Fotografia paesaggistica di un fiordo artico (Kongsfjorden, Svalbard), obiettivo grandangolare 15mm, lunga esposizione per acqua liscia, messa a fuoco nitida, con un ghiacciaio marino che si ritira sullo sfondo e pennacchi di sedimento visibili nell'acqua turchese sotto un cielo artico luminoso ma nuvoloso.

Fiordi Artici: Un Viaggio di 14.000 Anni nel Cuore del Cambiamento Climatico

Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio incredibile, non nello spazio, ma nel tempo. Andremo indietro di ben 14.000 anni per esplorare come un angolo remoto e affascinante del nostro pianeta, un fiordo artico, ha risposto ai grandi sconvolgimenti climatici del passato. Perché dovremmo farlo? Perché capire come questi ecosistemi si sono adattati allo scioglimento dei ghiacci millenni fa può darci indizi preziosi su cosa aspettarci nel nostro futuro, un futuro in cui l’Artico si sta scaldando a velocità doppia rispetto al resto del globo.

L’Artico, come sapete, è l’epicentro del cambiamento climatico. Ghiaccio marino che scompare a vista d’occhio, ghiacciai che si ritirano senza sosta… è uno scenario drammatico. Ma come reagisce la vita marina a tutto questo? Come cambiano i cicli del carbonio, fondamentali per il clima globale, quando la criosfera (tutto ciò che è ghiaccio) si scioglie? Sono domande cruciali, e per rispondere abbiamo deciso di guardare… nel fango!

I Segreti Nascosti nei Sedimenti del Fiordo

Proprio così. I fondali dei fiordi artici sono come archivi geologici ad altissima risoluzione. Conservano strato dopo strato la storia dell’ambiente circostante. Nello specifico, siamo andati a “leggere” i sedimenti del Kongsfjorden, un fiordo spettacolare nelle isole Svalbard, in Norvegia. Immaginate questo luogo: acque fredde, imponenti ghiacciai che si tuffano nel mare, e una vita marina che lotta e si adatta.

Come abbiamo fatto a leggere questa storia? Abbiamo usato degli strumenti potentissimi: i biomarcatori geochimici organici. Sembra complicato, ma pensateli come delle “firme chimiche” lasciate da diversi tipi di organismi planctonici. Analizzando queste molecole nei sedimenti, possiamo capire quali gruppi di fitoplancton dominavano in diverse epoche, se c’era molto ghiaccio marino, se le acque erano più calde o più fredde, e persino stimare la produttività biologica.

Abbiamo analizzato una serie di questi biomarcatori:

  • IP25 e HBI III: Ci parlano della presenza e del tipo di ghiaccio marino (il primo indica ghiaccio stagionale, il secondo acque libere vicino al ghiaccio, la cosiddetta zona marginale).
  • Alchenoni (C37:2+3 e %C37:4): Il primo gruppo indica la presenza di alghe coccolitoforidi (un tipo di fitoplancton), mentre la percentuale del secondo tipo ci dà un’altra misura della copertura glaciale.
  • Steroli (Brassicasterolo, Dinosterolo, 24-metilencolesterolo): Ognuno è associato a gruppi specifici: diatomee (le “centrali elettriche” dell’oceano), dinoflagellati (spesso associati a fioriture estive) e diatomee legate al ghiaccio marino o a particolari condizioni dell’acqua.
  • Calcite biogenica: Ci indica la presenza di organismi con gusci calcarei, come alcuni tipi di zooplancton o organismi bentonici (che vivono sul fondo).

Mettendo insieme tutti questi indizi, come in un’indagine scientifica, abbiamo ricostruito la storia ecologica del Kongsfjorden negli ultimi 14 millenni.

Fotografia paesaggistica di un fiordo artico (Kongsfjorden, Svalbard), obiettivo grandangolare 15mm, lunga esposizione per acqua liscia, messa a fuoco nitida, con un ghiacciaio marino che si ritira sullo sfondo e pennacchi di sedimento visibili nell'acqua turchese sotto un cielo artico luminoso ma nuvoloso.

Un Ecosistema in Continuo Mutamento: Dal Freddo Glaciale al Caldo Olocenico

Partiamo dal periodo più freddo, il Dryas Recente (circa 12.900-11.700 anni fa). Qui, i nostri dati mostrano un picco di IP25 e bassi livelli degli altri biomarcatori. Tradotto: il fiordo era coperto da ghiaccio marino per gran parte dell’anno e la produttività biologica era molto limitata. Un mondo quasi congelato, vicino al fronte di un ghiacciaio imponente.

Poi, arriva il cambiamento. Alla fine del Dryas Recente, le temperature iniziano a salire rapidamente. I ghiacciai iniziano a ritirarsi, rilasciando enormi quantità di nutrienti nell’acqua. Ed ecco che l’ecosistema esplode! Vediamo un aumento incredibile di HBI III (indicando condizioni di ghiaccio marginale), dinosterolo e brassicasterolo. È un’esplosione di vita, soprattutto diatomee e dinoflagellati, che approfittano di questa “fertilizzazione” glaciale. Curiosamente, l’IP25 scompare quasi del tutto, forse per un limite di rilevamento o perché le condizioni specifiche del ghiaccio non favorivano proprio quel tipo di diatomea. È un piccolo mistero che stiamo ancora studiando, ma il quadro generale è chiaro: lo scioglimento iniziale ha dato una sferzata di vita al fiordo.

Arriviamo poi all’Optimum Climatico dell’Olocene (HTM, circa 10.000-6.000 anni fa), un periodo in cui faceva più caldo di oggi, anche alle Svalbard. Cosa succede? Il ghiaccio marino si riduce ulteriormente (meno %C37:4 e 24-metilencolesterolo). La produttività di diatomee e dinoflagellati rimane alta, ma notiamo un picco molto interessante nella calcite biogenica. Questo suggerisce che, nonostante le condizioni favorevoli per il fitoplancton, c’era anche una forte pressione da parte degli organismi “pascolatori” (zooplancton) e di quelli bentonici. Immaginate un prato rigoglioso (il fitoplancton) ma anche tante mucche che lo brucano (lo zooplancton e il benthos).

Microfotografia di fitoplancton artico (diatomee e dinoflagellati), obiettivo macro 100mm, alta definizione, illuminazione precisa per mostrare le delicate strutture cellulari in un campione d'acqua.

Questo periodo caldo è particolarmente interessante perché potrebbe essere un analogo del nostro futuro “Artico blu”, senza ghiaccio estivo. I nostri dati suggeriscono che, anche se la produttività primaria in superficie poteva essere alta, le acque più calde e stratificate (cioè con meno rimescolamento verticale) potrebbero aver limitato l’apporto di nutrienti dal profondo. Inoltre, l’intensa attività degli organismi calcarei potrebbe aver significato che gran parte del carbonio prodotto in superficie veniva consumato e riciclato prima di poter essere sepolto nei sedimenti. In altre parole, un Artico più caldo non significa necessariamente un Artico più efficiente nel sequestrare carbonio dall’atmosfera.

Il Ritorno del Freddo e le Implicazioni per il Futuro

Dopo l’HTM, il clima globale inizia a raffreddarsi di nuovo durante la Neoglaciazione (da circa 6.000-5.000 anni fa). Nel Kongsfjorden, questo significa il ritorno di acque più fredde, coperte stagionalmente da ghiaccio marino (aumentano %C37:4 e 24-metilencolesterolo). I ghiacciai riprendono ad avanzare, anche se in modo diverso rispetto al passato. Si ristabilisce un ciclo simile a quello odierno, con fioriture primaverili dominate prima dalle diatomee (brassicasterolo) e poi, progressivamente, da alghe prymnesiophytes (indicate dagli alchenoni C37).

Questo passaggio verso le prymnesiophytes, come l’alga Phaeocystis, è qualcosa che osserviamo anche oggi quando nel fiordo entrano masse d’acqua atlantica più calda e c’è meno ghiaccio. E qui c’è un altro punto cruciale: queste fioriture di Phaeocystis sembrano essere meno efficienti nel trasferire carbonio verso il fondo marino rispetto alle fioriture di diatomee. Il carbonio viene riciclato di più in superficie.

Cosa ci insegna tutto questo per il futuro? Il nostro viaggio nel passato del Kongsfjorden ci dice che la risposta degli ecosistemi artici allo scioglimento dei ghiacci è complessa e non lineare.

  • Fase iniziale di scioglimento (come alla fine del Dryas Recente): Può esserci un boom di produttività e un efficiente trasferimento di carbonio verso i fondali, specialmente vicino ai ghiacciai in ritirata che rilasciano nutrienti e sedimento (che aiuta a “zavorrare” la materia organica). I fiordi possono agire come “hotspot” di sequestro del carbonio.
  • Fase “Artico Blu” (come durante l’HTM e come si prospetta per il futuro): Anche se la produttività superficiale potrebbe aumentare con l’assenza di ghiaccio, la stratificazione delle acque (dovuta al riscaldamento e all’apporto di acqua dolce) e l’esaurimento dei nutrienti (una volta che i ghiacciai terrestri saranno scomparsi) potrebbero limitare la produzione totale. Inoltre, cambiamenti nella comunità planctonica (verso specie più piccole o meno “esportabili”) e un aumento del “pascolo” potrebbero ridurre drasticamente l’efficienza con cui il carbonio viene sepolto nei sedimenti.

Fotografia d'azione di un pezzo di ghiaccio che si stacca da un fronte glaciale in un fiordo artico, teleobiettivo 300mm, alta velocità dell'otturatore per congelare il movimento dell'acqua e del ghiaccio che cade, tracciamento del movimento.

In sintesi, mentre oggi i fiordi artici in fase di deglaciazione possono essere importanti pozzi di carbonio, il nostro studio suggerisce che questa loro funzione potrebbe indebolirsi significativamente in un futuro Artico più caldo e senza ghiacciai. Capire queste dinamiche passate è fondamentale per prevedere come l’intero sistema artico, e di conseguenza il clima globale, risponderà ai cambiamenti senza precedenti che stiamo vivendo. È una storia scritta nei sedimenti, una storia che dobbiamo ascoltare attentamente.

Fonte: Springer

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