Panoramica aerea di una lussureggiante foresta temperata gestita in modo sostenibile, che mostra un mosaico di aree con alberi di diverse età, zone di recente taglio e ricrescita, e strade forestali serpeggianti. Luce solare che filtra tra le nuvole illuminando parti della foresta. Obiettivo grandangolare 18mm, alta risoluzione, colori vividi.

Foreste Temperate: Possono Darci il Legno del Futuro e Aiutare il Clima? Dipende…

Ragazzi, parliamoci chiaro: il nostro pianeta ha bisogno di aiuto e le foreste sono spesso viste come una parte fondamentale della soluzione, soprattutto quando si parla di cambiamenti climatici. Ma c’è un “ma”. Usiamo tantissimo legno, e la domanda globale è destinata a crescere ancora, spinta dalla crescita della popolazione, dall’economia e dalla transizione verso una bioeconomia a zero emissioni nette. La domanda sorge spontanea: le nostre foreste, in particolare quelle temperate come molte delle nostre in Europa, possono reggere il colpo? Possono darci il legno di cui avremo bisogno *e* continuare ad assorbire CO2 per mitigare il riscaldamento globale?

Ecco, è proprio questa la domanda che mi (e molti scienziati) tormenta. Abbiamo provato a vederci più chiaro, usando un approccio che mette insieme modelli super dettagliati sulla salute delle foreste e l’analisi del ciclo di vita completo del legno, dalla foresta al prodotto finito e al suo smaltimento. Immaginate di zoomare su una foresta temperata “tipo” e chiederci: cosa succederebbe se…?

La Sfida: Domanda in Aumento, Risorse Limitate

Partiamo da un dato: la domanda globale di legno è cresciuta dell’1,1% all’anno negli ultimi 20 anni e le proiezioni dicono che potrebbe accelerare ancora, forse fino al 2,3% annuo. Questo significa, nel migliore dei casi (crescita “bassa”), un aumento del 30% entro il 2050, e nel peggiore (crescita “alta”), un +62%. Mica poco!

Ora, prendiamo la nostra foresta “tipo” di 100.000 ettari (pensate a un’area grande più o meno quanto Roma, ma tutta alberi!). Se continuiamo a gestirla come facciamo ora (“business as usual”), semplicemente non ce la faremo a soddisfare questa domanda crescente. Anzi, già dopo poco tempo inizieremmo ad avere bisogno di importare legno da altrove.

E se provassimo a cambiare gestione? Abbiamo simulato diverse strategie:

  • Accorciare o allungare i turni di taglio: Tagliare gli alberi un po’ prima (45 anni invece di 50) o un po’ dopo (55 anni). Risultato? Cambia poco o nulla sull’offerta totale di legno nel lungo periodo. Non è questa la leva magica.
  • Aumentare la produttività: Ripianta alberi che crescono più in fretta, magari grazie a miglioramenti genetici (+25% di resa). Questo aiuta, eccome! È l’unica strategia che, *sulla foresta esistente*, dà un contributo significativo a soddisfare la domanda extra.

Ma anche con alberi “turbo”, la foresta esistente da sola non basta. La vera svolta sembra arrivare da un’altra parte.

Piantare Nuovi Alberi: La Mossa Chiave (Ma Ci Vuole Tempo)

La soluzione più impattante che abbiamo analizzato è l’afforestazione, cioè espandere l’area forestale. Abbiamo immaginato due scenari: aumentare l’area del 50% o addirittura raddoppiarla (arrivando a 200.000 ettari) nel giro di 50 anni, piantando nuovi alberi produttivi.

Qui le cose si fanno interessanti. Se raddoppiamo l’area forestale *e* usiamo alberi più produttivi, allora sì, dal 2058 circa potremmo riuscire a soddisfare la domanda di legno prevista nello scenario “basso”. Prima di allora, però, saremmo comunque costretti a importare per coprire il deficit. Perché? Semplice: gli alberi hanno bisogno di tempo per crescere! I benefici dell’afforestazione non sono immediati, ma si vedono solo quando le nuove foreste raggiungono l’età del taglio (che sia 35, 45 o 50 anni).

Vista aerea di una vasta foresta temperata con zone chiaramente distinte: una parte matura con alberi alti e fitti, accanto a una zona di recente afforestazione con alberelli giovani e più radi, separati da una strada forestale. Luce del tardo pomeriggio che crea lunghe ombre. Obiettivo grandangolare 24mm, alta risoluzione, messa a fuoco nitida su tutta la scena.

E se la domanda fosse quella “alta”? Beh, nessuna delle strategie analizzate, nemmeno raddoppiando l’area, sarebbe sufficiente. Il deficit di legno da coprire con le importazioni diventerebbe ancora più grande. C’è anche da considerare il rischio di “disturbi naturali” (malattie, incendi, tempeste), che potrebbero ridurre la produttività delle foreste esistenti e peggiorare ulteriormente la situazione.

Il Rovescio della Medaglia: L’Impatto Nascosto delle Importazioni

Ok, quindi per decenni probabilmente dovremo importare legno. Che problema c’è? Il problema sta nell’impatto sul clima, il famoso GWP (Global Warming Potential). Importare legno significa che da qualche altra parte nel mondo si tagliano più alberi. E qui casca l’asino.

Abbiamo analizzato cosa succede al bilancio totale di CO2 equivalente (CO2e) considerando tutto il ciclo di vita: carbonio immagazzinato nella foresta (sia quella locale che quella da cui importiamo), carbonio nei prodotti in legno (HWP – Harvested Wood Products), emissioni evitate sostituendo materiali più inquinanti (come cemento o acciaio) ed emissioni legate alla lavorazione e al trasporto.

I risultati sono sorprendenti e, a tratti, preoccupanti:

  • Senza fare nulla (solo importando): Il bilancio netto di GWP peggiora costantemente. Le emissioni legate al taglio di foreste altrove (magari gestite meno bene) superano i benefici dati dallo stoccaggio di carbonio nei prodotti importati e dalla sostituzione di altri materiali.
  • Con afforestazione e miglioramenti: Se espandiamo le nostre foreste temperate (soprattutto raddoppiandole e aumentandone la produttività), il bilancio GWP diventa nettamente positivo, cioè otteniamo una mitigazione netta del cambiamento climatico. Parliamo di un beneficio cumulativo che può arrivare fino a 265 milioni di tonnellate di CO2e entro il 2100 per ogni 100.000 ettari di foresta di partenza (che diventano 200.000 con l’afforestazione).
  • Il fattore “Import”: Il bilancio finale dipende tantissimo da dove prendiamo il legno che ci manca. Se lo importiamo da foreste boreali primarie tagliate più frequentemente, l’impatto climatico può essere molto negativo, addirittura peggiore che continuare a usare materiali alternativi non a base di legno! Se invece proviene da residui forestali o, ancora meglio, da nuove piantagioni tropicali create apposta, l’impatto può essere neutro o persino positivo (cioè sequestrare CO2).

Capite la delicatezza? Affidarsi alle importazioni senza sapere da dove viene il legno e come è stato prodotto rischia di vanificare gli sforzi fatti a casa nostra, spostando semplicemente il problema (o peggiorandolo).

Primo piano di tronchi di legno accatastati provenienti da diverse regioni: legno chiaro di conifera boreale, legno scuro tropicale e legno di latifoglia temperata. Luce radente che evidenzia le diverse texture della corteccia e del taglio. Obiettivo macro 85mm, profondità di campo ridotta, alta definizione dei dettagli del legno.

Non Solo Piantare: Usare il Legno con Intelligenza

C’è un altro pezzo del puzzle fondamentale: l’efficienza e la circolarità. Non basta produrre più legno; dobbiamo anche usarlo meglio. Questo significa:

  • Ridurre gli sprechi durante la lavorazione.
  • Massimizzare il valore: usare il legno migliore per prodotti durevoli (come mobili o costruzioni) e poi, a fine vita, riutilizzarlo o riciclarlo per altri scopi (uso a cascata), arrivando magari alla produzione di energia solo come ultima spiaggia.
  • Sviluppare una vera economia circolare del legno.

Moderare la domanda futura attraverso un uso più intelligente delle risorse è cruciale, soprattutto se le proiezioni di crescita “alta” si rivelassero realistiche. Altrimenti, rischiamo di mettere troppa pressione sulle foreste, anche su quelle nuove e più produttive.

La Ricetta per il Successo: Una Strategia Integrata

Quindi, qual è il messaggio finale? Le foreste temperate possono davvero giocare un doppio ruolo positivo per il futuro: fornirci il legno di cui abbiamo bisogno e contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico. Ma non è un pranzo gratis.

Serve una strategia chiara e a lungo termine che integri diversi elementi:
1. Afforestazione ambiziosa e sostenuta nel tempo: Piantare nuove foreste produttive è essenziale, e bisogna farlo con un orizzonte temporale lungo (almeno quanto il ciclo di vita degli alberi piantati) per evitare cali futuri nella produzione.
2. Aumento della produttività forestale: Investire in ricerca e pratiche gestionali per far crescere gli alberi più velocemente e in modo sostenibile.
3. Uso efficiente e circolare del legno: Promuovere l’innovazione nell’industria per ridurre gli sprechi, massimizzare il valore e favorire il riutilizzo e riciclo (economia circolare e uso a cascata).
4. Politiche integrate: Le politiche climatiche e quelle forestali devono andare a braccetto. Non possiamo pensare di aumentare l’uso del legno per decarbonizzare l’edilizia o altri settori senza avere un piano solido per garantirne l’approvvigionamento sostenibile, preferibilmente a livello nazionale o regionale.
5. Consapevolezza sull’origine delle importazioni: Bisogna essere molto attenti all’impatto climatico e ambientale del legno importato.

Insomma, la strada c’è, ma richiede impegno, visione a lungo termine e un approccio olistico. Le foreste temperate possono essere nostre alleate, ma dobbiamo trattarle (e pianificarle) con la cura e l’intelligenza che meritano. Non è solo una questione di piantare alberi, ma di costruire un intero sistema, dalla foresta al prodotto finito e ritorno, che sia davvero sostenibile per il pianeta e per le nostre esigenze future.

Fonte: Springer

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