Fotografia paesaggistica (landscape wide-angle, 10mm) dello skyline di New York City avvolto da una densa foschia arancione causata dal fumo degli incendi canadesi del 2023, lunga esposizione (long exposure) per rendere l'atmosfera surreale, focus nitido (sharp focus) sugli edifici iconici che emergono dalla foschia.

Fumo Canadese su New York: Quando l’Inquinamento Raffredda (e Perché è un Problema)

Un Cielo Arancione e un Freddo Inaspettato

Ricordate quei giorni di giugno 2023, quando il cielo sopra New York e il New Jersey si tinse di un arancione quasi apocalittico? Sembrava uscito da un film di fantascienza, ma la realtà era fumo, fumo denso proveniente dagli immensi incendi boschivi che stavano devastando il Canada. Quello che forse non tutti sanno, e che mi ha davvero affascinato studiando questo evento incredibile, è che tutto quel particolato sospeso nell’aria non ha solo peggiorato drasticamente la qualità dell’aria che respiravamo, ma ha avuto anche un effetto sorprendente e controintuitivo: ha raffreddato l’ambiente a livello del suolo. Sembra un controsenso, vero? Inquinamento che raffredda? Eppure, è proprio quello che abbiamo osservato e analizzato in dettaglio. Lasciate che vi racconti questa storia affascinante.

L’Invasione del Fumo: Un Viaggio Lampo dal Canada

Immaginatevi ondate di fumo che viaggiano per circa 800 chilometri in meno di 24 ore! È quello che è successo all’inizio di giugno 2023. Il 7 giugno, in particolare, l’aria nelle aree metropolitane di New Jersey e New York City era diventata quasi irrespirabile. I livelli di PM2.5 – quelle polveri sottili così piccole da penetrare profondamente nei nostri polmoni – schizzarono a cifre record, raggiungendo concentrazioni (circa 100 µg/m³ di media sulle 24 ore a NYC, con picchi ben oltre i 300 µg/m³ nel New Jersey!) che superavano di quasi 10 volte i limiti di sicurezza stabiliti dall’EPA statunitense e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Un evento estremo, che ha messo a dura prova la salute di milioni di persone.

Dentro la Nuvola Tossica: Cosa Respiravamo Davvero?

Ma cosa c’era esattamente in quel fumo denso e rossastro? Analizzandolo con strumenti sofisticati, abbiamo scoperto che era composto principalmente da particelle carboniose. In scienza atmosferica, distinguiamo tra “black carbon” (la classica fuliggine nera, risultato di una combustione incompleta) e “organic carbon” (carbonio organico). Una parte di quest’ultimo, che assorbe la luce in modo particolare, viene chiamata “brown carbon” (carbonio bruno). Ecco, nel fumo canadese che ci ha investito, era proprio il brown carbon a farla da padrone. Queste particelle sono tipicamente sferiche e contengono molto carbonio organico volatile e semi-volatile.

Ma non era solo carbonio. Sulla superficie di queste particelle abbiamo trovato un cocktail poco raccomandabile di Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA). Tra questi spiccava il retene, un composto considerato un marcatore molecolare specifico della combustione di legno, specialmente di conifere come quelle presenti nelle foreste canadesi. Il retene, purtroppo, non è un ospite gradito: studi tossicologici emergenti lo collegano a stress ossidativo, effetti mutageni e necrosi cellulare. Oltre al retene, abbiamo identificato altri 8 IPA considerati prioritari dall’EPA per la loro tossicità e potenziale cancerogenicità. Un mix preoccupante, soprattutto considerando che queste sostanze si aggiungevano all’inquinamento di fondo già presente in una megalopoli.

Veduta aerea grandangolare (wide-angle, 15mm) del cielo sopra lo skyline di Manhattan tinto di un arancione intenso a causa del fumo degli incendi canadesi, con focus nitido (sharp focus) sulle particelle sospese nell'aria, lunga esposizione per accentuare l'effetto foschia.

Un dettaglio interessante: il fatto che il fumo sia arrivato così in fretta (in meno di 24 ore il 7 giugno, viaggiando anche di notte) ha fatto sì che queste particelle di brown carbon non avessero molto tempo per “invecchiare” sotto l’azione della luce solare. Normalmente, la luce solare tende a “sbiancare” il brown carbon (un processo chiamato photobleaching), riducendo la sua capacità di assorbire luce. Ma in questo caso, il viaggio rapido ha preservato in parte questa capacità.

L’Effetto “Schermo Solare” del Fumo

Ora, arriviamo al cuore della questione: come ha fatto questo fumo a raffreddare l’aria? Pensate a queste miliardi di particelle sospese come a una sorta di gigantesco, anche se sporco, “schermo solare”. Il particolato da incendi (WFPM – Wildfire Particulate Matter) interagisce con la radiazione solare in due modi principali:

  • Assorbimento: Le particelle (soprattutto il black carbon, ma anche un po’ il brown carbon) assorbono parte della luce solare, riscaldandosi e riscaldando l’aria circostante.
  • Scattering (Diffusione): Le particelle (soprattutto quelle più ricche di carbonio organico, come il brown carbon) diffondono la luce solare in tutte le direzioni, un po’ come minuscoli specchi. Una parte significativa di questa luce viene riflessa indietro verso lo spazio.

Nel caso del fumo canadese arrivato su NY/NJ, le nostre misurazioni hanno mostrato che l’effetto di scattering era predominante rispetto all’assorbimento. L’indice che misura questo rapporto si chiama “Single Scattering Albedo” (SSA): un valore vicino a 1 significa che la maggior parte della luce viene diffusa, mentre un valore più basso indica più assorbimento. Nei giorni del picco, l’SSA era molto alto, sopra 0.9.

Questo forte scattering ha portato a quello che chiamiamo un forzante radiativo diretto (RF) fortemente negativo. In parole povere, significa che la presenza del fumo ha causato una notevole riduzione della quantità di energia solare che raggiungeva la superficie terrestre. Abbiamo calcolato questo effetto basandoci sulle proprietà ottiche misurate del particolato e sulla sua concentrazione lungo tutta la colonna d’aria. Il risultato per il 7 giugno è stato sbalorditivo: un RF di -352.4 ± 40 W/m²! Per darvi un’idea, è un valore enorme, capace di influenzare significativamente il bilancio energetico locale.

Tre Gradi in Meno: La Prova del Raffreddamento

E l’effetto pratico di questo potentissimo “schermo solare”? Un calo misurabile della temperatura a livello del suolo! Proprio così. Confrontando le temperature medie giornaliere registrate dalle stazioni meteorologiche nel New Jersey (New Brunswick) e a New York City (Central Park) durante il picco dell’evento (7 giugno) con quelle dei giorni immediatamente precedenti e successivi senza fumo (usati come riferimento), abbiamo osservato una riduzione di circa 3°C.

Certo, bisogna essere cauti: il tempo meteorologico è complesso e altri fattori possono aver contribuito. Tuttavia, un forzante radiativo così intensamente negativo come quello che abbiamo misurato fornisce una spiegazione fisica molto plausibile, almeno parziale, per questo raffreddamento anomalo osservato proprio nei giorni di massima concentrazione del fumo. Non è la prima volta che si osserva un effetto simile per fumi da incendi in altre parti del mondo o per forte inquinamento in aree metropolitane, ma è la prima volta che viene quantificato così chiaramente in una megalopoli come l’area NY/NJ durante un evento così estremo.

Macro fotografia (macro lens, 90mm) di particelle di fumo (particolato carbonioso) depositate su una superficie, con alta definizione (high detail) e illuminazione controllata (controlled lighting) per evidenziare la texture e la composizione eterogenea.

Il Rovescio della Medaglia: Perché Raffreddare Non È Sempre un Bene

Qui, però, arriva il paradosso, l’aspetto che rende questa scoperta scientifica particolarmente rilevante e, per certi versi, preoccupante. Un po’ di fresco in una calda giornata estiva potrebbe sembrare una buona notizia, specialmente per contrastare l’effetto “isola di calore” tipico delle grandi città. Ma in questo contesto, non lo è affatto.

Questo raffreddamento indotto dal fumo a livello del suolo può avere una conseguenza subdola: può limitare la ventilazione naturale della città. L’aria più fresca vicino al suolo è più densa e tende a salire meno facilmente, riducendo il rimescolamento verticale dell’atmosfera. È come mettere un coperchio invisibile sulla città. Il risultato? Il fumo stesso, carico di particelle fini e di IPA nocivi, tende a ristagnare più a lungo vicino al suolo, proprio dove noi respiriamo. E non solo: anche l’inquinamento “normale” prodotto dalla città (traffico, riscaldamento, industrie) rimane intrappolato più efficacemente.

Si crea così un circolo vizioso: il fumo raffredda, il raffreddamento intrappola il fumo (e altro inquinamento), aumentando l’esposizione della popolazione a livelli pericolosi di contaminanti atmosferici. Questo meccanismo potrebbe aver contribuito all’impennata di visite al pronto soccorso per problemi respiratori, come l’asma, registrata proprio in quei giorni a New York, come documentato da studi epidemiologici pubblicati di recente.

Cosa Ci Insegna Questa Vicenda?

L’episodio degli incendi canadesi del 2023 e il loro impatto sull’area metropolitana di New York/New Jersey è un potente promemoria di quanto siano complessi e interconnessi i sistemi ambientali del nostro pianeta. Ci mostra come eventi estremi, come gli incendi boschivi sempre più frequenti e intensi a causa dei cambiamenti climatici, possano avere ripercussioni inaspettate e significative a centinaia di chilometri di distanza, influenzando non solo la qualità dell’aria e la salute pubblica, ma anche il microclima locale in modi controintuitivi.

Abbiamo visto che il particolato degli incendi può agire come uno schermo solare, causando un raffreddamento radiativo al suolo. Ma abbiamo anche capito che questo apparente beneficio può trasformarsi in un problema serio, intrappolando l’inquinamento nelle nostre città. Studiare e comprendere a fondo questi meccanismi è fondamentale per poter prevedere e mitigare gli impatti futuri di eventi simili, che purtroppo rischiano di diventare la nuova normalità in un mondo che cambia. La caratterizzazione sistematica del trasporto e dell’invecchiamento del fumo degli incendi è essenziale per sviluppare modelli predittivi affidabili e per proteggere la salute pubblica.

Fonte: Springer

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