Medici del Futuro e Cure Palliative: Siamo Pronti a Prenderci Cura Davvero?
Amici, parliamoci chiaro. Viviamo in un’epoca di progressi tecnologici sbalorditivi in medicina. Ogni giorno nuove scoperte, nuove macchine, nuove tecniche che sembrano fare miracoli. Ma in questa corsa sfrenata verso l’innovazione tecnica, non stiamo forse perdendo qualcosa per strada? Qualcosa di fondamentale come i valori umani, l’ascolto, l’empatia?
Mi sono spesso chiesto, e credo molti di voi, se la formazione dei nostri futuri medici sia davvero al passo con i bisogni più profondi dei pazienti, specialmente di quelli che affrontano malattie inguaribili. Ed è qui che entrano in gioco le cure palliative (CP). Non un “arrendersi” alla malattia, come qualcuno potrebbe pensare, ma un approccio che mira a offrire una cura olistica, che abbraccia la persona nella sua interezza: corpo, mente e spirito.
Cosa Sono Davvero le Cure Palliative e Perché Sono Cruciali?
Le cure palliative, per come le intendo io e come le definisce l’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono un pilastro essenziale. L’obiettivo? Promuovere la dignità, l’autonomia e il benessere globale (fisico, psicologico, spirituale e sociale) di chi affronta malattie che minacciano la vita. E non solo del paziente, ma anche dei suoi familiari e di chi se ne prende cura. Si tratta di riconoscere il paziente come un individuo con diritti fondamentali: il diritto di decidere, di mantenere la propria privacy, di accedere alle informazioni, di ricevere cure specializzate, di controllare chi è presente nei suoi ultimi momenti, di dire addio e di morire senza sofferenze inutili.
Questo approccio si sposa magnificamente con principi bioetici fondamentali e con un modello etico affascinante, quello della “beneficenza nella fiducia” proposto da Pellegrino e Thomasma. Questo modello sottolinea la necessità di rispettare l’autonomia e la dignità del paziente, riconoscendone la vulnerabilità di fronte ai progressi scientifici. Il medico ha un ruolo attivo nel dare priorità al benessere del paziente come persona intera, costruendo una relazione di fiducia e rispetto reciproco. E, cosa importantissima, ci ricorda che la semplice esistenza di un trattamento efficace non basta a rendere un’azione “benefica” se non considera il paziente nella sua totalità.
La bioetica, con la sua pluralità di prospettive, ci aiuta a riflettere sulle migliori azioni da intraprendere, superando vecchi schemi paternalistici. Le CP richiedono una comprensione profonda e sfumata della malattia, riconoscendo che la vita umana ha una fine naturale. La riflessione etica è cruciale per evitare l’accanimento terapeutico, concentrandosi invece su misure che migliorino la qualità della vita, nei limiti del possibile.
La Formazione dei Medici: Un Campanello d’Allarme
Purtroppo, spesso i professionisti sanitari ricorrono a interventi futili per mancanza di consapevolezza, per paura (la cosiddetta medicina difensiva) o per scarsa conoscenza. L’OMS ha identificato l’educazione e l’insegnamento delle CP come pilastri per la loro espansione. Eppure, uno dei principali ostacoli è proprio la scarsa o nulla conoscenza dei principi e delle pratiche di CP da parte dei professionisti sanitari. In Brasile, ad esempio, uno studio recente ha rivelato che solo il 14% delle 315 facoltà di medicina attive aveva le CP nel curriculum, e di queste, solo il 61% in modo obbligatorio!
Proprio per capire meglio la situazione, mi sono imbattuto in uno studio molto interessante che ha voluto analizzare, da una prospettiva bioetica, l’acquisizione delle competenze in CP tra gli studenti di medicina di un’università pubblica del Paraná, in Brasile. Hanno coinvolto 360 studenti e utilizzato un questionario validato chiamato Pallicomp, basato su dieci competenze chiave definite dalla European Palliative Care Association (EAPC).
I risultati? Beh, preparatevi, perché c’è da riflettere. Gli studenti del ciclo di base (i primi anni) hanno ottenuto un punteggio complessivo superiore a quelli dell’internato (gli ultimi anni, a contatto con i pazienti), con una differenza statisticamente significativa! E l’analisi individuale delle competenze non ha mostrato un aumento nel corso degli studi. Anzi, per alcune competenze chiave c’è stato addirittura un calo. E non è finita: confrontando gli studenti che avevano seguito corsi (facoltativi) di CP con quelli che non li avevano seguiti, non c’era una differenza statisticamente rilevante nel punteggio generale.

Questo studio ha messo a nudo delle lacune preoccupanti nella formazione in CP, con punteggi inferiori al 70% (soglia minima di sufficienza per molte istituzioni) in tutti i cicli accademici e, come detto, un declino dal ciclo di base a quello dell’internato. Le carenze maggiori? Proprio in aree fondamentali che toccano i principi bioetici: gestione dei sintomi, comunicazione compassionevole, spiritualità e lavoro di squadra interdisciplinare.
Le Competenze Mancanti: Un’Analisi più da Vicino
Le dieci competenze valutate dal Pallicomp sono un faro per capire cosa serve davvero. Parliamo di:
- Applicare i principi fondamentali delle CP nell’ambiente più sicuro.
- Aumentare il comfort fisico del paziente.
- Rispondere alle esigenze psicologiche dei pazienti.
- Rispondere ai bisogni sociali dei pazienti.
- Rispondere alle esigenze spirituali dei pazienti.
- Rispondere ai bisogni dei caregiver e della famiglia.
- Affrontare le sfide del processo decisionale clinico ed etico.
- Realizzare un coordinamento assistenziale completo e un lavoro interdisciplinare.
- Migliorare le capacità interpersonali e di comunicazione.
- Promuovere l’autoconoscenza e lo sviluppo professionale continuo.
Lo studio ha mostrato che, contrariamente alle aspettative, l’acquisizione complessiva di queste competenze non è aumentata con l’avanzare del corso. Anzi, c’è stata una riduzione del punteggio generale confrontando il ciclo di base con l’internato. Questo è allarmante: gli studenti dell’internato saranno presto medici responsabili di pazienti con malattie incurabili, affrontando conflitti morali ed etici. Identificare i bisogni di questi pazienti richiede atteggiamenti, abilità e conoscenze che permettano decisioni corrette riguardo a ciò che porta sofferenza.
Il concetto di “bene del paziente” di Pellegrino e Thomasma non si limita al benessere biomedico, ma deve abbracciare tutte le dimensioni dell’essere umano, i suoi valori e desideri. Non basta sapere quali farmaci prescrivere; serve la capacità di combinare queste conoscenze e, soprattutto, l’atteggiamento giusto. Forse c’è ancora la percezione che le CP siano una rinuncia, un approccio secondario, invece che interventi attivi ed efficaci per alleviare la sofferenza umana. È fondamentale che gli studenti imparino a centrare la cura sul paziente, rifiutando l’ostinazione e la futilità terapeutica.
Il benessere fisico (competenza 2), fondamentale per la qualità della vita, è stato uno degli ambiti con le peggiori performance. Nonostante ci si aspettasse un punteggio più alto negli studenti dell’internato, a contatto con i pazienti, non c’è stata differenza significativa. Questo potrebbe riflettere una lacuna nell’insegnamento sulla gestione del dolore e forse anche pregiudizi sull’uso degli oppioidi.
Altrettanto importanti sono i bisogni psicologici, sociali e spirituali (competenze 3, 4, 5). Anche qui, nessun aumento dei punteggi. Anzi, per la spiritualità, c’è stato un calo. Eppure, affrontare le preoccupazioni spirituali può ridurre la disperazione e migliorare la qualità della vita. Lasciare da parte questi aspetti può generare un senso di abbandono nel paziente.

Uno studio dell’Università di Toronto ha mostrato un calo della sensibilità etica negli studenti di medicina dal primo al quarto anno. Un’ipotesi? Il carico di lavoro estenuante e la frammentazione della medicina in sub-specialità, con un focus quasi esclusivo sulla dimensione biologica, potrebbero influenzare negativamente gli studenti, portandoli a vedere il paziente più come un’entità biologica che come un essere umano multidimensionale. Questo sottolinea l’importanza di esperienze e insegnamenti adeguati di CP e bioetica durante gli studi.
I risultati di questo studio suggeriscono anche la possibilità che gli studenti sviluppino un certo distacco come meccanismo di difesa dal “moral distress”, quel conflitto tra i valori personali dello studente e le aspettative e i comportamenti prevalenti negli ambienti formativi. Questo non solo ha conseguenze negative sul benessere dello studente, ma può impattare negativamente sulla cura del paziente.
Decisioni Etiche e Comunicazione: Note Dolenti
Le questioni relative al processo decisionale etico (competenza 7), come il rispetto dell’autonomia del paziente, non hanno mostrato miglioramenti. Questo è grave, perché garantire la dignità umana si basa sul rispetto delle decisioni autonome. Una solida comprensione dei principi bioetici (autonomia, beneficenza, non maleficenza, giustizia) è cruciale per fornire cure compassionevoli ed etiche.
La competenza comunicativa (competenza 9) è stata quella in cui gli studenti hanno ottenuto i risultati peggiori. La comunicazione è la base di una relazione etica tra professionista e paziente. Nel contesto delle CP, è fondamentale saper comunicare con chiarezza, sincerità, rispetto e compassione. La necessità di migliorare la comunicazione durante gli studi è evidente. Non si tratta solo di trasmettere informazioni, ma di condividere, comprendere, offrire supporto e affrontare sfide complesse, sempre con il paziente al centro.
Un altro punto degno di nota è l’importanza del lavoro di squadra interdisciplinare (competenza 8). Poiché le esigenze in CP non si limitano alla sola medicina, è essenziale che gli studenti acquisiscano le competenze per lavorare con altri professionisti. Sorprendentemente, gli studenti del ciclo di base hanno ottenuto un punteggio più alto di quelli dell’internato, suggerendo una probabile “deformazione” di questo concetto durante il percorso universitario.
Anche la capacità di rispondere ai bisogni dei familiari (competenza 6) ha visto un punteggio più alto nel ciclo di base rispetto all’internato, suggerendo che l’esperienza sul campo, così com’è strutturata ora, potrebbe far perdere di vista l’importanza di un’assistenza che includa la famiglia del paziente.
L’unica nota davvero positiva? La competenza relativa alla promozione dell’autoconoscenza e dello sviluppo professionale (competenza 10) è stata quella in cui gli studenti sono andati meglio. Molti, infatti, dopo aver compilato il questionario, hanno chiesto attivamente di rivedere i propri errori per imparare. Questo dimostra l’importanza di misurare le competenze: trasformare un'”incompetenza inconscia” in una “consapevole” è il primo passo per acquisirle.
Cosa Fare? Una Chiamata all’Azione per una Formazione più Umana
Osservare che non c’è stata differenza significativa nel punteggio generale tra chi ha seguito il corso facoltativo di CP e chi no, chiarisce che poche ore di lezione teorica non bastano. L’educazione medica deve plasmare professionisti competenti, e molte abilità essenziali per le CP sono intrinsecamente legate all’interazione interpersonale e all’umanizzazione.
Certo, misurare le competenze è una sfida. Strumenti come il Pallicomp valutano principalmente le conoscenze. Le abilità e gli atteggiamenti sono più complessi da misurare. Ma i risultati di questo studio sono un forte segnale: c’è un gap significativo nella formazione medica riguardo le CP, con potenziali conseguenze sulla qualità dell’assistenza. Questo gap sembra influenzato non solo da un modello educativo obsoleto, ma anche da un sistema di cura clinica che non dà priorità a un approccio olistico all’essere umano, perpetuando un circolo vizioso.

Il fatto che gli studenti del ciclo di base abbiano ottenuto risultati migliori suggerisce che l’attuale focus sulla dimensione biologica potrebbe minare concetti e atteggiamenti essenziali per una cura più umanizzata. Dobbiamo riorientare la formazione medica verso pratiche che rispettino e sostengano la dignità del paziente.
Non basta introdurre le CP come materia obbligatoria. È necessario integrare i principi bioetici nelle discipline cliniche e chirurgiche durante tutta la formazione medica. L’obiettivo? Promuovere non solo la competenza tecnica, ma anche una pratica medica etica, umanizzata e centrata sul paziente. Lo sviluppo delle competenze in CP dovrebbe essere incoraggiato attraverso simulazioni pratiche, programmi teorici, dinamiche di gruppo e interazioni supervisionate con professionisti qualificati. Opportunità dedicate per discussioni etiche, riflessione e mentorship sono cruciali.
La scarsa performance in competenze essenziali per promuovere la beneficenza, la dignità e l’autonomia del paziente – principi chiave del modello di Pellegrino e Thomasma – solleva preoccupazioni importanti. Dobbiamo riconsiderare l’attuale modello di cura e sviluppare un quadro educativo che dia priorità ai bisogni psicosociali accanto alla gestione della malattia. La sfida è grande, ma non impossibile. Ne va della qualità della cura che offriremo domani, e della capacità dei nostri futuri medici di essere non solo tecnicamente preparati, ma profondamente umani.
Fonte: Springer
