Funzioni Strane e Pseudo-Differenziabili: Svelando i Segreti delle Partizioni di Primi
Ciao a tutti gli appassionati di matematica e misteri numerici! Oggi voglio portarvi in un viaggio affascinante nel cuore della teoria dei numeri, un campo dove l’eleganza delle formule si scontra a volte con comportamenti davvero… strani. Parleremo di partizioni, numeri primi e di come strumenti matematici inaspettati ci aiutino a capirne l’andamento asintotico.
Cosa sono le Partizioni e Perché Ci Interessano Quelle “Prime”?
Immaginate di avere un numero intero positivo, diciamo n. Una partizione di n non è altro che un modo di scrivere n come somma di interi positivi, senza tenere conto dell’ordine. Ad esempio, le partizioni di 4 sono: 4, 3+1, 2+2, 2+1+1, 1+1+1+1. Contarle tutte per un dato n è un problema classico, studiato già da Hardy e Ramanujan.
Ma cosa succede se aggiungiamo un vincolo? E se volessimo usare solo numeri primi come addendi? Le cose si fanno subito più interessanti! Ad esempio, le partizioni di 10 in numeri primi sono: 7+3, 5+5, 5+3+2, 3+3+2+2, 2+2+2+2+2. Questo tipo di partizioni, legate ai mattoni fondamentali dell’aritmetica, ha affascinato molti matematici.
Nel nostro lavoro, abbiamo deciso di spingerci ancora oltre. Invece di usare singoli numeri primi, ci siamo chiesti: cosa succede se usiamo come addendi i cosiddetti “primi r-completi”? Con questo termine un po’ tecnico, (mathbb{P}_r), intendiamo i numeri che sono il prodotto di esattamente r numeri primi (non necessariamente distinti). Ad esempio, per r=2, avremmo numeri come 4 (2×2), 6 (2×3), 9 (3×3), 10 (2×5), ecc. Il nostro obiettivo? Trovare una formula che ci dica, all’incirca, quante partizioni di un numero n molto grande esistono usando solo questi numeri (mathbb{P}_r). Chiamiamo questa quantità (mathfrak {p}_{mathbb {P}_r}(n)).
Abbiamo anche esplorato un problema analogo, ma usando una “ponderazione” diversa legata alla famosa funzione di von Mangoldt ((Lambda)), convoluta con se stessa r volte ((Lambda^{*r})). Ma concentriamoci sul primo problema per ora.
Il Metodo del Cerchio: La Nostra Lente d’Ingrandimento
Per affrontare problemi come questo, uno strumento potentissimo è il metodo del cerchio di Hardy-Littlewood. Immaginate di avere una funzione speciale, chiamata funzione generatrice ((Psi(z))), che “codifica” il numero di partizioni nei coefficienti del suo sviluppo in serie. Per trovare il numero di partizioni di n, (mathfrak {p}_{mathbb {P}_r}(n)), dobbiamo calcolare un integrale di questa funzione lungo un cerchio nel piano complesso, con un raggio (rho) molto vicino a 1.
Il trucco geniale del metodo del cerchio è dividere questo percorso circolare in diverse sezioni:
- L’arco maggiore principale ((mathfrak {M}(1,0))): una piccola regione attorno al punto 1. È qui che si nasconde il comportamento dominante, il “segnale” principale che ci darà la parte più importante della nostra formula asintotica.
- Gli archi maggiori non principali ((mathfrak {M}(q,a)) con (q>1)): piccole regioni attorno ad altre radici dell’unità (numeri della forma (e^{2pi i a/q}) con q piccolo). Questi possono dare contributi significativi, ma di solito inferiori al principale.
- Gli archi minori ((mathfrak {m})): tutto il resto del cerchio. Idealmente, il contributo di queste zone dovrebbe essere trascurabile, considerato come “rumore” rispetto al segnale principale.
Ognuna di queste parti richiede tecniche diverse per essere analizzata.
![Visualizzazione nel piano complesso del percorso di integrazione del metodo del cerchio di Hardy-Littlewood, che mostra archi maggiori (evidenziati) e minori vicino al cerchio unitario (raggio rho inferiore a 1), stile analitico matematico, messa a fuoco nitida, illuminazione controllata, prime lens 35mm. /></p>
<h4>Gestire Archi Minori e Principali: L’Aritmetica e l’Analisi al Lavoro</h4>
<p>Per dimostrare che gli archi minori sono effettivamente “rumore”, dobbiamo addentrarci nell’aritmetica profonda. Servono stime molto precise su somme esponenziali che coinvolgono la funzione caratteristica dei nostri numeri (mathbb{P}_r). In pratica, dobbiamo mostrare che la nostra funzione generatrice non diventa “troppo grande” su queste porzioni del cerchio. Fortunatamente, basandoci su nostri risultati precedenti [11], siamo riusciti a ottenere le maggiorazioni necessarie per confinare il contributo degli archi minori nell’errore della nostra formula finale.</p>
<p>L’arco maggiore principale, invece, è un terreno più analitico. Qui usiamo tecniche come l’integrazione di contorno (in particolare, un contorno di Hankel che aggira elegantemente le singolarità) e il metodo del punto sella (o steepest descent). Questo ci permette di estrarre con precisione il termine dominante della formula asintotica per (mathfrak {p}_{mathbb {P}_r}(n)). Nel caso analogo con la funzione di von Mangoldt, questo approccio rivela anche un affascinante legame con gli zeri della funzione zeta di Riemann!</p>
<h4>La Vera Sfida: Gli Archi Maggiori Non Principali</h4>
<p>E qui arriviamo al punto cruciale, la parte più intricata e, per certi versi, più innovativa del nostro lavoro: gli archi maggiori non principali. Per gestirli, serve qualcosa di simile al famoso <b>teorema di Siegel-Walfisz</b>, che descrive come i numeri primi si distribuiscono nelle progressioni aritmetiche. Questo teorema ci dice, grosso modo, che i primi sono ben distribuiti modulo <i>q</i>, a patto che <i>q</i> non sia troppo grande rispetto al limite superiore <i>t</i> che stiamo considerando.</p>
<p>Il problema è che il teorema classico riguarda i singoli numeri primi (il caso r=1). Estenderlo direttamente ai nostri numeri (mathbb{P}_r) (prodotti di <i>r</i> primi) per (r > 1) è tremendamente complicato. L’approccio standard richiederebbe la continuazione analitica di funzioni associate (simili alle funzioni L di Dirichlet) in regioni dove, per quanto ne sappiamo, tale continuazione non è nota o richiederebbe uno sforzo enorme per essere stabilita. Serviva un’idea diversa.</p>
<h4>Il Nostro Asso nella Manica: Funzioni Strane e Pseudo-Differenziabili</h4>
<p>Di fronte a questo ostacolo, abbiamo dovuto inventare qualcosa di nuovo. Abbiamo introdotto due concetti: le <b>funzioni pseudo-differenziabili</b> e le <b>funzioni strane</b>. Cosa sono? Immaginate una funzione che, pur non essendo perfettamente “liscia” (cioè derivabile infinite volte con derivate continue nel senso classico), si comporta <i>come se</i> lo fosse quando ci interessano solo le stime asintotiche e i termini principali.</p>
<p>Una funzione <i>f</i> è detta <i>N</i> volte <b>pseudo-differenziabile</b> rispetto a una funzione guida <i>g</i> se possiamo definire una sequenza di “pseudo-derivate” (f^{(n)}) (per (n) da 0 a <i>N</i>) tali che:</p>
<ul>
<li>(f^{(0)}) approssima bene <i>f</i> (l’errore è piccolo rispetto a <i>g</i>).</li>
<li>La derivata classica di (f^{(n)}) approssima bene (f^{(n+1)}) (l’errore è piccolo rispetto alla derivata di ordine <i>n</i> di <i>g</i>).</li>
</ul>
<p>Se questo vale per ogni <i>N</i>, la funzione è detta <b>strana</b> rispetto a <i>g</i>.</p>
<p><img decoding=](https://scienzachiara.it/wp-content/uploads/2025/04/254/079_visualizzazione-nel-piano-complesso-del-percorso-di-integrazione-del-metodo-del-cerchio-di-hardy-littlewood-che-mostra-archi.webp)
Questo approccio ci permette di aggirare la necessità di derivate classiche di ordine superiore, che potrebbero non esistere o essere troppo complicate da gestire per le funzioni che descrivono la distribuzione dei numeri (mathbb{P}_r) in progressioni aritmetiche (le funzioni (A_r(t; q, ell)) nel testo originale). Usando l’induzione su r e le proprietà di queste nuove classi di funzioni (abbiamo dovuto sviluppare anche regole di derivazione per prodotti e composizioni!), siamo riusciti a dimostrare che il contributo degli archi maggiori non principali è effettivamente più piccolo del termine principale, e può quindi essere relegato nell’errore. È stata la chiave per completare la dimostrazione!
I Risultati: Formule Asintotiche Svelate
Alla fine di questo percorso, combinando l’analisi degli archi maggiori principali, la gestione degli archi minori e il controllo degli archi maggiori non principali tramite le funzioni strane, siamo riusciti a ottenere le formule asintotiche desiderate.
Per le partizioni in primi r-completi, abbiamo trovato che:
[ mathfrak {p}_{mathbb {P}_r}(n) sim frac{C_r}{n} expleft( (r+1) left( frac{Gamma(r+1)zeta(r+1)}{r} right)^{frac{1}{r+1}} left( frac{n}{(log n)^r} right)^{frac{r}{r+1}} (1 + O(dots)) right) ]
(Questa è una forma semplificata, la formula completa coinvolge un termine Q(n) più complesso e un polinomio (P_r) nel logaritmo del logaritmo di n). La cosa importante è che cattura la crescita principale della funzione.
Analogamente, per le partizioni pesate con (Lambda^{*r}), abbiamo ottenuto:
[ mathfrak {p}_{Lambda ^{*r}}(n) sim frac{widetilde{C}_r}{n} expleft( (r+1) (Gamma(r+1)zeta(r+1))^{frac{1}{r+1}} n^{frac{1}{r+1}} (1 + O(dots)) right) ]
Anche qui, la formula completa include un polinomio (widetilde{P}_r).
Questi risultati estendono lavori precedenti sulle partizioni in primi (il caso r=1 di Vaughan) e in potenze di primi (il lavoro di Gafni).

Oltre l’Orizzonte: Prossime Avventure
Questo lavoro apre nuove domande. Ad esempio, cosa succede se consideriamo partizioni in numeri “r-potenti”, cioè numeri della forma (m=p_1^{alpha _1} cdots p_r^{alpha _r}) con esponenti (alpha_i) maggiori o uguali a un certo valore? Questo richiederebbe di adattare tutte e tre le parti della nostra analisi: l’integrando per l’arco principale diventerebbe più complesso, servirebbero nuove stime per le somme esponenziali sugli archi minori, e probabilmente dovremmo estendere ulteriormente il concetto di funzioni strane e pseudo-differenziabili. Ma questa è materia per ricerche future!
Spero che questo sguardo dietro le quinte di un problema di teoria dei numeri vi abbia incuriosito. Mostra come, a volte, per capire oggetti apparentemente semplici come le partizioni di numeri, sia necessario sviluppare strumenti matematici nuovi e inaspettati, come le nostre funzioni “strane”!
Fonte: Springer
