Panoramica di una foresta di faggi atlantica in pianura, alcuni alberi mostrano segni di stress idrico con fogliame rado o ingiallito, mentre in lontananza si intravedono conifere più scure (pini). Wide-angle lens, 20mm, sharp focus, luce del tardo pomeriggio che crea lunghe ombre, atmosfera leggermente malinconica che suggerisce vulnerabilità al cambiamento climatico.

Foreste Atlantiche Sotto Scacco: Come il Clima Sta Rimescolando le Carte (e gli Alberi!)

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi sta molto a cuore e che, francamente, dovrebbe preoccuparci un po’ tutti: il futuro delle nostre foreste, in particolare quelle che si trovano nelle pianure atlantiche d’Europa. Spesso pensiamo alle montagne come ai luoghi più sensibili al cambiamento climatico, con i loro ghiacciai che si sciolgono e gli ecosistemi che si spostano verso l’alto. Ma che dire delle foreste in pianura? Quelle immense distese verdi che caratterizzano tante regioni, come le Fiandre in Belgio, dove ho concentrato le mie ultime ricerche?

Il Problema: Pianure Vulnerabili?

Vedete, l’impatto del cambiamento climatico non è uguale dappertutto. Mentre le foreste di montagna hanno una certa “via di fuga” grazie alla topografia complessa – pendii diversi, valli ombrose che possono fare da rifugio per le specie più sensibili – le foreste di pianura sono, beh, piatte. Questo significa che quando il clima cambia, le specie non hanno molti posti dove “nascondersi” localmente. Devono migrare su distanze molto più lunghe per trovare condizioni adatte, un processo che per gli alberi è incredibilmente lento.

Quindi, la domanda che mi sono posto è stata: cosa succederà a queste foreste, dominate spesso dal magnifico faggio europeo (Fagus sylvatica), se il clima continua a scaldarsi e le piogge estive diminuiscono, come purtroppo prevedono molti modelli? Riusciranno a resistere o vedremo cambiamenti drastici nella loro composizione e struttura?

Un Laboratorio Virtuale per Guardare nel Futuro

Per cercare di rispondere, ho usato uno strumento potentissimo: un modello di simulazione chiamato “iLand”. Immaginatelo come un gigantesco videogioco super realistico dove posso “piantare” una foresta virtuale – nel mio caso, la Foresta di Meerdaal nelle Fiandre, un’area stupenda di oltre 2000 ettari – e vedere come si evolve nel corso di… 1000 anni! Sì, avete capito bene, mille anni! Questo modello tiene conto di tutto: la crescita di ogni singolo albero, la competizione per la luce e l’acqua, la nascita di nuovi alberelli, la morte naturale, e persino l’impatto di eventi come tempeste di vento e attacchi di insetti (come il famigerato bostrico della corteccia).

Ho “lanciato” diverse simulazioni, ognuna con uno scenario climatico futuro differente: da condizioni simili a quelle attuali (“storico”), a scenari di riscaldamento moderato, caldo, e infine uno scenario “caldo e secco”, il più preoccupante, con temperature medie estive che superano i 24°C e precipitazioni estive ridotte di oltre il 40%.

Risultati Sorprendenti (e Preoccupanti)

Ebbene, i risultati sono stati illuminanti. Sotto condizioni climatiche storiche o con un riscaldamento moderato, la foresta mostra una certa resilienza. Certo, ci sono cambiamenti, legati anche a come la foresta è stata gestita in passato (ne parleremo tra poco), ma il faggio, pur con qualche difficoltà, tende a rimanere una specie importante.

La musica cambia radicalmente nello scenario “caldo e secco”. Qui assistiamo a un vero e proprio ribaltone. Il faggio, che ama un clima relativamente fresco e umido, va in crisi profonda, specialmente sui suoli più sabbiosi. E chi ne approfitta? Specie più resistenti alla siccità, in particolare il pino nero (Pinus nigra), una specie che tra l’altro non è nemmeno originaria di quelle zone, ma che era stata piantata in passato. In questo scenario, il pino nero diventa dominante, cambiando completamente il volto della foresta. Non solo: il volume totale di legname nella foresta diminuisce fino al 34%, un segnale che l’ecosistema sta soffrendo e la sua capacità di immagazzinare carbonio si riduce.

Foresta di faggi in evidente sofferenza durante un'estate calda e secca. Molte foglie sono ingiallite o cadute prematuramente, il sottobosco è secco. Accanto, alcuni pini neri appaiono più verdi e vigorosi. Macro lens, 70mm, high detail sul fogliame stressato, luce solare intensa e diretta che accentua la secchezza.

È interessante notare che il faggio sembra poter tollerare aumenti di temperatura anche superiori ai 2°C, a patto che le piogge estive rimangano simili a quelle attuali. Il vero tallone d’Achille, quindi, sembra essere la combinazione di caldo e siccità estiva.

E i Disturbi Naturali? Vento e Insetti

Mi aspettavo che i disturbi naturali, come il vento e gli attacchi di insetti, giocassero un ruolo chiave nell’accelerare questi cambiamenti, magari spazzando via le specie meno adatte e facendo spazio a quelle nuove. E in effetti, nello scenario “caldo e secco”, l’impatto di questi disturbi (misurato in volume di legno danneggiato) aumenta fino al 193%! Un incremento enorme.

Tuttavia, guardando il quadro generale su scala paesaggistica, l’effetto di questi disturbi sulla composizione finale della foresta è risultato meno determinante di quanto pensassi, almeno in questo specifico contesto. Il motore principale del cambiamento, in questo caso, è proprio l’effetto diretto del clima (troppo caldo, troppo secco) sulla fisiologia degli alberi. Certo, i disturbi aumentano la vulnerabilità, ma è la siccità a dare il colpo di grazia alle specie meno tolleranti.

L’Eredità del Passato: La Mano dell’Uomo si Vede Ancora

Un altro aspetto affascinante è l’impronta lasciata dalla gestione forestale passata. La Foresta di Meerdaal, come molte foreste europee, è stata gestita per secoli. Questo ha significato piantare specie non autoctone, come il pino nero o l’abete di Douglas. Le mie simulazioni mostrano che questa “eredità” ha un peso notevole sul futuro. Anche se simuliamo l’abbandono della gestione attiva, queste specie introdotte non scompaiono facilmente. Anzi, come abbiamo visto, il pino nero può addirittura diventare dominante in condizioni di siccità. Questo significa che le scelte fatte decenni o secoli fa continuano a influenzare la traiettoria della foresta oggi e domani, a volte in modi inaspettati. La presenza di queste specie non native aumenta la diversità attuale rispetto a quella che sarebbe la “vegetazione potenziale naturale” (dominata quasi esclusivamente dal faggio), ma solleva anche interrogativi su cosa significhi “naturale” in un mondo che cambia.

Confronto visivo tra due appezzamenti di foresta simulati: uno dominato da faggi alti e maestosi (vegetazione potenziale naturale) e uno con un mix di faggi, querce e pini neri (vegetazione attuale influenzata da gestioni passate). Stesso punto di vista, wide-angle lens, 24mm, per enfatizzare la differenza strutturale e compositiva.

La Sorpresa: Il Suolo Come Rifugio

Ricordate la questione della mancanza di rifugi topografici nelle pianure? Beh, qui c’è stata una scoperta interessante. Sembra che la tessitura del suolo possa giocare un ruolo simile a quello delle montagne! Ho notato una chiara correlazione: sui suoli più fini, ricchi di limo e argilla (che trattengono meglio l’acqua), il faggio e altre specie sensibili alla siccità resistono molto meglio e più a lungo, anche negli scenari climatici più difficili. Al contrario, sui suoli sabbiosi, il cambiamento è molto più rapido e drastico.

In pratica, le zone con suoli a tessitura fine agiscono come delle piccole “oasi” o rifugi per le specie più esigenti d’acqua, rallentando gli effetti del cambiamento climatico. È un po’ come se la variabilità del suolo compensasse, almeno in parte, la mancanza di montagne. Questo è un risultato importante, perché suggerisce che non possiamo ignorare le proprietà del suolo quando valutiamo la vulnerabilità delle foreste e pianifichiamo strategie di adattamento.

Cosa Significa Tutto Questo?

Il quadro che emerge è complesso, ma alcuni messaggi sono chiari:

  • Le foreste atlantiche di pianura sono potenzialmente molto vulnerabili a scenari climatici caldi e secchi.
  • Esiste una sorta di soglia critica (attorno a +2°C e -40% di piogge estive nel mio studio) oltre la quale possiamo aspettarci cambiamenti rapidi e fondamentali nella composizione delle specie.
  • Questi cambiamenti possono minacciare la biodiversità legata alle foreste attuali e la fornitura di servizi ecosistemici cruciali (come lo stoccaggio del carbonio o la regolazione del microclima).
  • I disturbi naturali come vento e insetti probabilmente aumenteranno, aggravando la situazione.
  • Le decisioni di gestione passate hanno effetti duraturi.
  • La buona notizia è che i suoli a tessitura fine possono offrire una certa protezione, agendo come rifugi climatici locali.

La velocità con cui questi cambiamenti potrebbero avvenire (le simulazioni indicano che un nuovo equilibrio sotto clima caldo e secco potrebbe instaurarsi in “soli” 180-250 anni, molto più velocemente dei 400-600 anni necessari in condizioni stabili) pone una sfida enorme per chi gestisce le foreste. Non c’è molto tempo per adattarsi.

Mappa della Foresta di Meerdaal che mostra le aree con diversa tessitura del suolo (es. colori diversi per sabbia, limo, argilla) sovrapposta a una mappa che indica la resilienza prevista al cambiamento climatico (es. aree verdi = resilienti, aree rosse = vulnerabili). Wide-angle, 15mm, vista dall'alto tipo mappa GIS ma resa fotorealistica, sharp focus.

Quindi, cosa possiamo fare? Prima di tutto, è imperativo limitare il cambiamento climatico a livelli moderati. Ogni decimo di grado evitato conta! Secondo, dobbiamo iniziare a pensare a strategie di gestione forestale “adattiva”, che tengano conto di questi scenari futuri e considerino il ruolo cruciale del suolo. Forse dovremo favorire specie più resistenti alla siccità in alcune aree, proteggere attivamente i “rifugi” sui suoli migliori, o persino considerare l’introduzione assistita di specie o genotipi meglio adattati al clima che verrà.

È una sfida complessa, ma conoscere i rischi e le dinamiche in gioco è il primo passo fondamentale per proteggere questi preziosi ecosistemi. Le nostre foreste di pianura stanno lanciando un segnale d’allarme, e dobbiamo ascoltarlo.

Fonte: Springer

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