Foreste in Transizione: Vi Racconto Come Aiutiamo gli Alberi ad Adattarsi al Clima che Cambia
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi affascina profondamente: come stiamo cercando di dare una mano alle nostre foreste di fronte a una sfida enorme, quella dei cambiamenti climatici. Sapete, gli ecosistemi di tutto il mondo stanno sentendo la pressione, e le foreste non fanno eccezione. Per decenni abbiamo gestito i boschi con certi obiettivi, ma ora dobbiamo rimettere tutto in discussione e aggiornare le nostre strategie.
Una Sfida Globale, una Risposta Necessaria
Pensateci: il clima sta cambiando più velocemente di quanto molte specie arboree riescano a spostarsi naturalmente. Temperature più alte, eventi estremi più frequenti, nuovi parassiti… tutto questo mette a dura prova la salute dei nostri boschi. Negli Stati Uniti, già dal 2008, il Forest Service ha lanciato un’iniziativa chiamata Climate Change Response Framework (CCRF) proprio per aiutare i gestori forestali a integrare queste nuove sfide nella pianificazione. E da lì, sono nate idee e progetti concreti.
Una delle cose più interessanti emerse è la classificazione delle strategie di adattamento. Immaginatele come un menu di opzioni:
- Resistenza: Cerchiamo di proteggere la foresta così com’è, contrastando gli impatti. Un po’ come mettere una diga per fermare l’acqua.
- Resilienza: Aiutiamo la foresta a “rimbalzare” meglio dopo un disturbo, come un incendio o una tempesta. Rendiamola più forte e capace di riprendersi.
- Transizione (o Risposta): Questa è l’opzione più “audace”. Accettiamo che il cambiamento sia inevitabile e cerchiamo di guidare attivamente la foresta verso nuove condizioni, più adatte al clima futuro.
È proprio su quest’ultima strategia, la transizione, che voglio concentrarmi. Perché? Perché apre le porte a un concetto tanto affascinante quanto dibattuto: la migrazione assistita.
Migrazione Assistita: Spostare gli Alberi per Salvarli?
Sembra fantascienza, vero? Spostare alberi o i loro semi al di fuori del loro areale naturale. Eppure, è esattamente quello che significa “migrazione assistita”. L’idea è semplice: se il clima sta cambiando e l’habitat ideale per una specie si sta spostando verso nord (o verso altitudini maggiori), ma la specie non riesce a tenere il passo da sola (magari perché il paesaggio è frammentato da città e strade), perché non darle una mano?
Ci sono diversi “livelli” di migrazione assistita:
- Migrazione assistita di popolazioni: Spostiamo semi o alberelli da una popolazione esistente a un’altra zona *all’interno* dell’areale attuale della specie, magari scegliendo individui già adattati a condizioni leggermente più calde o secche.
- Espansione assistita dell’areale: Spostiamo alberi appena *oltre* i confini attuali dell’areale, in zone dove si prevede che il clima diventerà idoneo. È come dare una spintarella alla naturale espansione.
- Migrazione assistita di specie: Questa è la mossa più decisa. Spostiamo alberi in aree completamente nuove, ben oltre l’areale attuale e le capacità naturali di dispersione.
Ovviamente, specialmente l’ultima opzione, solleva domande e preoccupazioni. Ci sono rischi? Certo. Potremmo introdurre specie che diventano invasive? È una possibilità da valutare attentamente. Ma l’intento è nobile: mantenere la biodiversità e la funzionalità degli ecosistemi forestali per il futuro. E, pensateci, in fondo i forestali spostano specie da decenni per scopi commerciali o ecologici. Ora, lo si fa con un occhio attento al clima che verrà.

Un Esperimento Concreto: Il Caso di Tunk Hill nel Rhode Island
Ora, lasciate che vi porti in un posto specifico, nel sud del New England, precisamente nel Rhode Island. Qui, la Providence Water Supply Board, l’ente che gestisce l’acquedotto per circa 600.000 persone, si occupa anche di migliaia di acri di foresta che circondano il bacino idrico principale, il Scituate Reservoir. Queste foreste sono fondamentali: agiscono come un filtro naturale, garantendo acqua pulita. L’obiettivo è mantenere una foresta diversificata, resiliente ai disturbi.
Ma in una zona particolare, chiamata Tunk Hill, le cose non andavano bene. Prima un’infestazione di insetti (l’Anisota senatoria, un defogliatore delle querce), poi altri parassiti, siccità… risultato? Molti alberi morti o morenti. Un taglio di recupero aveva lasciato il terreno ancora più spoglio. La rigenerazione naturale faticava a partire, anche a causa dei cervi (Odocoileus virginianus) che brucavano le giovani piantine e della competizione con arbusti fitti come il mirtillo selvatico (Gaylussacia spp.). In pratica, un esempio da manuale di “fallimento della rigenerazione”. In un’area vicina, anche una piantagione di pino rosso era stata decimata da altri insetti specifici. Insomma, una situazione critica.
Osare la Transizione: Il Progetto di Piantagione
Proprio in questo contesto difficile, i gestori forestali di Providence Water, dopo aver partecipato a un workshop sull’adattamento climatico organizzato dal Northern Institute of Applied Climate Science (NIACS), hanno deciso di provare qualcosa di nuovo. Visto lo stato degradato dell’area, c’era poco da perdere nello sperimentare un approccio di transizione.
L’idea era ambiziosa: non solo cercare di ristabilire una copertura forestale, ma farlo piantando specie che si prevede prospereranno nel clima futuro del Rhode Island. Hanno usato strumenti come il Climate Change Tree Atlas per selezionare un mix di specie: alcune native, già presenti in zona, e altre provenienti da regioni più a sud (fino al Maryland e New Jersey), che attualmente non si trovano così a nord ma che le proiezioni climatiche indicano come future “residenti” idonee. Stiamo parlando di specie come il pino taeda (Pinus taeda) e il liquidambar (Liquidambar styraciflua), insieme a querce e altri pini locali. In pratica, hanno messo in atto una combinazione di migrazione assistita di popolazioni e di espansione assistita dell’areale.
Nel maggio 2015, hanno piantato 1.700 alberelli a radice nuda di 11 specie diverse, dividendoli tra l’area del taglio di recupero delle querce e quella dell’ex piantagione di pino rosso. Una parte fondamentale del progetto è stata l’utilizzo di una recinzione anti-cervo preesistente su una porzione di 6 acri. Questo ha permesso di confrontare la crescita delle piantine protette con quelle lasciate alla mercé dei cervi.

I Risultati Dopo Quasi Dieci Anni: Lezioni sul Campo
E i risultati? Beh, sono stati illuminanti, soprattutto per quanto riguarda l’impatto dei cervi. Fuori dalla recinzione, la sopravvivenza è stata bassissima. Dopo cinque anni, quasi nessuna delle piantine piantate era sopravvissuta, divorata dai cervi. L’area non recintata è rimasta rada, con solo qualche pino bianco (Pinus strobus) cresciuto spontaneamente prima dell’intervento che è riuscito a svilupparsi.
All’interno della recinzione, invece, la storia è completamente diversa. Certo, c’è stata mortalità iniziale, specialmente tra le conifere, a causa di una primavera secca subito dopo la piantagione. Ma molte piante ce l’hanno fatta e hanno iniziato a crescere. Dopo quasi dieci anni (il monitoraggio è ancora in corso su un campione di alberi), la differenza è lampante. L’altezza media degli alberi dentro la recinzione è aumentata costantemente, raggiungendo quasi i 2,3 metri nel 2024, mentre fuori è rimasta praticamente a zero.
Cosa è cresciuto meglio? All’interno della recinzione, 9 delle 11 specie originali sono ancora presenti. Le querce, i pini (monitorati come genere unico all’inizio per difficoltà di distinzione) e il liquidambar sono tra i più abbondanti. Alcune specie introdotte con la migrazione assistita stanno mostrando una crescita sorprendente: individui di pino taeda, robinia (Robinia pseudoacacia) e liquidambar hanno raggiunto altezze tra i 4 e i 6 metri! Questo suggerisce che, almeno nelle condizioni attuali e protette dai cervi, queste specie “future” possono non solo sopravvivere, ma anche prosperare nel Rhode Island.

Cosa Impariamo da Questa Esperienza?
Questo progetto, pur non essendo uno studio scientifico formale con tutti i crismi della ricerca accademica, è incredibilmente prezioso. Ci mostra alcune cose fondamentali:
- La pressione dei cervi è un fattore critico: Senza protezione, anche le specie meglio adattate al clima futuro hanno poche speranze se la pressione della fauna selvatica è troppo alta. Questo è un problema che potrebbe aggravarsi con inverni più miti.
- La migrazione assistita è fattibile: Specie provenienti da areali più meridionali possono effettivamente stabilirsi e crescere bene in condizioni attuali del New England, suggerendo che questa strategia può funzionare per anticipare i cambiamenti climatici.
- Le condizioni locali contano: Anche all’interno della recinzione, il successo varia. La qualità del microsito (un piccolo punto con condizioni specifiche di luce, suolo, umidità), la competizione con altre piante e le caratteristiche intrinseche delle specie (quelle a crescita rapida sono avvantaggiate) giocano un ruolo enorme.
- Implementare non è semplice: Ci sono sfide operative reali. Serve una pianificazione anticipata notevole, bisogna trovare i vivai giusti che forniscano le specie desiderate (e magari da fonti genetiche adatte), a volte manca personale esperto per la piantagione, e impostare un monitoraggio efficace e a lungo termine può essere complicato.
- Il supporto è cruciale: La volontà dei gestori locali, il supporto dei dirigenti dell’ente e la collaborazione con esperti (come quelli del NIACS) sono stati fondamentali per far partire e portare avanti il progetto.
Un Messaggio per il Futuro
Al di là dei dati specifici sulla crescita degli alberi, il progetto di Tunk Hill ha avuto un impatto importante. Ha stimolato la discussione sull’adattamento climatico nella comunità forestale, ha attirato l’attenzione dei media (persino del New York Times!) e ha mostrato al pubblico un esempio concreto e proattivo di come possiamo rispondere ai cambiamenti climatici.
Ha dimostrato che la strategia di “transizione” non è solo “rischiosa”, ma può essere vista come audace, innovativa e sperimentale, soprattutto se integrata in un mosaico di approcci diversi su una stessa proprietà. Forse, la sua eredità più grande sarà quella di ispirare altri gestori forestali, ricercatori e cittadini a pensare fuori dagli schemi e a sperimentare nuove soluzioni per aiutare le nostre preziose foreste a navigare le acque incerte del futuro climatico. È un piccolo passo, certo, ma piantare oggi gli alberi che potrebbero prosperare domani è un messaggio di speranza e di azione concreta.
Fonte: Springer
