Vista microscopica di tessuto polmonare umano che mostra cicatrici fibrotiche, lente macro, 100mm, alto dettaglio, messa a fuoco precisa, illuminazione controllata, rappresentante la ricerca sulla fibrosi polmonare idiopatica.

Fibrosi Polmonare Idiopatica: Decifriamo il Codice m6A e Puntiamo al Bersaglio WTAP

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta particolarmente a cuore e che rappresenta una delle sfide più complesse della medicina moderna: la Fibrosi Polmonare Idiopatica, o IPF. Immaginate un nemico subdolo che, senza una causa apparente, inizia a cicatrizzare i nostri polmoni, rendendo il respiro sempre più difficile. È una malattia progressiva, cronica e, purtroppo, irreversibile. Capirete bene quanto sia frustrante per noi ricercatori e medici non avere ancora una cura definitiva, nonostante i passi avanti fatti con farmaci come pirfenidone e nintedanib, che possono rallentarne la corsa ma non fermarla.

Ecco perché la ricerca non si ferma mai. Siamo costantemente alla caccia di nuovi indizi, di meccanismi nascosti che possano spiegarci *perché* l’IPF insorge e come possiamo contrastarla efficacemente. E qui entra in gioco un campo affascinante: l’epigenetica, e in particolare una modifica chimica dell’RNA chiamata N6-metiladenosina, o più semplicemente m6A.

Cos’è questa m6A e perché ci interessa per l’IPF?

Pensate all’RNA messaggero (mRNA) come a un foglietto di istruzioni che porta il codice genetico dal DNA alle “fabbriche” cellulari (i ribosomi) per produrre proteine. La modifica m6A è come un piccolo “post-it” chimico che viene attaccato a questo foglietto. Questo post-it può influenzare tantissimo la vita dell’mRNA: dove va, quanto dura, quanto viene letto. È un meccanismo di regolazione finissimo che, se funziona male, può contribuire a un sacco di guai, inclusi tumori, malattie neurologiche e, come stiamo scoprendo, anche le fibrosi.

Già sapevamo che l’m6A è coinvolta nella fibrosi di altri organi, come cuore, fegato e reni. Alcuni studi suggerivano che i cosiddetti “scrittori” di m6A (enzimi che attaccano il post-it, come METTL3, METTL14 e WTAP) potessero rendere più stabili gli mRNA dei geni pro-fibrotici, favorendo quindi la malattia. Ma il suo ruolo preciso nell’IPF era ancora tutto da esplorare. E poi c’è l’infiammazione, un altro attore chiave nell’IPF, che porta al rilascio di sostanze che fanno proliferare i fibroblasti (le cellule responsabili delle cicatrici) e depositare matrice extracellulare. Anche qui, l’m6A sembra metterci lo zampino, influenzando vie di segnalazione infiammatorie cruciali come quella del TGF-β o del NF-κB. Insomma, c’erano tutti gli indizi per pensare che l’m6A potesse essere un pezzo importante del puzzle IPF.

Svelare il panorama m6A nell’IPF: Cosa abbiamo scoperto?

Per vederci più chiaro, ci siamo tuffati nell’analisi di dati pubblici, in particolare il dataset GSE93606 dal database GEO, che conteneva informazioni genetiche di 154 pazienti con IPF e 20 controlli sani. Abbiamo cercato specificamente i geni che regolano l’m6A – gli “scrittori” che la mettono, i “lettori” che la interpretano e i “cancellatori” che la tolgono. Ne abbiamo identificati ben 26!

Analizzando le differenze tra pazienti IPF e controlli, abbiamo visto che 16 di questi regolatori avevano livelli di espressione significativamente diversi. In particolare, due “lettori”, IGFBP2 e YTHDF2, erano sovraespressi nei pazienti IPF, mentre molti altri, inclusi scrittori come METTL3, METTL16, WTAP e cancellatori come FTO, erano diminuiti. Questo già ci diceva che il sistema di regolazione m6A è decisamente perturbato nell’IPF. Abbiamo anche visualizzato dove si trovano questi geni sui nostri cromosomi, per avere un quadro completo.

Rappresentazione astratta della metilazione dell'RNA con marcatori luminosi su un filamento di mRNA, lente macro, 85mm, alto dettaglio, illuminazione controllata, simboleggiante la ricerca epigenetica come la modificazione m6A.

Abbiamo poi studiato le correlazioni tra questi regolatori. È emerso un quadro complesso di interazioni: ad esempio, FTO (un cancellatore) era positivamente correlato con diversi altri regolatori (ELAVL1, LRPPRC, RBMX, METTL3, METTL16), e WTAP (uno scrittore) era correlato positivamente con alcuni lettori (HNRNPC, HNRNPA2B1, YTHDC1). Questo suggerisce che questi regolatori non agiscono da soli, ma fanno parte di una rete intricata.

Possiamo predire l’IPF guardando all’m6A? I modelli predittivi

Avere identificato queste differenze è interessante, ma la domanda successiva è: possiamo usare queste informazioni per qualcosa di pratico, come predire il rischio di sviluppare IPF? Per rispondere, abbiamo usato due potenti strumenti di machine learning: il Random Forest (RF) e la Support Vector Machine (SVM). Abbiamo “addestrato” questi modelli usando i dati di espressione dei 26 regolatori m6A per distinguere tra pazienti IPF e controlli.

Il modello RF si è rivelato più accurato. Analizzando l’importanza dei vari geni nel modello RF, abbiamo identificato i 5 regolatori m6A più predittivi: FTO, HNRNPA2B1, WTAP, YTHDC1 e ZC3H13. Questi cinque “moschettieri” sembrano avere un ruolo particolarmente cruciale.

Sulla base di questi 5 geni, abbiamo costruito un nomogramma. Cos’è? È uno strumento grafico, una specie di “calcolatore” visivo, che permette di stimare la probabilità di avere l’IPF basandosi sui livelli di espressione di questi 5 geni. Abbiamo verificato la sua accuratezza con curve di calibrazione e analisi della curva decisionale (DCA), e i risultati sono stati molto incoraggianti: il nomogramma sembra essere affidabile e potenzialmente utile nella pratica clinica per valutare il rischio dei pazienti.

Primo piano di un complesso grafico di visualizzazione dati luminoso su uno schermo di computer futuristico in un laboratorio scarsamente illuminato, lente prime, 35mm, profondità di campo, rappresentante la modellazione predittiva nella ricerca medica.

Due volti dell’IPF: I pattern di modificazione m6A

Ma non ci siamo fermati qui. Abbiamo pensato: e se non tutti i pazienti IPF fossero uguali dal punto de vista della regolazione m6A? Usando una tecnica chiamata clustering di consenso basata sui 16 regolatori significativi, abbiamo effettivamente scoperto che i pazienti IPF potevano essere divisi in due sottogruppi distinti, che abbiamo chiamato m6Acluster A e m6Acluster B.

Questi due cluster mostravano profili di espressione dei regolatori m6A molto diversi. Ad esempio, nel cluster A c’era una maggiore espressione di molti regolatori (METTL3, WTAP, FTO, ecc.), mentre nel cluster B spiccava IGFBP2. Questa divisione non era casuale: l’analisi delle componenti principali (PCA) confermava che i due gruppi erano ben separati sulla base dei regolatori m6A.

Abbiamo poi cercato i geni la cui espressione differiva maggiormente tra i due cluster (i cosiddetti DEGs, Differentially Expressed Genes) e che fossero legati all’m6A. Ne abbiamo trovati 11. L’analisi funzionale (GO e KEGG) di questi geni ha rivelato che erano coinvolti principalmente in funzioni immunitarie, come l’attività dei recettori immunitari, il legame delle citochine e la regolazione della crescita cellulare. La via più significativa era quella dell’interazione citochina-recettore citochinico. Questo suggeriva che i due pattern m6A fossero legati a profili immunitari diversi.

Il legame cruciale con l’immunità

Approfondendo il legame con il sistema immunitario, abbiamo usato un metodo chiamato ssGSEA per stimare l’abbondanza di diversi tipi di cellule immunitarie nei campioni IPF. Abbiamo trovato correlazioni interessanti: la maggior parte dei regolatori m6A (tranne IGFBP2 e YTHDF2) erano correlati negativamente con cellule dell’immunità innata (come macrofagi, neutrofili, mastociti) e cellule T helper 17, ma positivamente con cellule dell’immunità adattativa (linfociti B e T CD8 attivati).

In particolare, i pazienti con alta espressione di WTAP e FTO mostravano una maggiore infiltrazione di cellule immunitarie adattative e minore di quelle innate. Confrontando i due cluster m6A, abbiamo visto che il cluster A era associato all’immunità adattativa, mentre il cluster B era più legato all’immunità innata, alle cellule T helper 17 e alle cellule T regolatorie (Treg). Questo è importante, perché un certo tipo di risposta immunitaria (quella Th17) è spesso associata a processi fibrotici.

Rendering fotorealistico di diversi tipi di cellule immunitarie (macrofagi, cellule T) che interagiscono all'interno del tessuto polmonare, lente macro, 100mm, alto dettaglio, messa a fuoco precisa, illustrante l'infiltrazione immunitaria nell'IPF.

Per confermare questi pattern, abbiamo ripetuto il clustering usando gli 11 geni differenziali legati all’m6A, trovando di nuovo due gruppi (geneCluster A e geneCluster B) che corrispondevano ampiamente ai cluster m6A. Abbiamo anche calcolato un “m6A score” per quantificare il pattern di ogni paziente: il cluster B (sia m6A che geneCluster) aveva uno score significativamente più alto, e questo score era correlato positivamente con l’infiltrazione immunitaria e sembrava aumentare con la gravità della fibrosi.

Cosa significano questi pattern per la malattia?

Abbiamo cercato di capire se questi pattern m6A fossero collegati ad aspetti chiave della patologia IPF.

  • Citochine: Nel cluster B (quello con m6A score più alto e legato all’immunità Th17/innata), abbiamo trovato livelli più alti di citochine pro-fibrotiche come IL-27 e IL-18, e livelli più bassi di altre come IL-15, IL-6 e TNF-α, rispetto al cluster A. Questo rafforza l’idea che il pattern B sia associato a un ambiente più pro-fibrotico.
  • Transizione Epitelio-Mesenchimale (EMT): L’EMT è un processo cruciale nella fibrosi, in cui le cellule epiteliali perdono le loro caratteristiche e ne acquisiscono di mesenchimali (simili a quelle dei fibroblasti). Nel cluster B, abbiamo osservato una minore espressione di marcatori epiteliali (CTNNB1, DSP) e una maggiore espressione di marcatori mesenchimali (MMP9, ZEB1, CDH2, CDH1). Anche questo collega il pattern B alle caratteristiche più aggressive dell’IPF.
  • Geni bersaglio di terapie: Avevamo precedentemente identificato, tramite network pharmacology, alcuni geni chiave potenzialmente coinvolti nell’effetto terapeutico di un rimedio tradizionale (Yupingfeng) sulla fibrosi polmonare. Abbiamo verificato l’espressione di questi geni nei nostri cluster: alcuni (come TP63, AKR1C3) erano meno espressi nel cluster B, mentre altri (CYP1B1, PLAU, PTGS2, SPP1) erano più espressi, in linea con le nostre precedenti scoperte e con un profilo più fibrotico nel cluster B.

Tutto questo converge nel suggerire che i pattern di modificazione m6A non sono solo una curiosità molecolare, ma riflettono differenze biologiche profonde tra i pazienti IPF, legate all’immunità, all’EMT e alla gravità della malattia.

Riflettori puntati su WTAP: Un potenziale protettore e bersaglio?

Tra i 5 regolatori chiave identificati dal nostro modello predittivo, WTAP ha attirato particolarmente la nostra attenzione. Ricordate che nei dati dei pazienti IPF, WTAP era generalmente meno espresso rispetto ai controlli. Per capire meglio il suo ruolo, siamo passati dal computer al bancone del laboratorio.

Abbiamo usato cellule polmonari umane (MRC-5) e le abbiamo trattate con bleomicina (BLM), una sostanza che induce un danno simile a quello dell’IPF. In queste cellule “fibrotiche”, abbiamo osservato proprio quello che avevamo visto nei pazienti: i livelli di RNA di WTAP (e anche di FTO, HNRNPA2B1, ZC3H13) diminuivano significativamente, mentre aumentava il marcatore di fibrosi α-SMA. L’analisi delle proteine ha confermato una netta diminuzione della proteina WTAP.

Rendering 3D della struttura della proteina WTAP con una piccola molecola di farmaco ancorata nel suo sito attivo, lente macro, 90mm, alto dettaglio, messa a fuoco precisa, illuminazione controllata, rappresentante il docking molecolare per la scoperta di farmaci.

Questo suggerisce che WTAP potrebbe avere un ruolo protettivo: la sua diminuzione sembra accompagnare (o forse favorire?) lo sviluppo della fibrosi. Se così fosse, WTAP potrebbe diventare un interessante bersaglio terapeutico. Potremmo cercare farmaci che ne ripristinino i livelli o la funzione?

Per esplorare questa possibilità, abbiamo fatto un passo ulteriore: uno screening virtuale. Abbiamo preso la struttura 3D della proteina WTAP (dal database PDB) e abbiamo usato simulazioni al computer (docking molecolare) per cercare, in un database di composti naturali (YaTCM), molecole che potessero legarsi a WTAP in modo efficace. Dopo vari passaggi di filtraggio (basati su proprietà farmacologiche predette e affinità di legame), abbiamo identificato 5 composti promettenti (GA17, Acido Chebulico, Acido 4,8-Dimetossi-7-idrossi-2-osso-2H-1-benzopiran-5,6-dicarbossilico, Acido 7-Idrossi eucommico, Acido Saccarico) che sembrano legarsi bene a WTAP. Questi sono candidati iniziali, ovviamente da validare sperimentalmente, ma aprono una strada intrigante per lo sviluppo di nuovi farmaci mirati.

Scienziato che pipetta liquido in una piastra multi-pozzetto contenente colture cellulari sotto una cappa sterile in un laboratorio moderno, lente prime, 50mm, profondità di campo, focalizzato sulla punta della pipetta e sui pozzetti, rappresentante esperimenti in vitro.

Cosa ci portiamo a casa e dove andiamo ora?

Questo viaggio nel mondo dell’m6A e dell’IPF ci ha regalato diverse perle:

  • Abbiamo confermato che la regolazione dell’m6A è significativamente alterata nell’IPF.
  • Abbiamo sviluppato un modello predittivo basato su 5 regolatori m6A (FTO, HNRNPA2B1, WTAP, YTHDC1, ZC3H13) e un nomogramma che potrebbero aiutare a identificare i pazienti a rischio.
  • Abbiamo scoperto due distinti pattern di m6A (cluster A e B) nei pazienti IPF, con il cluster B associato a un profilo immunitario pro-fibrotico (Th17/innato), a caratteristiche EMT più marcate e a un m6A score più elevato.
  • Abbiamo identificato WTAP come un fattore potenzialmente protettivo, la cui espressione diminuisce nella fibrosi, e come un promettente bersaglio terapeutico.
  • Abbiamo individuato 5 composti candidati che potrebbero mirare a WTAP.

Certo, siamo consapevoli dei limiti. I dati provenivano da un singolo centro, e mancano ancora validazioni su coorti più ampie e diverse. I nostri risultati su WTAP, per quanto promettenti, derivano da esperimenti *in vitro* e screening virtuali; la strada per un farmaco è ancora lunga e richiede rigorose verifiche *in vivo* (su modelli animali) e poi studi clinici per confermarne efficacia e sicurezza nell’uomo. Targeting WTAP potrebbe essere un’arma a doppio taglio, e dobbiamo capirne bene tutte le implicazioni.

Tuttavia, credo che questo studio apra davvero nuove prospettive. Comprendere il ruolo dell’m6A ci offre nuovi strumenti diagnostici e prognostici, e soprattutto identifica nuovi potenziali bersagli molecolari come WTAP. La speranza è che, continuando su questa strada, potremo finalmente sviluppare terapie più efficaci e personalizzate per sconfiggere questo nemico silenzioso che è la Fibrosi Polmonare Idiopatica. La ricerca non si ferma, e ogni scoperta, anche piccola, ci avvicina all’obiettivo.

Fonte: Springer

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