Un'immagine concettuale che rappresenta l'intersezione tra linguaggio, psicologia e analisi scientifica. Un cervello stilizzato da cui emanano onde sonore che si trasformano in testo analizzato da un software, il tutto con un'estetica da 'portrait photography', obiettivo 35mm, toni duotone seppia e blu scuro, con una leggera profondità di campo per mettere a fuoco l'elemento testuale.

Parole che Curano: Svelare i Segreti della Mente con le Misure Linguistiche del Processo Referenziale

Amiche e amici appassionati di mente umana e dintorni, vi siete mai chiesti cosa ci sia davvero dietro le quinte della psicoterapia? Non parlo solo delle teorie altisonanti o delle tecniche specifiche, ma di qualcosa di più fondamentale, di più… radicale. Sto parlando dell’epistemologia, una parola che suona complicata ma che, credetemi, è la chiave di volta per capire come conosciamo e interveniamo sulla nostra psiche.

Per troppo tempo, nel campo della psicologia e della psicoterapia, abbiamo un po’ trascurato questa domanda: “Su quali basi diciamo che la nostra conoscenza è valida e i nostri interventi efficaci?”. Spesso, abbiamo adottato acriticamente un’idea di scienza presa in prestito da altri campi, un’idea che mal si adatta alla complessità e all’unicità dell’esperienza umana. E questo, ve lo dico, può portare a qualche problemino: interventi meno efficaci, un divario crescente tra chi fa ricerca e chi lavora sul campo, e una visione un po’ riduttiva di cosa significhi “mente”.

Perché l’Epistemologia Conta (Eccome!)

Pensateci un attimo: se devo studiare un sasso, posso usare certi strumenti e aspettarmi certi risultati. Ma se l’oggetto del mio studio è la soggettività umana, un universo immateriale, intangibile, che esiste solo perché noi pensiamo che esista, beh, le cose cambiano parecchio. Qui, la soggettività di chi indaga incontra quella di chi è indagato. È un ballo a due, non un’osservazione distaccata. Ecco perché definire le nostre “coordinate epistemologiche” non è un vezzo da filosofi, ma una necessità pratica.

L’epistemologia che scegliamo influenza tutto: le teorie sulla mente che adottiamo, gli obiettivi che ci poniamo, le tecniche che usiamo. Se, per esempio, sposo un’epistemologia positivista – quella, per intenderci, che vede la realtà come qualcosa di oggettivo, misurabile, scomponibile in cause ed effetti – tenderò a vedere la mente come un insieme di “pezzi” da aggiustare, con protocolli standardizzati. Tratterò la psiche un po’ come un meccanismo, ignorando la sua natura fluida e interconnessa.

Questa visione positivista, nata con la rivoluzione scientifica e l’Illuminismo, ha fatto faville nelle scienze “dure”, ma ha mostrato la corda con le scienze “soft”, come la nostra amata psicologia. La psicologia, giovane com’è, ha cercato di accreditarsi adottando questo modello, a volte pagando il prezzo di un “inaridimento” del suo oggetto di studio: la sfuggente e meravigliosa soggettività umana. Persino il grande Freud, con le sue intuizioni geniali, è inciampato nel tentativo di spiegare la mente con energie e pulsioni quasi fisiche, limitando la portata delle sue scoperte.

Un Nuovo Sguardo: l’Epistemologia della Complessità

Per fortuna, da qualche tempo, si fa strada un approccio diverso, che potremmo chiamare epistemologia della complessità. Questo modo di vedere le cose accetta che l’esperienza umana non si può ridurre a semplici cause ed effetti. Riconosce la natura dinamica, interconnessa e spesso non lineare dei fenomeni psicologici. Pensate alle teorie intersoggettive e relazionali in psicoanalisi, alla svolta post-razionalista nel cognitivismo, o alle teorie cibernetiche di secondo ordine nella terapia sistemica: sono tutti figli di questo cambio di paradigma.

È in questo fertile terreno che voglio presentarvi la Teoria dei Codici Multipli (MCT) di Wilma Bucci. La MCT non è solo una teoria della mente, ma un vero e proprio manifesto per un’epistemologia orientata alla complessità, perfettamente in linea con le caratteristiche dell’esperienza soggettiva e della comunicazione emotiva. E, cosa ancora più affascinante, ci offre strumenti concreti per esplorare questo universo: le misure linguistiche computerizzate del Processo Referenziale.

Un cervello stilizzato diviso a metà: da un lato ingranaggi meccanici rappresentanti il positivismo, dall'altro una rete neurale complessa e luminosa per l'epistemologia della complessità. Obiettivo 35mm, bianco e nero con un tocco di blu elettrico sulla parte complessa, profondità di campo che sfoca leggermente gli ingranaggi.

Ma attenzione: queste misure non sono un esame “oggettivo” del processo psicoterapeutico, come una radiografia dell’anima. Piuttosto, sono una bussola, un’opzione metodologica che guida ricercatori e clinici a formulare le ipotesi scientifiche più plausibili sul complesso fenomeno della comunicazione emotiva. È il confronto tra dati provenienti da diversi punti di vista (terapeuta, paziente, osservatore esterno, analisi linguistica computerizzata) e in contesti diversi (terapie, test, conversazioni quotidiane) che ci permette di validare le nostre ipotesi.

La Teoria dei Codici Multipli: Un’Orchestra nella Mente

Secondo la MCT, la nostra mente non è un insieme di stati interni fissi, ma un processo relazionale continuo tra noi e il mondo. E, cosa fondamentale, la mente è incarnata (embodied). Il corpo non è un accessorio, ma parte integrante dei processi cognitivi. Immaginate almeno tre sistemi di codifica che lavorano in sinergia:

  • Il sistema subsimbolico: processa il flusso continuo di stimoli emotivi e sensoriali in modo globale e analogico, come un’onda.
  • Il sistema simbolico non verbale: crea immagini e rappresentazioni a partire da questa esperienza subsimbolica.
  • Il sistema simbolico verbale: connette e traduce queste immagini e rappresentazioni in parole.

La mente, quindi, è un sistema che organizza e assegna significato attingendo sia da esperienze sottili e non verbali, sia dalla capacità di comunicare attraverso simboli. È l’interazione continua tra questi livelli che ci permette di comprendere la nostra realtà e di interagire con essa.

Il Processo Referenziale: Dare Voce all’Indicibile

Un concetto cardine della teoria di Bucci è il Processo Referenziale (PR). Immaginatelo come la funzione che connette il flusso complesso dell’esperienza emotiva e sensoriale a immagini mentali ed espressioni linguistiche, rendendola comunicabile agli altri. Questo processo, però, è sempre parziale. Non tutto ciò che sentiamo può essere tradotto in immagini e parole. E quando viviamo eventi, emozioni o relazioni angoscianti, possono attivarsi meccanismi che “scollegano” queste esperienze dalla loro fonte e dal loro significato, lasciandole attive solo a livello subsimbolico.

Questi “schemi emozionali sconnessi” sono rappresentazioni prototipiche di sé in relazione agli altri, formate dalla ripetizione di interazioni con stati affettivi dolorosi. La sofferenza psicologica, in quest’ottica, deriva proprio da queste disconnessioni. La psicoterapia diventa allora una relazione speciale con un terapeuta capace di interagire a livello subsimbolico e simbolico per riattivare il PR del paziente. L’obiettivo non è “cambiare” il paziente o eliminare i sintomi, ma creare le condizioni perché il PR di entrambi possa migliorare, permettendo agli schemi emozionali di riorganizzarsi in forme più integrate. Una buona seduta terapeutica, secondo Bucci, attraversa fasi di arousal (attivazione), simbolizzazione e riflessione/riorganizzazione.

La terapia, quindi, non è solo comunicazione verbale, ma uno scambio multiforme in cui il paziente, con il terapeuta, costruisce e rimodella la comprensione di sé. Il terapeuta facilita questo processo, diventando un partner “incarnato” nella relazione, aiutando a dare senso alle esperienze, promuovendo consapevolezza e crescita.

Visualizzazione astratta del Processo Referenziale: onde di colore tenue (subsimbolico) che si trasformano in forme geometriche luminose (simbolico non verbale) e poi in stringhe di testo brillanti (simbolico verbale). Macro lens, 100mm, alta definizione, illuminazione controllata che enfatizza il flusso.

Misurare le Parole: Non Numeri, ma Indizi Preziosi

Ed eccoci alle misure linguistiche computerizzate del PR, sviluppate da Bucci e colleghi. Questi strumenti ci permettono di osservare, tracciare e quantificare alcune funzioni chiave del PR, come:

  • La Funzione di Arousal (AF): si attiva quando materiale ai margini della consapevolezza emerge nel discorso.
  • La Funzione di Simbolizzazione (SF): la capacità di connettere esperienze subsimboliche a immagini e linguaggio e comunicarle efficacemente. Un discorso concreto, specifico, vivido avrà un alto SF.
  • La Funzione di Riflessione/Riorganizzazione (RRF): la capacità di trovare significati personali e insight all’interno della propria narrazione.

Esistono anche misure complementari, come dizionari di parole legate a disfluenze, affetti, sensazioni somatiche. Il software DAAP (Discourse Attribute Analysis Program) applica queste misure a trascrizioni di discorsi, fornendo indici quantitativi e grafici. Ad esempio, una covariazione negativa tra SF e RRF (cioè, quando uno sale l’altro scende, e viceversa) indica un buon processo elaborativo, associato a esiti terapeutici positivi.

Questi strumenti permettono di monitorare graficamente l’andamento delle funzioni del PR in una seduta o in un intero trattamento, rilevando le fasi di arousal, simbolizzazione e riflessione. Questa possibilità non solo è stata ampiamente usata nella ricerca, ma ha anche costruito un ponte tra il mondo della ricerca e quello della pratica clinica. Le misure linguistiche aggiungono un punto di vista “esterno” che complementa quello soggettivo del terapeuta e del paziente.

La Forza del Terzo Sguardo: Ricerca e Clinica si Incontrano

Immaginate di poter analizzare le note del terapeuta, o le trascrizioni delle sedute, e ottenere un feedback su come sta procedendo l’elaborazione emotiva. Questo può aiutare il terapeuta a cogliere trasformazioni incipienti o a focalizzarsi su passaggi che inizialmente potevano sembrare poco significativi. La discussione di casi in supervisione, integrata con l’analisi linguistica, diventa incredibilmente più ricca.

L’uso delle misure linguistiche del PR, quindi, non va inteso come uno strumento di misurazione oggettiva, ma come un timone per navigare nelle relazioni umane, integrando diversi punti di vista, livelli di osservazione e dati da contesti differenti. Forniscono un “terzo sguardo” cruciale tra paziente e terapeuta. Quando diverse prospettive – paziente, terapeuta, misure linguistiche, osservazioni sistematiche – dialogano tra loro, possiamo decidere con maggiore affidabilità quali siano le ipotesi più plausibili sulla realtà terapeutica.

Questo approccio multidimensionale non solo arricchisce la comprensione scientifica, ma migliora anche l’accuratezza e la profondità degli insight clinici. Le misure linguistiche del PR, in questo senso, sono perfettamente allineate con un’epistemologia della complessità: sono flessibili, riflessive, intersoggettive, e mirano a cogliere una conoscenza plausibile e situata, valorizzando l’unicità e i punti di vista soggettivi.

Tre figure stilizzate – un paziente sdraiato, un terapeuta seduto e un ricercatore che osserva un grafico luminoso – che convergono verso un punto centrale che simboleggia la comprensione condivisa. Wide-angle, 10mm, lunga esposizione per creare un senso di connessione dinamica, focus nitido sul punto centrale.

Verso una Comprensione Più Ricca

Adottare un’epistemologia della complessità è, a mio avviso, cruciale quando ci occupiamo della soggettività umana. Riconosce la specificità del suo oggetto di studio, che prende forma e può essere indagato solo attraverso incontri intersoggettivi, adattando metodi, teorie e pratiche. La Teoria dei Codici Multipli si inserisce perfettamente in questo quadro, vedendo la mente come un processo relazionale continuo.

Incorporare le misure linguistiche in questa epistemologia ci fornisce una base solida per comprendere le dinamiche intricate e mutevoli del funzionamento mentale umano. Questa prospettiva mette in luce le dimensioni relazionali, incarnate e multisfaccettate dello scambio terapeutico, arricchendo la nostra capacità di capire i sottili processi di crescita e adattamento psicologico.

In conclusione, utilizzare le misure linguistiche del PR permette a ricercatori e clinici di scavare più a fondo nei meccanismi del cambiamento terapeutico, facilitando lo sviluppo di interventi più incisivi e personalizzati. Non si tratta di trovare la “verità” assoluta, ma di navigare la complessità con strumenti più raffinati, riconoscendo che ogni punto di vista contribuisce con informazioni preziose. E quando questi punti di vista dialogano, la nostra comprensione della complessità umana non può che arricchirsi. E questo, lasciatemelo dire, è dannatamente affascinante.

Fonte: Springer

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