Immagine macro 100mm ad alta definizione di strumenti chirurgici ortopedici, come ancore da sutura e viti cave, disposti su un telo sterile blu, illuminazione chirurgica precisa e focalizzata sugli strumenti, dettaglio elevato.

Fratture LCP: Suture Bridge vs Viti Cave, chi vince la sfida nel ginocchio?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento un po’ tecnico ma super interessante, che riguarda il nostro amato ginocchio. Nello specifico, ci tufferemo nel mondo delle fratture da avulsione tibiale del legamento crociato posteriore (LCP). Sembra un nome complicato, vero? In pratica, succede quando il legamento crociato posteriore, uno dei pilastri della stabilità del nostro ginocchio, invece di rompersi lui stesso, strappa via un pezzettino di osso dalla tibia a cui è attaccato. Non è una cosa comunissima, ma quando capita, può creare un bel po’ di problemi, soprattutto instabilità e difficoltà nei movimenti.

Quando il gioco si fa duro: la chirurgia entra in campo

Se la frattura è scomposta, cioè il frammento osseo si è spostato troppo, spesso l’unica soluzione è la chirurgia. L’obiettivo? Rimettere tutto a posto per ridare stabilità e funzionalità al ginocchio. Nel corso degli anni, le tecniche chirurgiche si sono evolute. Una volta si usava molto l’approccio “a cielo aperto” con viti per fissare il frammento. Efficace, sì, ma non sempre ideale, specialmente se il frammento è piccolo, magari frantumato (comminuto, in gergo tecnico), o se l’osso non è di qualità eccellente. Il rischio che il fissaggio non tenga è dietro l’angolo.

Poi è arrivata l’artroscopia, quella tecnica super figa che permette di operare con piccole incisioni guardando dentro l’articolazione con una telecamera. Sono nate tecniche che usano fili ad alta resistenza o placchette speciali. Risultati promettenti, meno invasività sui tessuti molli… ma c’è un “ma”. Spesso richiedono una certa “manina” da parte del chirurgo e una buona esposizione della parte posteriore del ginocchio, che non è proprio una passeggiata.

Il dilemma: quale tecnica scegliere?

Ecco il punto: nonostante i progressi, c’era ancora un vuoto. Qual è la tecnica migliore, soprattutto per quelle fratture un po’ più “rognose”, piccole o frammentate? E come fare se non si ha una super esperienza con l’artroscopia complessa? Mancava un confronto diretto e una soluzione che fosse efficace ma anche più accessibile.

Ed è qui che entra in gioco uno studio comparativo molto interessante che ho avuto modo di analizzare. L’ipotesi di partenza era che una tecnica chiamata “suture bridge” (ponte di sutura), combinata con una piccola incisione posteromediale (un taglietto strategico sul lato interno-posteriore del ginocchio), potesse essere un’alternativa vincente rispetto al classico fissaggio con viti cave, specialmente nei casi più complessi.

Lo studio: Suture Bridge vs Viti Cave

Abbiamo preso in esame retrospettivamente 40 pazienti trattati tra il 2013 e il 2023 per questo tipo di frattura. Li abbiamo divisi in due gruppi da 20:

  • Gruppo 1: Trattati con la tecnica Suture Bridge. Qui si usano suture ad alta resistenza e delle piccole ancorette per fissare il frammento osseo e il legamento.
  • Gruppo 2: Trattati con Viti Cave da 3.5 mm. Il metodo più tradizionale, diciamo.

Tutti i pazienti sono stati operati con un approccio mini-invasivo, tramite quella piccola incisione posteromediale ad arco di cui parlavo. L’idea era di vedere come se la cavavano dopo l’intervento, usando punteggi specifici per valutare la funzionalità del ginocchio (Lysholm, Tegner, IKDC) e controllando la guarigione con radiografie regolari.

Immagine macro 100mm ad alta definizione di strumenti chirurgici ortopedici, come ancore da sutura e viti cave, disposti su un telo sterile blu, illuminazione chirurgica precisa e focalizzata sugli strumenti.

I risultati: cosa abbiamo scoperto?

Allora, tenetevi forte! Entrambi i gruppi hanno mostrato miglioramenti significativi nei punteggi funzionali dopo l’operazione. E questa è già un’ottima notizia! Il ginocchio, in entrambi i casi, stava decisamente meglio.

Tuttavia, qualche differenza l’abbiamo notata:

  • Punteggio Tegner: Questo punteggio misura il livello di attività sportiva. Beh, nel gruppo “Suture Bridge” era leggermente più alto. Un piccolo punto a favore per chi vuole tornare a fare sport.
  • Drenaggio post-operatorio: Nel gruppo “Suture Bridge” c’era un po’ più di liquido drenato dopo l’intervento. Probabilmente perché la tecnica richiede una dissezione leggermente più profonda per piazzare le ancorette. Niente di drammatico, comunque.
  • Tempo chirurgico, perdita di sangue, mobilità articolare: Qui non c’erano differenze significative tra i due gruppi.
  • Guarigione: La maggior parte delle fratture è guarita tranquillamente tra i 3 e i 6 mesi in entrambi i gruppi. Al controllo finale, tutti i pazienti avevano un ginocchio stabile (test del cassetto posteriore negativo).

Occhio alle complicazioni (poche, per fortuna!)

Nessuna tecnica è perfetta al 100%, e qualche piccolo intoppo c’è stato:

  • Gruppo Suture Bridge: In due casi con frammenti comminuti, pezzettini più piccoli ai bordi si sono spostati leggermente quando abbiamo tirato le suture. Questo ha portato a una “malunion”, cioè una guarigione non perfettamente allineata, anche se non ha compromesso la tensione del legamento o la guarigione principale. Ci insegna che bisogna distribuire bene la tensione delle suture!
  • Gruppo Viti Cave: Qui abbiamo osservato due casi in cui la testa della vite si è un po’ “ritirata” e un caso in cui piccoli frammenti si sono spostati. Inoltre, ci è capitato in due occasioni che il frammento osseo si rompesse mentre cercavamo di avvitare la vite… e siamo dovuti passare alla tecnica suture bridge per sistemare le cose. Questo conferma che le viti possono essere problematiche con frammenti piccoli o fragili.

Un caso interessante nel gruppo Suture Bridge è stato quello di una ragazza di 13 anni. Grazie a questa tecnica, siamo riusciti a fissare il frammento senza usare ancore nell’osso (che avrebbero potuto danneggiare la cartilagine di accrescimento), ma ancorando le suture direttamente sulla corticale ossea sottostante. Un successo!

Radiografia del ginocchio in vista laterale, stile macro 90mm, che mostra una frattura da avulsione tibiale del LCP dopo l'intervento con tecnica suture bridge, evidenziando le ancore e la riduzione della frattura, alta definizione, illuminazione controllata.

Perché la Suture Bridge sembra avere una marcia in più?

I risultati suggeriscono che la tecnica Suture Bridge, pur non essendo esente da piccole criticità, offre alcuni vantaggi, specialmente per le fratture comminute o piccole. Il principio è quello della “banda di tensione”: le suture lavorano un po’ come dei tiranti che mettono in tensione il legamento e comprimono il frammento osseo contro la sua sede naturale. Questo sembra garantire un fissaggio molto stabile, forse anche più “biomeccanicamente corretto” per questo tipo de lesione, come suggerito anche da altri studi.

Le viti, invece, lavorano per compressione diretta. Funzionano bene su frammenti grandi e compatti, ma rischiano di più su quelli piccoli o frammentati.

Limiti e conclusioni: cosa portiamo a casa?

Certo, ogni studio ha i suoi limiti. Questo era retrospettivo, con un numero non enorme di pazienti e un follow-up non lunghissimo. Serviranno studi futuri più ampi e a lungo termine per confermare tutto.

Ma cosa possiamo dire oggi? Che entrambe le tecniche funzionano per trattare le fratture da avulsione tibiale del LCP. Tuttavia, la tecnica Suture Bridge sembra offrire risultati superiori in termini di guarigione della frattura, recupero funzionale (specialmente per l’attività sportiva) e tassi di complicanze, soprattutto quando ci troviamo di fronte a fratture piccole o comminute. È anche un’ottima opzione per i pazienti più giovani, per evitare problemi con la crescita ossea.

Il fissaggio con viti cave resta valido per frammenti grandi e non comminuti, ma bisogna essere consapevoli dei rischi. La scelta finale spetta sempre al chirurgo, che deve valutare bene il tipo di frattura, l’età del paziente e la propria esperienza.

Insomma, la tecnica Suture Bridge rappresenta un passo avanti significativo e ci offre un’arma in più, efficace e sicura, per rimettere in sesto le ginocchia dopo questo tipo di infortunio!

Fonte: Springer

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