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Milza Sotto Scacco: Un Flusso Sanguigno Ridotto Potrebbe Svelare Fragilità e Sarcopenia negli Anziani Cardiopatici?

Amici lettori, oggi voglio parlarvi di una scoperta che mi ha davvero incuriosito e che potrebbe aprire nuove prospettive nella comprensione di due condizioni che toccano molti dei nostri cari più anziani: la fragilità e la sarcopenia, specialmente in chi già convive con problemi cardiovascolari. Immaginate il nostro corpo come una complessa rete idraulica; se il flusso in alcuni tubi cruciali si riduce, cosa succede? Beh, un team di ricercatori si è posto una domanda simile, concentrandosi su due attori importanti del nostro sistema circolatorio addominale: la vena splenica (quella che drena la milza) e la vena porta (che porta il sangue dall’intestino e dalla milza al fegato).

Vi siete mai chiesti se ci fosse un legame tra come il sangue fluisce in questi distretti e quel senso di debolezza generale, quella perdita di massa muscolare che a volte vediamo negli anziani? Ecco, è proprio quello che hanno cercato di capire!

L’Indagine: Flusso Sanguigno Sotto la Lente

Lo studio ha coinvolto 123 pazienti ambulatoriali, tutti con un’età pari o superiore ai 65 anni (l’età media era di ben 81,6 anni, con un 42,3% di donne) e con diagnosi di malattie cardiovascolari. Questi pazienti frequentavano una clinica specializzata proprio sulla fragilità. Per “fotografare” il flusso sanguigno nella vena splenica e nella vena porta, i ricercatori hanno utilizzato un ecografo di ultima generazione (un EPIQ7 della Philips, per i più tecnici tra voi).

Ma come si misurano fragilità e sarcopenia? Non è semplice come misurare la febbre! Per la fragilità, sono stati usati due sistemi di valutazione: i criteri della versione giapponese del Cardiovascular Health Study (J-CHS) e la Kihon Checklist (KCL). Per la sarcopenia, invece, si sono basati sui criteri dell’Asian Working Group of Sarcopenia del 2019 (AWGS 2019). Giusto per darvi un’idea, la fragilità è stata riscontrata nel 34,2% dei pazienti con i criteri J-CHS e nel 36,9% con la KCL, mentre una sarcopenia severa era presente nel 20,2% dei partecipanti.

Cosa Abbiamo Scoperto? Le Sorprese dalla Milza!

E qui arriva il bello! Secondo i criteri KCL, è emerso che il flusso sanguigno nella vena splenica diminuiva progressivamente con l’aumentare della gravità della fragilità. Parliamo di valori medi che passavano da circa 248 mL/min nei pazienti robusti, a 202 mL/min in quelli con pre-fragilità, fino a scendere a 139 mL/min nei pazienti francamente fragili. Una differenza statisticamente significativa, che faceva esclamare “Eureka!” (o quasi!).

In parole povere, i pazienti considerati fragili avevano un flusso sanguigno nella milza significativamente più basso rispetto a quelli considerati robusti. E questa associazione, pensate un po’, rimaneva solida anche dopo aver “pulito” i dati da altri fattori che potrebbero confondere le acque, come l’età, il sesso, l’indice di massa corporea, l’abitudine al fumo o al bere, il diabete, la dislipidemia, l’ipertensione, la pressione sistolica, la fibrillazione atriale, l’insufficienza cardiaca e precedenti ictus. Insomma, un legame che sembrava proprio esserci!

Ma non è finita qui. Anche i pazienti con sarcopenia mostravano un flusso venoso splenico notevolmente ridotto rispetto a chi non ne soffriva (circa 232 mL/min contro 145 mL/min). Un altro campanello d’allarme che suonava forte e chiaro.

Curiosamente, utilizzando i criteri J-CHS per la fragilità, questa relazione con il flusso splenico non era così evidente nel complesso. Tuttavia, andando a spulciare i singoli componenti dei criteri J-CHS, si è visto che il flusso splenico era ridotto nei pazienti con un basso indice di massa muscolare scheletrica appendicolare (ASMI) – che è una misura della quantità di muscolo nelle braccia e nelle gambe. Invece, non c’erano differenze significative per quanto riguarda la velocità del cammino o la forza della presa, altri due parametri della fragilità.

E la vena porta? Beh, il flusso nella vena porta non sembrava avere un legame significativo né con la fragilità né con la sarcopenia in questo studio. Sembra proprio che la milza, o meglio il suo deflusso venoso, sia la protagonista di questa storia.

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Approfondendo l’analisi, i ricercatori hanno notato che il flusso venoso splenico era significativamente correlato al punteggio KCL (quello che misura la fragilità) e all’ASMI (la massa muscolare), anche indipendentemente da altri fattori come età, sesso e BMI. Anzi, l’analisi di regressione logistica ha suggerito che per ogni aumento di 1 mL/min nel flusso splenico, il rischio di fragilità (secondo KCL), di sarcopenia e di avere un basso ASMI diminuiva leggermente. Piccoli numeri, ma che sommati fanno la differenza!

Ma Perché Proprio la Milza? Ipotesi e Scenari Futuri

Ora, la domanda da un milione di dollari: perché? Perché un ridotto flusso sanguigno nella milza dovrebbe essere associato a queste condizioni? I ricercatori ammettono che i meccanismi precisi non sono ancora chiari, ma avanzano alcune ipotesi affascinanti.

Sappiamo che l’insufficienza cardiaca congestizia è spesso accompagnata da sarcopenia. La fragilità e la sarcopenia potrebbero derivare da un metabolismo energetico anomalo e da disfunzioni mitocondriali. Si parla anche di risposte cataboliche (cioè di “distruzione” muscolare) e di insulino-resistenza. La malnutrizione, poi, potrebbe essere esacerbata da citochine infiammatorie che tolgono l’appetito. La sarcopenia, in questo contesto, può evolvere in cachessia, una condizione di deperimento estremo con prognosi infausta.

Il flusso sanguigno agli organi viscerali, come la milza, potrebbe giocare un ruolo cruciale nella patogenesi della malnutrizione, della fragilità e della sarcopenia nei pazienti con malattie cardiovascolari. La milza, ad esempio, è coinvolta nelle risposte immunitarie e il numero di linfociti (prodotti anche lì) è un marcatore dello stato nutrizionale. Esiste persino il concetto di un “asse cardio-splenico“: un’aumentata attività metabolica della milza dopo un infarto, per esempio, è stata associata a un rimodellamento pro-infiammatorio dei leucociti circolanti e a un maggior rischio di futuri eventi cardiovascolari. Forse, un ridotto flusso splenico potrebbe influenzare queste dinamiche complesse.

Nello studio, si è visto che la riduzione del flusso venoso splenico era correlata a una minore gittata sistolica del ventricolo sinistro (cioè il cuore pompava meno sangue ad ogni battito) e a un diametro maggiore della vena cava inferiore in fase inspiratoria (che può essere un segno di congestione). Questo suggerisce che una ridotta funzione cardiaca potrebbe, a sua volta, portare a un minor afflusso di sangue (e quindi deflusso) alla milza, innescando o peggiorando la fragilità e la sarcopenia, magari anche attraverso un impatto sulla nutrizione.

È interessante notare che il flusso della vena porta, pur non essendo direttamente legato alla fragilità o alla sarcopenia in generale, era correlato al CONUT score (un indice di malnutrizione) e, in particolare, il diametro della vena porta e l’indice di congestione portale erano minori nei pazienti con basso ASMI. Questo suggerisce che anche il sistema portale ha le sue complessità e potrebbe essere coinvolto in modi diversi, magari più legati direttamente allo stato nutrizionale.

Un Passo Avanti, Ma la Strada è Ancora Lunga

Certo, come ogni studio, anche questo ha i suoi limiti. Innanzitutto, è uno studio trasversale (cross-sectional), il che significa che è come una fotografia scattata in un preciso momento: ci mostra delle associazioni, ma non può stabilire un rapporto di causa-effetto. Non possiamo dire con certezza se sia il ridotto flusso splenico a causare fragilità e sarcopenia, o se queste condizioni (magari per via dell’impatto sulla funzione cardiaca generale) portino a una riduzione del flusso. È un po’ il dilemma dell’uovo e della gallina!

Inoltre, la dimensione del campione, 123 pazienti, è relativamente piccola. Sarebbe fantastico vedere questi risultati confermati in studi più ampi. E poi, il diametro della vena splenica potrebbe essere semplicemente minore in persone più piccole di corporatura, un fattore da considerare.

Serviranno ulteriori ricerche per capire se un ridotto flusso splenico possa essere un vero e proprio fattore di rischio per lo sviluppo di sarcopenia e fragilità, e magari se interventi mirati a migliorare la circolazione viscerale possano avere un impatto positivo.

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In Conclusione: Un Nuovo Indizio nel Puzzle della Fragilità

Nonostante i punti interrogativi ancora aperti, trovo che questo studio sia davvero stimolante. Ci dice che, in pazienti anziani con malattie cardiovascolari (come ipertensione, fibrillazione atriale e/o insufficienza cardiaca), un flusso sanguigno ridotto nella vena splenica è una caratteristica osservata in chi soffre di fragilità (valutata con i criteri KCL), di sarcopenia e in chi ha una ridotta massa muscolare (basso ASMI) e una ridotta forza di presa.

Questa riduzione del flusso splenico sembra legata a una minore capacità di pompa del cuore e a segni di congestione venosa. È come se la milza, attraverso il suo “respiro” circolatorio, ci stesse inviando segnali importanti sulla salute generale dell’organismo, in particolare sulla sua robustezza e sulla sua massa muscolare.

Questi risultati suggeriscono che il ridotto afflusso di sangue a un organo viscerale come la milza potrebbe giocare un ruolo nella complessa cascata di eventi che porta alla fragilità e alla sarcopenia negli anziani cardiopatici. Un tassello in più in un puzzle complicato, che ci spinge a guardare il nostro corpo con occhi sempre nuovi e a non sottovalutare nessun segnale, nemmeno quello proveniente da un organo a volte dimenticato come la nostra milza!

Chissà, forse un giorno l’ecografia del flusso splenico diventerà uno strumento di routine per identificare precocemente i pazienti a rischio e per monitorare l’efficacia delle strategie preventive o terapeutiche. Staremo a vedere cosa ci riserverà il futuro della ricerca!

Fonte: Springer

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