Depressione? E se la Cura Fosse (anche) un Gioco? Scopriamo la Gamification negli Interventi Online!
Ehilà, amici lettori! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta particolarmente a cuore e che, ne sono convinto, potrebbe davvero fare la differenza per molti: come rendere più “appetibili” e EFFICACI gli interventi online per un osso duro come la depressione. Sì, avete capito bene, quella bestiaccia che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, affligge circa 280 milioni di persone nel mondo. Un numero da capogiro, vero?
Sappiamo tutti che esistono terapie valide, dalla psicoterapia ai farmaci. Il problema, però, è che spesso chi soffre di depressione non cerca o non riceve l’aiuto adeguato. Le ragioni? Tante: lo stigma, la scarsa informazione, problemi logistici o economici. Pensate che a volte passano anni, dai 6 ai 14, prima che una persona decida di affrontare il problema! Qui entrano in gioco gli interventi via Internet: una risorsa preziosissima, soprattutto per chi è restio o impossibilitato a seguire i percorsi tradizionali. Questi strumenti digitali si sono dimostrati efficaci, ma, ahimè, hanno un tallone d’Achille: il basso coinvolgimento e l’alto tasso di abbandono. È un po’ come iscriversi in palestra a gennaio e mollare tutto a febbraio, vi suona familiare?
Ma cos’è esattamente questa “Gamification”?
Ed è qui che entra in scena la protagonista della nostra chiacchierata: la gamification. Detta in parole povere, si tratta di applicare elementi tipici dei giochi (avete presente badge, punti, classifiche?) a contesti che con il gioco, apparentemente, non c’entrano nulla. L’idea è semplice ma geniale: rendere un’attività più coinvolgente, motivante e, perché no, divertente! Se ci pensate, uno dei sintomi della depressione è proprio la perdita di motivazione. Quindi, agire sulla motivazione potrebbe essere la chiave per migliorare l’aderenza a questi programmi online.
La Teoria dell’Autodeterminazione (SDT) ci insegna che le motivazioni estrinseche (come una ricompensa esterna, un badge appunto) possono aiutare a costruire quelle intrinseche, cioè quelle che vengono da dentro, quelle che ci fanno dire “lo faccio perché è importante per ME”. E la gamification, in questo, può dare una grossa mano. Ci sono studi che dimostrano come l’aggiunta di elementi ludici migliori l’apprendimento, la motivazione e la soddisfazione. Immaginate di sbloccare un “obiettivo” per aver completato un modulo o per aver monitorato il vostro umore: non vi sentireste un po’ più spronati a continuare?
Lo Studio “BetterBET”: Mettere alla Prova la Teoria
Proprio per capire se questa intuizione avesse un fondamento scientifico, è stato condotto uno studio interessante su un intervento online chiamato BetterBET (Better Behaviors, Emotions, and Thoughts), pensato apposta per la depressione e basato sulla terapia cognitivo-comportamentale (CBT), un approccio super validato. I ricercatori hanno reclutato partecipanti, principalmente tramite annunci su Google, e li hanno divisi in due gruppi: uno accedeva alla versione “standard” dell’intervento, l’altro a una versione “gamificata”.
In cosa consisteva la gamification? Semplice: nell’assegnazione di badge (distintivi virtuali) per determinate interazioni con la piattaforma. Ad esempio, si potevano guadagnare badge per:
- Aver effettuato l’accesso un certo numero di volte
- Aver monitorato il proprio umore
- Aver completato le lezioni
- Aver risposto ai questionari di follow-up
C’era persino un “Super Badge” per chi li collezionava tutti! L’intervento era self-paced, cioè ognuno poteva seguirlo con i propri tempi, e consisteva in diverse lezioni interattive su strategie per gestire la depressione. C’era anche una pagina principale con un grafico dell’umore (da 1, umore pessimo, a 9, umore ottimo, illustrato con icone meteo) e link a risorse utili.

L’obiettivo era capire se questi simpatici badge potessero davvero spingere le persone a interagire di più e più a lungo con il programma. E i risultati, amici miei, sono stati piuttosto incoraggianti!
I Risultati: I Badge Fanno Davvero la Differenza?
Allora, cosa è emerso da questo esperimento? Beh, tenetevi forte: il gruppo con la versione gamificata ha mostrato un maggior numero di accessi alla piattaforma, ha registrato il proprio umore più frequentemente e ha completato più follow-up. Sembra proprio che i badge abbiano fatto il loro dovere, incentivando le persone a “giocare” di più con l’intervento, o forse rendendo l’intera esperienza più gradevole.
Una cosa curiosa: anche l’utilizzo della pagina delle “Risorse”, una sezione non direttamente incentivata dai badge, è stato maggiore nel gruppo gamificato! Questo potrebbe suggerire che i badge abbiano avuto un effetto di rinforzo generalizzato, spingendo gli utenti a esplorare di più il sito. È come se, sentendosi più coinvolti, avessero sviluppato una maggiore curiosità.
Tuttavia, c’è un “ma”. Non sono state osservate differenze significative nel numero di lezioni visitate o nella durata della permanenza nelle lezioni stesse. Come mai? Gli autori dello studio ipotizzano che le lezioni fossero forse troppo lunghe e richiedessero un impegno attentivo e una motivazione costanti che i badge, magari non assegnati per ogni singola lezione, non sono riusciti a sostenere pienamente. Forse, come nei videogiochi più popolari, la chiave sta nel fornire ricompense più frequenti e per compiti più piccoli e specifici. Un po’ come ricevere una stellina per ogni esercizio completato, invece che solo per il compito in classe finito.
Non è Tutto Oro Quello che Luccica: Limiti e Prospettive Future
Come ogni studio che si rispetti, anche questo ha i suoi limiti. Ad esempio, il reclutamento tramite Google Ads potrebbe aver escluso chi usa ad-blocker o non cerca attivamente risorse online per la salute mentale. Inoltre, gran parte del periodo di reclutamento è coinciso con la pandemia di COVID-19, un periodo in cui le risorse digitali per la salute mentale sono diventate più comuni, ma anche in cui le persone potevano cercare aiuto per stress più generici, trovando un intervento focalizzato sulla depressione meno adatto e abbandonandolo prima. E poi, l’intervento era ottimizzato per computer, quindi i risultati potrebbero non essere generalizzabili a chi usa prevalentemente lo smartphone.
Nonostante ciò, i risultati sono promettenti. Ci dicono che anche una gamification semplice, come l’uso dei badge, può migliorare l’engagement e la “fedeltà” agli interventi online non supportati (quelli senza contatto umano, per intenderci). E questo è fondamentale, perché questi interventi sono i più scalabili ed economici, ma soffrono terribilmente di abbandono. Il fatto che dei semplici distintivi abbiano portato a miglioramenti sottolinea come le preferenze degli utenti stiano cambiando: ci aspettiamo che i prodotti digitali siano anche divertenti e stimolanti.
Cosa ci portiamo a casa da tutto questo? Che la gamification è una strada da esplorare con attenzione. Per il futuro, si potrebbe pensare a:
- Offrire rinforzi più frequenti per compiti più piccoli e semplici.
- Rendere gli interventi più “mobile-friendly” o basati su app.
- Far conoscere gli elementi di gamification fin da subito, magari premiando già la compilazione dei dati demografici.
- Considerare i diversi “tipi di giocatori” (c’è chi ama la competizione, chi l’esplorazione, chi la socializzazione) per personalizzare l’esperienza.
Certo, bisogna anche stare attenti ai potenziali lati negativi, come la “caccia al badge” fine a se stessa o il rischio che, una volta tolti i premi, il comportamento virtuoso cessi. Ma, bilanciando bene il tutto, la gamification potrebbe davvero diventare un’alleata preziosa nella lotta contro la depressione e nel rendere le risorse per la salute mentale più accessibili ed efficaci per tutti. Insomma, se giocare può aiutarci a stare meglio, perché non provarci?
Fonte: Springer
