Pronto Soccorso: E se potessimo prevedere il caos per curare meglio (e risparmiare)?
Avete presente la sensazione di entrare in un Pronto Soccorso (PS)? Un turbinio di camici bianchi, barelle che sfrecciano, l’ansia palpabile dei pazienti e dei loro familiari. Dietro le quinte, c’è una sfida enorme: organizzare il personale infermieristico in modo che ci sia sempre il numero giusto di professionisti per fronteggiare le ondate di pazienti, che spesso sembrano imprevedibili come il meteo. Ecco, oggi voglio raccontarvi di come abbiamo cercato di portare un po’ di ordine in questo apparente caos, usando la potenza dei dati e delle previsioni.
La sfida quotidiana: infermieri, pazienti e costi
Gestire il personale infermieristico in un Pronto Soccorso è un’arte complessa. Se ci sono troppi infermieri, i costi per l’ospedale lievitano a dismisura. Se ce ne sono troppo pochi, le attese si allungano, i pazienti si spazientiscono (giustamente!), la qualità delle cure può risentirne e, non da ultimo, i nostri colleghi infermieri finiscono per essere sovraccarichi e stressati, con il rischio di burnout sempre dietro l’angolo. È un equilibrio delicatissimo.
Tradizionalmente, la pianificazione del personale avviene in due fasi. C’è una programmazione “base“, fatta con settimane di anticipo, che si basa sui volumi medi di pazienti e su rapporti standard infermiere-paziente. Poi, c’è la fase “surge“, quella dell’emergenza vera e propria: quando arriva un picco inaspettato di pazienti, bisogna chiamare rinforzi, spesso pagando incentivi extra, che pesano non poco sul bilancio.
Negli anni, molti studi hanno sviluppato modelli predittivi per stimare l’arrivo dei pazienti in PS, usando serie storiche, regressioni e machine learning. Ma il problema è che spesso queste previsioni sono “puntuali”, cioè si riferiscono a un momento specifico, e non si allineano bene con il processo decisionale a due fasi (base e surge) che vi ho descritto. Come integrare queste previsioni nella pratica quotidiana, quindi?
Una “sfera di cristallo” per il Pronto Soccorso: il nostro framework predittivo
Qui entro in gioco io, o meglio, il team con cui ho lavorato. Abbiamo preso spunto da studi recenti che proponevano un modello predittivo a due stadi, pensato apposta per rispecchiare le due fasi decisionali del PS. L’idea è semplice ma potente: un modello di previsione “base” che usa informazioni più generiche (giorno della settimana, ora del giorno) e un modello “surge” che, avvicinandosi al turno, integra dati più freschi e in tempo reale (come il numero di pazienti già presenti in PS, le previsioni meteo) per affinare la stima del bisogno di infermieri. Se il modello “surge” prevede più infermieri di quelli già pianificati, scatta l’allarme per chiamare i rinforzi.
Bello sulla carta, vero? Ma la vera sfida era portarlo nel mondo reale, in un Pronto Soccorso vero, con pazienti veri e infermieri veri. E così abbiamo fatto! Abbiamo sviluppato uno strumento digitale, usando Google Apps Script, e abbiamo avviato un progetto pilota di oltre quattro mesi in un grande PS per adulti. Volevamo capire se questo “framework predittivo” potesse davvero migliorare l’efficienza operativa e l’accesso alle cure.
Cosa abbiamo scoperto? I risultati del nostro esperimento
Abbiamo diviso il nostro studio in una fase di “controllo” (dove si usava il vecchio metodo di staffing) e una fase “sperimentale” (con il nostro nuovo sistema). E i risultati sono stati davvero interessanti!
Innanzitutto, i numeri dei pazienti: in media, circa 245 pazienti al giorno nella fase di controllo e 249 nella fase sperimentale, quindi molto simili. Anche età e genere dei pazienti erano comparabili.
La vera differenza l’abbiamo vista nelle ore di lavoro degli infermieri “surge”: sono diminuite significativamente, passando da una media di 10 ore per ora a circa 7,5 ore per ora. Le ore di staffing “base”, invece, sono rimaste costanti. Questo significa che abbiamo avuto meno bisogno di chiamare rinforzi all’ultimo minuto, pagati di più.
E la qualità delle cure? I parametri chiave come il tempo medio di trattamento, il tempo di “boarding” (cioè quanto un paziente aspetta un posto letto dopo essere stato ammesso), la durata totale della permanenza in PS (LOS) e la percentuale di pazienti che se ne vanno senza essere visitati (LWBS) non hanno mostrato differenze statisticamente significative. C’è stato un leggerissimo aumento del tempo medio di attesa prima della valutazione, da circa 0,49 ore a 0,55 ore (parliamo di circa 3-4 minuti in più), un dato su cui torneremo.
Un altro aspetto positivo è stato il cambiamento nella composizione del personale. Durante l’esperimento, è aumentata la percentuale di ore lavorate da personale infermieristico regolare o con incentivo (dal 69% all’81%), mentre è diminuito il ricorso agli infermieri “travel” (quelli che si spostano tra ospedali, spesso più costosi), passati dal 31% al 19%. Questo suggerisce un modello di forza lavoro più stabile e sostenibile.
Ma la ciliegina sulla torta è stata la riduzione dei costi. Grazie a un’analisi di regressione, abbiamo stimato che, a parità di altre condizioni, la fase sperimentale ha ridotto i costi orari del personale infermieristico di 162,04 dollari! Su base annua, questo si traduce in un risparmio potenziale di circa 1,4 milioni di dollari. Non male, vero? E tutto questo mantenendo sostanzialmente invariata la qualità dell’assistenza.
L’importanza di seguire le raccomandazioni (e cosa succede se non lo si fa)
Abbiamo anche analizzato quanto le indicazioni del nostro sistema venissero seguite e cosa succedeva quando ci si discostava. È emerso che, in media, c’era una tendenza al sottostaffing di circa 3,5 ore infermieristiche per ora rispetto alle raccomandazioni. Le ragioni? Principalmente la difficoltà a trovare abbastanza infermieri per coprire i turni con breve preavviso.
E l’impatto di queste deviazioni? Abbiamo visto che la mancanza di un solo infermiere all’ora rispetto al livello raccomandato portava a un aumento di 2 minuti nel tempo di attesa di ogni paziente. Se poi il livello di personale scendeva sotto il 20% rispetto alle raccomandazioni, l’attesa aumentava di altri 2,3 minuti. Questo sottolinea quanto sia cruciale aderire il più possibile alle indicazioni del sistema per mantenere le performance ottimali.
Precisione dei modelli e confronto con il passato
Parliamo un attimo dei nostri “oracoli” digitali. Il modello di regressione lineare per la fase “base” ha raggiunto un errore quadratico medio (RMSE) di 11,261 e un errore percentuale assoluto medio (MAPE) del 13,414%. Il modello per la fase “surge”, grazie all’integrazione di dati in tempo reale, ha fatto ancora meglio: RMSE di 9,973 e MAPE del 12,126%. In pratica, il modello “surge” ha ridotto l’RMSE dell’11,4% e il MAPE del 9% rispetto al modello “base”. Questo dimostra che avere informazioni più fresche aiuta a fare previsioni più accurate.
Confrontando i nostri risultati con studi precedenti che usavano modelli simili in altri PS, i nostri modelli hanno mostrato un RMSE notevolmente migliore, mentre il MAPE è rimasto comparabile. Questo ci dice che siamo sulla strada giusta per affinare sempre di più queste tecniche predittive.
Implicazioni, sfide e prospettive future
Questo studio pilota ci ha insegnato molto. Il framework predittivo ha dimostrato di poter ridurre i costi mantenendo la qualità delle cure. Ma ci sono anche delle considerazioni importanti per chi volesse implementare un sistema simile.
- Reperibilità del personale: Una delle sfide maggiori è stata trovare infermieri disponibili con poco preavviso. Forse, meccanismi di incentivazione più flessibili, che paghino di più chi viene chiamato all’ultimo, potrebbero aiutare. Oppure collaborazioni con agenzie per infermieri a chiamata, anche se qui entrano in gioco questioni di costi e qualità.
- Tempistiche delle previsioni: Nel nostro caso, le previsioni “surge” venivano fatte il giorno prima. Accorciare ulteriormente questi tempi potrebbe migliorare l’accuratezza, ma bisogna bilanciare con i costi e la logistica.
- Impatto su infermieri e pazienti: Un sistema del genere può avere effetti sia positivi che negativi. Da un lato, avere il giusto numero di colleghi riduce il carico di lavoro e lo stress. Dall’altro, essere chiamati spesso con poco preavviso può aumentare l’ansia. È fondamentale trovare un equilibrio, distribuire equamente i turni “surge” e gli incentivi. Lo stesso vale per i pazienti: l’obiettivo è ridurre attese e migliorare le cure, ma bisogna evitare che il sistema, se non gestito bene, porti a carenze di personale.
Abbiamo anche esplorato l’uso di modelli di machine learning più avanzati, come XGBoost e reti neurali artificiali (ANN), per le previsioni “surge”. Sorprendentemente, nel nostro contesto e con i dati a disposizione, non hanno superato le performance del più semplice modello di regressione lineare. Questo suggerisce che, a volte, la complessità non paga, specialmente se i dati non sono estremamente vasti o non lineari.
Certo, il nostro studio ha delle limitazioni: è stato condotto in un singolo PS, in un periodo specifico dell’anno (maggio-settembre), e senza un gruppo di controllo parallelo in un altro ospedale (difficile da trovare con caratteristiche comparabili). La pandemia di COVID-19 ha anche reso complicato usare dati storici per confronti più robusti. Future ricerche dovrebbero includere più siti, coprire un intero anno per valutare gli effetti stagionali e, se possibile, usare modelli di analisi più sofisticati.
Un futuro più prevedibile per il Pronto Soccorso?
In conclusione, credo che questo studio apra una strada davvero promettente. Implementare un framework di staffing guidato dalle previsioni in un Pronto Soccorso non è una passeggiata, ma i benefici potenziali in termini di efficienza dei costi e mantenimento della qualità dell’assistenza sono significativi. È un piccolo passo verso un PS meno caotico e più organizzato, dove la tecnologia ci aiuta a prendere decisioni migliori, in tempo reale, per il bene dei pazienti e del personale che, con dedizione ammirevole, si prende cura di loro ogni giorno.
La sfida ora è continuare a migliorare questi sistemi, renderli più intelligenti e adattabili, e soprattutto, integrarli in modo che supportino davvero il lavoro incredibile che viene svolto ogni giorno nei nostri Pronto Soccorso.
Fonte: Springer