella comprensione del complesso panorama metabolico dell’obesità. E chissà, magari un giorno potremo usare queste conoscenze per sviluppare nuove strategie per prevenirla o trattarla!

È un campo di ricerca in continua evoluzione, e ogni scoperta, come la nostra, aggiunge un tassello importante al puzzle. Continueremo a scavare, promesso!

Fonte: Springer Nature

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *