Fotografia macro, 85mm lens, di un modello anatomico di clavicola umana che mostra affiancati i due metodi di fissazione: un chiodo endomidollare inserito nel canale e un sistema di doppia placca a basso profilo avvitato sulla superficie. Illuminazione controllata da studio, alta definizione, focus preciso sugli impianti metallici e sulla texture dell'osso.

Clavicola Rotta: Meglio il Chiodo o la Doppia Placca a Basso Profilo? Facciamo Chiarezza!

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un osso che forse non consideriamo spesso, ma che gioca un ruolo cruciale nei movimenti della spalla e del braccio: la clavicola. E, come potete immaginare, quando si rompe, sono dolori! Le fratture della clavicola, specialmente quelle nella parte centrale (diafisarie), sono diventate un bel grattacapo per noi medici e ricercatori negli ultimi anni. Una volta si tendeva a trattarle in modo conservativo (immobilizzazione e via), ma i risultati non erano sempre brillanti, con tassi di mancata consolidazione (pseudoartrosi) che potevano arrivare fino al 32%! Ecco perché oggi si opera molto più spesso.

Ma qui sorge il dilemma: qual è il modo migliore per “aggiustare” una clavicola rotta? Le opzioni principali sul tavolo sono due: l’osteosintesi con placca e l’inchiodamento endomidollare.

Le Tecniche Chirurgiche a Confronto

L’osteosintesi con placca è un classico: si usano placche metalliche e viti per tenere insieme i frammenti ossei. Garantisce una fissazione stabile, anche contro le rotazioni, ma ha i suoi contro: può causare irritazione dei tessuti molli circostanti, cicatrici vistose e, non di rado, si rende necessaria una seconda operazione per rimuovere la placca (fino al 64% dei casi con le placche tradizionali da 3.5 mm!).

Dall’altra parte, abbiamo l’inchiodamento endomidollare, spesso realizzato con un chiodo elastico in titanio (il famoso TEN – Titanium Elastic Nail). È una tecnica meno invasiva, che rispetta di più i tessuti molli. Bello, no? Peccato che non garantisca la stessa stabilità rotazionale della placca e possa portare a complicazioni come la migrazione del chiodo. Inoltre, anche se meno invasiva sulla carta, spesso (fino al 50% dei casi) richiede comunque un’incisione per “ridurre” la frattura, cioè rimettere a posto i pezzi prima di inserire il chiodo.

La Novità: La Doppia Placca a Basso Profilo

Negli ultimi tempi, per cercare di unire i vantaggi delle due tecniche (stabilità della placca, minor invasività del chiodo), si è fatta strada una nuova strategia: la doppia placca a basso profilo. L’idea è usare due placche più sottili (ad esempio da 2.0 mm), una posizionata superiormente e una anteriormente sulla clavicola. L’obiettivo? Ottenere una stabilità paragonabile o superiore a quella del chiodo, riducendo al minimo l’irritazione dei tessuti e la necessità di rimuovere le placche.

Ma funziona davvero? È qui che entra in gioco la biomeccanica. Diversi studi hanno iniziato a confrontare queste nuove configurazioni. Alcuni hanno mostrato che la doppia placca (anche con combinazioni tipo 2.5/2.0 mm) può essere biomeccanicamente vantaggiosa rispetto alla placca singola tradizionale da 3.5 mm, soprattutto in termini di spostamento sotto carico. Altri studi hanno confermato la superiorità della doppia placca a basso profilo (2.5/2.0 mm) rispetto a placche singole più moderne (tipo LCP a stabilità angolare da 2.7 mm), mostrando maggiore rigidità iniziale e resistenza alla fatica.

Tuttavia, anche la placca anteriore da 2.5 mm potrebbe dare qualche fastidio. E allora, la domanda sorge spontanea: e se usassimo due placche ancora più sottili, entrambe da 2.0 mm? Potrebbero offrire una stabilità almeno pari a quella del chiodo TEN, eliminando il rischio di migrazione e minimizzando l’irritazione? È proprio quello che abbiamo voluto scoprire con uno studio biomeccanico recente.

Fotografia macro, lente 60mm, di un modello di clavicola umana con una frattura diafisaria simulata. Illuminazione controllata, alta definizione, focus preciso sulla linea di frattura.

Lo Studio: Chiodo vs Doppia Placca 2.0 mm su Cadavere

Abbiamo preso dodici coppie di clavicole umane da donatori (con un’età media di circa 82 anni, quindi con osso non proprio giovanissimo, e questo è un punto da tenere a mente). Su queste clavicole, abbiamo simulato una frattura instabile della diafisi (tipo AO/OTA 15.2 C, un modello di frattura complesso scelto per mettere a dura prova i sistemi di fissazione).

Poi abbiamo diviso le clavicole in due gruppi:

  • Gruppo 1: Fissazione con chiodo endomidollare elastico in titanio (TEN) da 2.5 mm.
  • Gruppo 2: Fissazione con doppia placca a basso profilo (due placche da 2.0 mm, una superiore a 5 fori e una anteriore a 9 fori, fissate con viti da 2.4 mm).

Dopo aver “aggiustato” le fratture, abbiamo sottoposto le clavicole a una serie di test biomeccanici rigorosi. Immaginate delle macchine che simulano le forze che agiscono sulla clavicola nella vita reale:

  1. Test di flessione quasi-statica (lenta) in direzione antero-posteriore.
  2. Test di flessione quasi-statica in direzione supero-inferiore.
  3. Test ciclico (ripetuto) di flessione supero-inferiore (20.000 cicli a carico costante).
  4. Test ciclico fino a rottura (carico progressivamente crescente fino al cedimento).

Durante i test, abbiamo usato un sistema di motion tracking ottico (telecamere ad alta velocità) per misurare con precisione micrometrica i movimenti tra i frammenti di frattura. Volevamo vedere quanto si muovevano i pezzi sotto sforzo.

I Risultati: Cosa Abbiamo Scoperto?

Ebbene, i risultati sono stati piuttosto chiari. La doppia placca (Gruppo 2) ha dimostrato una rigidità iniziale significativamente maggiore in tutte le direzioni di flessione rispetto all’inchiodamento endomidollare (Gruppo 1). In parole povere, la clavicola “placcata” era molto più stabile fin da subito. Anche la “zona neutra” (il piccolo movimento iniziale prima che il sistema inizi a opporre resistenza) era significativamente ridotta nel gruppo con doppia placca. Questo suggerisce una stabilità primaria decisamente superiore.

Ma la vera sorpresa, o forse conferma, è arrivata dai test ciclici. Durante i 20.000 cicli a carico costante, lo spostamento tra i frammenti di frattura era significativamente maggiore nel gruppo con il chiodo rispetto a quello con la doppia placca. Il chiodo permetteva ai pezzi di muoversi di più sotto sforzo ripetuto.

Immagine fotorealistica di un laboratorio di biomeccanica. Una clavicola umana cadaverica, fissata con doppia placca a basso profilo, è montata su una macchina per test ciclici. Teleobiettivo zoom 150mm, focus preciso sull'impianto e sulla zona di frattura, illuminazione controllata.

E la resistenza a lungo termine? Qui le cose si fanno interessanti. Nel test finale fino a rottura, non abbiamo trovato una differenza statisticamente significativa nel numero di cicli necessari per raggiungere il cedimento (definito come uno spostamento di 45 mm). Il gruppo con il chiodo ha resistito in media per 24.420 cicli, mentre il gruppo con la doppia placca per 28.232 cicli. Una leggera tendenza a favore della placca, ma non abbastanza da essere considerata statisticamente rilevante in questo studio.

È interessante notare come i sistemi hanno ceduto. Nel gruppo del chiodo, abbiamo osservato un allargamento del canale midollare e, in alcuni casi, fratture dell’osso vicino al punto di fissaggio nel materiale di inclusione (PMMA) o piccole fratture della corticale ossea. Nessun chiodo si è rotto. Nel gruppo della doppia placca, invece, non ci sono stati cedimenti o allentamenti delle placche o delle viti; il cedimento è avvenuto sempre per frattura dell’osso vicino al punto di fissaggio laterale.

Discussione: Cosa Significano Questi Risultati?

Questo studio suggerisce fortemente che la fissazione con doppia placca a basso profilo (2×2.0 mm) offre una stabilità biomeccanica iniziale superiore rispetto all’inchiodamento endomidollare con TEN per le fratture diafisarie instabili della clavicola. La maggiore rigidità e il minor movimento interfragmentario potrebbero essere vantaggiosi per favorire una guarigione più rapida e ridurre il rischio di complicazioni legate all’instabilità, specialmente in fratture complesse senza contatto tra i frammenti.

Il chiodo TEN, pur essendo meno invasivo, conferma i suoi limiti in termini di stabilità, soprattutto contro le forze di taglio e rotazione. Questo lo rende forse più adatto a fratture più semplici, dove i frammenti ossei possono ancora darsi un certo supporto reciproco. L’instabilità rotazionale del chiodo è un problema noto, che può ostacolare la formazione del callo osseo.

La doppia placca 2×2.0 mm emerge quindi come un’alternativa promettente. Offre una stabilità robusta, simile a quella di placche più spesse ma con un profilo potenzialmente meno irritante per i tessuti molli, riducendo forse la necessità di rimozione futura. Tuttavia, è fondamentale sottolineare che questa tecnica 2×2.0 mm è biomeccanicamente meno stabile delle placche singole tradizionali da 3.5 mm. Quindi, la scelta del paziente e del tipo di frattura è cruciale. Al momento mancano dati clinici robusti su questa specifica configurazione 2×2.0 mm, e il suo utilizzo andrebbe riservato a casi selezionati (fratture non eccessivamente complesse, pazienti collaboranti, non fumatori, con buona qualità ossea).

Vista dettagliata di un modello 3D medico che mostra una clavicola fratturata e stabilizzata con il sistema di doppia placca a basso profilo. Focus sulla minima distanza tra i frammenti ossei. Macro lens, 100mm, alta definizione, illuminazione da studio.

Limiti e Prospettive Future

Come ogni studio, anche questo ha i suoi limiti. L’età avanzata e la bassa densità ossea dei campioni potrebbero non riflettere la popolazione più giovane e attiva in cui spesso si usa il TEN. Inoltre, abbiamo usato un solo diametro di chiodo e un modello di frattura “worst-case” (molto instabile, con ampio gap), che forse non è l’indicazione ideale per il TEN. Non abbiamo testato specificamente le forze rotazionali. Infine, i cedimenti sono avvenuti nell’osso vicino all’inclusione, non nell’impianto stesso, impedendo una valutazione completa della resistenza ultima del materiale.

Serviranno ulteriori studi biomeccanici su osso più giovane e con modelli di frattura più adatti alle indicazioni specifiche di ciascuna tecnica. E, soprattutto, sono necessari studi clinici per confermare questi risultati nella pratica quotidiana e valutare fattori come i tempi di guarigione, il dolore, la funzionalità e i tassi di complicazione reali.

In Conclusione

La battaglia tra chiodo e placca per le fratture di clavicola si arricchisce di un nuovo contendente: la doppia placca a basso profilo. Il nostro studio biomeccanico suggerisce che la configurazione 2×2.0 mm offre una stabilità iniziale superiore al chiodo TEN, senza compromettere significativamente la resistenza a lungo termine (almeno nelle condizioni testate). Questo la rende un’opzione molto interessante, specialmente per fratture instabili dove la stabilità è prioritaria.

La scelta finale, però, dipenderà sempre da una valutazione attenta del tipo di frattura, delle caratteristiche del paziente e degli obiettivi chirurgici. Non esiste una soluzione unica per tutti, ma avere alternative biomeccanicamente valide e potenzialmente meno problematiche a lungo termine è sicuramente un passo avanti!

Fonte: Springer

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