Fine Vita in Svizzera: Direttive Anticipate e Suicidio Assistito, un Legame Inaspettato?
Parliamoci chiaro: pensare alla fine della nostra vita non è esattamente l’argomento più allegro del mondo. Eppure, prima o poi, è una riflessione che tocca a molti di noi, specialmente quando l’età avanza o la salute inizia a fare qualche capriccio. In Svizzera, come in altri posti, ci sono strumenti e opzioni che permettono di avere un po’ più di controllo su come vorremmo che andassero le cose, anche quando non saremo più in grado di esprimerci. Due di questi strumenti, spesso discussi ma forse non sempre collegati nella mente delle persone, sono le Direttive Anticipate (DA) e il Suicidio Assistito (SA). Recentemente, uno studio affascinante condotto proprio qui, nella nostra Svizzera, ha gettato nuova luce sul rapporto tra queste due scelte, e i risultati, ve lo dico, fanno riflettere. Mi ha incuriosito molto capire cosa ne pensano davvero gli svizzeri più anziani.
Ma Cosa Sono Esattamente le Direttive Anticipate?
Immaginate le Direttive Anticipate (o testamento biologico, come a volte viene chiamato) come una sorta di “mappa” per il futuro delle vostre cure mediche. Sono documenti scritti in cui una persona, in piena capacità di intendere e volere, specifica quali trattamenti medici desidera ricevere o rifiutare nel caso in cui, un domani, non fosse più in grado di comunicare le proprie decisioni. Si può anche nominare un “rappresentante terapeutico”, una persona di fiducia che prenderà le decisioni al posto nostro, seguendo le nostre indicazioni. L’obiettivo? Garantire che la nostra autonomia sia rispettata fino all’ultimo, che le cure siano in linea con i nostri valori e desideri, anche nei momenti più difficili. In Svizzera, dal 2013 c’è una regolamentazione federale, anche se le modalità per redigerle possono variare.
E il Suicidio Assistito in Svizzera?
Qui entriamo in un campo ancora più delicato. A differenza dell’eutanasia (che in Svizzera è vietata), il Suicidio Assistito è permesso a determinate condizioni. Significa che una persona può scegliere di porre fine alla propria vita autosomministrandosi un farmaco letale, prescritto da un medico dopo attente valutazioni. Esistono organizzazioni specifiche, spesso chiamate “per il diritto a morire”, che forniscono supporto in questo percorso: aiutano a raccogliere la documentazione medica, ottengono la prescrizione, verificano che tutti i criteri legali siano rispettati e accompagnano la persona nel momento finale. È un’opzione che, negli ultimi decenni, ha visto crescere l’interesse e le richieste, non solo qui ma anche all’estero.
Lo Studio Svizzero: Cosa Abbiamo Scoperto Davvero?
Ed eccoci al cuore della questione. Lo studio, basato sui dati raccolti tra il 2019 e il 2020 dall’indagine europea SHARE (Survey on Health, Ageing, and Retirement in Europe) su oltre 1500 svizzeri dai 58 anni in su, ha rivelato dati piuttosto sorprendenti.
- Ben il 42% degli intervistati aveva già compilato le proprie Direttive Anticipate. Un numero non da poco!
- L’81% si è dichiarato favorevole alla legalità del Suicidio Assistito così com’è attualmente regolamentato in Svizzera. Un consenso larghissimo.
- Il 63% ha ammesso di poter considerare, in determinate circostanze, di chiedere il Suicidio Assistito per sé.
- Il 9% era membro di un’associazione per il diritto a morire.
Ma il dato più eclatante è un altro: c’è una forte correlazione tra aver redatto le Direttive Anticipate e avere un atteggiamento positivo verso il Suicidio Assistito. Chi ha messo nero su bianco le proprie volontà per le cure future è significativamente più propenso a:
- Supportare la legalità del SA (p<0.001).
- Considerarlo come opzione per sé (p<0.001).
- Essere membro di un’organizzazione per il diritto a morire (p<0.001).
Pensate che tra i membri di queste organizzazioni, quasi 9 su 10 (l’89%) avevano compilato anche le Direttive Anticipate! Insomma, non sembrano essere due percorsi separati, ma due facce della stessa medaglia: il desiderio di avere controllo sul proprio fine vita.

Perché Questo Legame Così Stretto?
La parola chiave, come accennavo, sembra essere proprio autonomia e autodeterminazione. Chi si preoccupa di scrivere le Direttive Anticipate lo fa, spesso, perché vuole mantenere il controllo sulle proprie cure, vuole che la propria voce sia ascoltata anche quando non potrà più parlare. Allo stesso modo, chi supporta o considera il Suicidio Assistito esprime un forte desiderio di poter decidere come e quando concludere la propria esistenza, specialmente di fronte a sofferenze ritenute insopportabili o a una perdita totale di dignità. Entrambe le scelte, quindi, possono nascere dalla stessa spinta: non voler subire passivamente gli eventi, ma essere protagonisti delle proprie decisioni fino alla fine.
Lo studio ha anche analizzato altri fattori. Curiosamente, le persone sopra i 75 anni sono *meno* propense a considerare il SA rispetto alla fascia 58-64 anni. Forse con l’età cambiano le priorità, si dà più valore ad aspetti come la famiglia o la spiritualità? O forse è un effetto generazionale? Interessante anche notare che, contrariamente ad altri studi, avere un partner sembra *aumentare* la propensione a considerare il SA, forse per il timore di diventare un peso. Anche il livello di istruzione e una migliore percezione della propria salute sembrano associati a un maggior supporto per il SA. E, come prevedibile, ci sono differenze culturali: chi parla italiano è risultato meno favorevole rispetto a chi parla tedesco.
Una Strada a Doppio Senso?
C’è da chiedersi: cosa viene prima? È la riflessione sulle Direttive Anticipate che porta a considerare anche il Suicidio Assistito come opzione estrema di controllo? Oppure è l’interesse verso il Suicidio Assistito, magari manifestato con l’iscrizione a un’organizzazione specifica, che spinge poi a “mettersi in regola” anche con le Direttive Anticipate? Lo studio suggerisce che entrambe le direzioni sono possibili. Fino a qualche anno fa, alcune organizzazioni per il diritto a morire fornivano direttamente ai propri membri dei moduli per le DA, il che potrebbe spiegare l’altissima percentuale di completamento tra loro. Potrebbe essere visto come una sorta di “doppia sicurezza”: mi iscrivo all’associazione e compilo le DA, nel caso perdessi la capacità di decidere prima di poter eventualmente ricorrere al SA.

Cosa Significa Tutto Questo per Noi e per le Cure?
Questi risultati non sono solo numeri, ma ci dicono qualcosa di importante su come le persone anziane in Svizzera vedono il fine vita e le opzioni disponibili. Ci dicono che il desiderio di controllo è forte e che, per molti, Direttive Anticipate e Suicidio Assistito non sono mondi separati. Questo ha implicazioni concrete.
Innanzitutto, nella Pianificazione Anticipata delle Cure (ACP), quel processo di dialogo tra paziente, familiari e medici per definire le preferenze future, forse dovremmo iniziare a considerare questi due aspetti in modo più integrato. Se una persona esprime interesse per le DA, potrebbe avere domande o riflessioni anche sul SA, e viceversa. È fondamentale che i medici e gli operatori sanitari siano preparati ad affrontare queste discussioni in modo aperto, informato ed empatico, senza giudizi. Si tratta di capire a fondo i desideri e le paure della persona, chiarendo dubbi e magari sfatando qualche mito.
In Paesi come Belgio e Olanda, ad esempio, è già possibile includere nelle Direttive Anticipate riferimenti specifici all’eutanasia o al suicidio assistito. Qui in Svizzera, le due procedure restano formalmente distinte, ma questo studio suggerisce che nella mente e nelle intenzioni delle persone potrebbero essere più vicine di quanto pensiamo. Forse è ora di riflettere se un approccio più convergente possa meglio rispondere al bisogno di autodeterminazione dei cittadini, pur con tutte le cautele etiche del caso.
Certo, lo studio ha i suoi limiti: le domande potrebbero non cogliere tutte le sfumature, e non si possono stabilire rapporti di causa-effetto certi. Ma la fotografia che emerge è chiara: in Svizzera, una parte significativa della popolazione anziana desidera avere voce in capitolo sul proprio fine vita, e vede sia le Direttive Anticipate sia il Suicidio Assistito come strumenti potenziali per esercitare questo diritto. Ignorare questo legame sarebbe come chiudere gli occhi di fronte a un’esigenza crescente di dialogo e di rispetto per le scelte individuali. È un invito a parlarne di più, a informarci meglio e a garantire che le cure di fine vita siano davvero centrate sulla persona.

Fonte: Springer
