Fotografia di ritratto, 35mm, bianco e nero cinematografico (film noir). Una persona dall'aspetto vulnerabile (potrebbe suggerire basso SES o disagio psicologico) guarda fuori da una finestra in una giornata piovosa, una sigaretta spenta tra le dita. Profondità di campo che sfoca lo sfondo esterno. Contrasto elevato.

Fumo e Disuguaglianze: Perché Alcuni Pagano un Prezzo Più Alto?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un tema che mi sta molto a cuore e che, purtroppo, è ancora tremendamente attuale: il fumo di sigaretta e il suo impatto devastante, soprattutto su chi già si trova in condizioni di fragilità. Parliamo spesso dei progressi fatti nella lotta al tabagismo negli Stati Uniti – e sono stati enormi, non c’è dubbio – ma tendiamo a dimenticare che questi progressi non sono stati uguali per tutti.

Il Fumo: Un Nemico Che Non Colpisce Tutti Uguale

Vedete, mentre la percentuale generale di fumatori negli USA è calata drasticamente da quel lontano 1964 (dal 42% a circa l’11.6% nel 2022!), il fumo si è come “concentrato” in alcune fasce della popolazione. Chi sono? Principalmente persone con un basso status socioeconomico (SES) – pensate a chi ha un reddito sotto la soglia di povertà, un’istruzione inferiore al diploma o dipende dall’assistenza sanitaria pubblica (Medicaid) – e persone che soffrono di grave disagio psicologico (SPD).

Questi gruppi, che rappresentano fette significative della popolazione americana (il basso SES tra il 9 e il 13%, l’SPD circa il 3.9%), fumano molto di più rispetto al resto della popolazione. Parliamo di percentuali che superano il 25% tra chi ha redditi bassi e arrivano fino al 40% tra chi vive un grave disagio psicologico, contro il 13-14% di chi sta meglio economicamente o psicologicamente. E la cosa preoccupante è che questa forbice, questa disparità, si sta allargando perché il calo del fumo è molto più lento proprio in questi gruppi più vulnerabili. Le compagnie del tabacco, storicamente, hanno persino preso di mira le comunità a basso reddito. Non è un caso.

Cosa Ci Dice la Simulazione? Un Viaggio nel Futuro (Purtroppo Prevedibile)

Allora, cosa significa tutto questo in termini concreti di salute e anni di vita? Per capirlo meglio, un gruppo di ricercatori ha usato un sofisticato modello di simulazione chiamato STOP (Simulation of Tobacco and Nicotine Outcomes and Policy). Immaginatelo come una specie di “macchina del tempo” virtuale che permette di proiettare nel futuro gli effetti del fumo sulla popolazione, tenendo conto di vari fattori.

Hanno fatto due tipi di analisi principali:

  • Impatto sull’aspettativa di vita individuale: Hanno simulato la vita di persone di 40 anni, dividendole per status socioeconomico (basso vs. alto) o disagio psicologico (presente vs. assente), per genere e per status di fumatore (attuale vs. mai fumato), ipotizzando che queste condizioni non cambiassero nel tempo.
  • Dinamiche a livello di popolazione: Hanno simulato intere popolazioni rappresentative dei quattro gruppi (basso SES, alto SES, con SPD, senza SPD), tenendo conto della loro composizione per età, genere, status di fumatore e anche dei cambiamenti nel tempo (chi inizia, chi smette, chi ricade). L’obiettivo? Vedere quando ogni gruppo raggiungerebbe la soglia del 5% di fumatori – un traguardo considerato come una sorta di “fine partita” per il fumo di sigaretta – e quanti anni di vita totali accumulerebbero in 40 anni.

I risultati, ve lo dico, sono piuttosto scioccanti.

Fotografia di ritratto, 35mm, profondità di campo. Un uomo di mezza età dall'aspetto stanco e preoccupato, rappresentativo di basso status socioeconomico, fuma una sigaretta seduto su una panchina in un parco cittadino poco curato. Luce naturale pomeridiana, colori leggermente desaturati per un'atmosfera malinconica.

Le Conseguenze: Anni di Vita e “Fine Partita” Ritardata

Partiamo dall’individuo. La simulazione mostra che per una persona con basso SES o con grave disagio psicologico, il fumo “ruba” tra i 9.8 e gli 11.5 anni di vita! Pensateci: è una perdita enorme. E la cosa che fa riflettere è che questa perdita di anni di vita dovuta al fumo è persino maggiore della perdita associata al solo fatto di avere un basso SES o un grave disagio psicologico. Per esempio, una donna fumatrice con basso SES perde circa 10.1 anni a causa del fumo, mentre ne perde 7.6 a causa del suo status socioeconomico rispetto a una donna fumatrice con SES più alto. Il fumo, insomma, amplifica le vulnerabilità in modo drammatico.

Ma non finisce qui. Guardando alla popolazione nel suo insieme, le proiezioni sulla “fine partita” del tabacco sono sconfortanti. Il gruppo con SES più alto potrebbe raggiungere la soglia del 5% di fumatori nel 2044. E il gruppo con basso SES? Ben 31 anni dopo! Similmente, chi non soffre di grave disagio psicologico potrebbe arrivare al 5% nel 2053, mentre chi ne soffre arriverebbe 29 anni più tardi.

Capite cosa significa? Decenni di ritardo. E questi decenni si traducono in milioni e milioni di anni di vita persi a causa di queste disparità nel modo in cui il fumo colpisce i diversi gruppi. I ricercatori hanno stimato che, rispetto a uno scenario “alternativo” in cui i gruppi marginalizzati avessero le stesse dinamiche di iniziazione e cessazione del fumo dei gruppi meno marginalizzati:

  • La popolazione con basso SES perderebbe 5.3 milioni di anni di vita in più nei prossimi 40 anni.
  • La popolazione con SPD perderebbe 966.000 anni di vita in più nello stesso periodo.

Sono numeri che fanno impressione e che ci dicono chiaramente che non possiamo parlare di una vera “vittoria” sul fumo finché queste disuguaglianze persistono.

Fotografia macro, 100mm, alta definizione. Dettaglio di una sigaretta che brucia lentamente in un posacenere pieno di mozziconi. Illuminazione controllata e drammatica che evidenzia la cenere e il fumo sottile che si alza. Simboleggia il tempo che passa e la vita consumata dal fumo.

Cosa Possiamo Fare? Un Appello all’Equità

Questo studio, pur con le sue limitazioni (come l’ipotesi che lo status socioeconomico o psicologico resti stabile, o il focus solo sulle sigarette), lancia un messaggio potente. La “fine partita” del tabacco non può essere un traguardo unico per tutti, perché la realtà è fatta di tanti “finali” diversi, e quelli dei gruppi più vulnerabili sono ancora molto, molto lontani.

Cosa serve, allora? Serve una visione esplicitamente focalizzata sull’equità. Non basta ridurre il fumo in generale, dobbiamo ridurre le disparità. Come? Le strade ci sono:

  • Politiche mirate: Aumentare le tasse sul tabacco, vietare il fumo negli alloggi plurifamiliari (dove spesso vivono persone con basso reddito).
  • Migliorare l’accesso ai trattamenti: Garantire che l’assistenza sanitaria pubblica (come Medicaid) copra generosamente i trattamenti per smettere di fumare si è dimostrato efficace.
  • Affrontare le cause profonde: Intervenire sui determinanti sociali della salute (povertà, istruzione, stress) come parte integrante dei programmi anti-fumo può migliorare i tassi di cessazione.
  • Supporto personalizzato: Le linee telefoniche dedicate (quitlines) che offrono un supporto specifico per chi ha problemi di salute mentale hanno mostrato risultati promettenti.

Insomma, la lotta al fumo è stata un successo di salute pubblica, ma ora dobbiamo affrontare la sua faccia più difficile: quella delle disuguaglianze. Solo mettendo al centro le popolazioni più marginalizzate e adottando strategie mirate potremo sperare di raggiungere una vera “fine partita” del tabacco che non lasci indietro nessuno. È una questione di giustizia sociale, oltre che di salute.

Fotografia grandangolare, 18mm, messa a fuoco nitida. Un gruppo diversificato di persone (età, etnia, genere) partecipa a un incontro comunitario sulla salute pubblica in una sala luminosa. Alcuni prendono appunti, altri ascoltano attentamente un relatore fuori campo. Simboleggia l'azione collettiva e la ricerca di soluzioni.

Fonte: Springer

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