Due tipi di farina di insetti, una più chiara e fine (sgrassata) e una più scura e leggermente più grossolana (full-fat), disposte affiancate su una superficie di ardesia scura. Illuminazione da studio laterale che ne esalta le texture e le differenze cromatiche. Obiettivo macro 60mm, alta definizione, messa a fuoco precisa sulle particelle di farina.

Farine d’Insetti per Ruminanti: Essiccare Piano o Sgrassare a Fondo? La Scienza Svela i Segreti del Rumine!

Ciao a tutti, amici appassionati di scienza e curiosi del futuro dell’alimentazione! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel mondo, o meglio, nel rumine dei nostri amici animali, per parlare di un argomento super attuale: le farine di insetti come mangime innovativo e sostenibile. Sì, avete capito bene, stiamo parlando di come Hermetia illucens (la mosca soldato nera, per gli amici HI) e Tenebrio molitor (il tenebrione mugnaio, o TM) potrebbero rivoluzionare la dieta dei ruminanti.

Da tempo, nel settore della nutrizione animale, si cercano alternative valide e a basso impatto ambientale alle fonti proteiche tradizionali. Gli insetti, con il loro profilo nutrizionale di tutto rispetto – ricchi di proteine, grassi buoni (a seconda della specie e di cosa mangiano!), vitamine e minerali – sembrano una risposta promettente. Ma, come per ogni alimento, il modo in cui lo processiamo può fare una bella differenza. Ed è proprio qui che entra in gioco lo studio che voglio raccontarvi.

L’essiccazione a bassa temperatura: un impatto quasi nullo?

Una delle prime fasi per trasformare le larve di insetto in farina è l’essiccazione. Ci siamo chiesti: quanto conta la temperatura a cui le secchiamo? Nello specifico, abbiamo testato temperature che variavano dai 30°C ai 70°C su farine integrali (cioè, con tutto il loro grasso) di HI e TM. Ebbene, i risultati sono stati piuttosto chiari: l’impatto sulla digestibilità ruminale in vitro e sulla bioidrogenazione degli acidi grassi è stato minimo, quasi trascurabile. Questo significa che, almeno in questo range di temperature, non sembra esserci una grossa differenza per il rumine.

Un piccolo, ma potenzialmente interessante, dettaglio: con l’aumentare della temperatura di essiccazione, abbiamo notato una leggera riduzione della degradazione delle proteine nel rumine. Questo si traduce in una minore produzione di ammoniaca. Perché è interessante? Perché potrebbe significare che una quota maggiore di proteine “sfugge” alla degradazione ruminale per essere poi digerita più avanti, nell’intestino dell’animale. Questo fenomeno, noto come rumen undegradable protein (proteina non degradabile nel rumine), può essere un vantaggio in certe diete. Ma, attenzione, è un effetto lieve e andrebbe approfondito per capire la reale digeribilità intestinale di queste proteine.

Sgrassare fa la differenza: un boost per la digestibilità!

Passiamo ora alla seconda parte del nostro esperimento, quella che ha dato i risultati più… “succosi”! Abbiamo preso farine di HI e TM e le abbiamo sgrassate, ottenendo prodotti con un contenuto residuo di grasso (estratto etereo, EE) variabile, dal 4.7% al 19.7%. E qui, signore e signori, la musica è cambiata parecchio!

Indipendentemente dalla specie di insetto, ridurre il contenuto di grasso ha portato a un aumento significativo della fermentazione nel rumine. Abbiamo osservato:

  • Più produzione totale di gas (sì, quello che i microbi producono fermentando!)
  • Più acidi grassi volatili (VFA), che sono la principale fonte di energia per i ruminanti
  • Purtroppo, anche un po’ più di metano (CH4), un gas serra su cui dobbiamo tenere gli occhi aperti.

In pratica, togliere una parte del grasso sembra “liberare” gli altri nutrienti, rendendoli più accessibili ai microbi del rumine. Il grasso, in quantità elevate, può infatti avere un effetto inibitorio sulla flora ruminale e “ricoprire” le particelle di cibo, ostacolandone la digestione. Quindi, le farine di insetti sgrassate sembrano essere decisamente più adatte all’alimentazione dei ruminanti rispetto a quelle integrali, almeno dal punto di vista della fermentazione ruminale.

Immagine macro di diverse campioni di farina di insetti, alcune più scure e granulose (full-fat) e altre più chiare e fini (defatted), disposte in capsule di Petri su un bancone da laboratorio. Illuminazione controllata per evidenziare le differenze di texture e colore, obiettivo macro 100mm, alta definizione, precisa messa a fuoco.

Anche il profilo degli acidi grassi nel contenuto ruminale ha subito delle modifiche: un aumento dei grassi saturi e degli acidi grassi a catena ramificata (spesso di origine microbica), e una diminuzione dei tanto discussi PUFA (acidi grassi polinsaturi). Questo ci dice che la bioidrogenazione ruminale (quel processo per cui i microbi trasformano i grassi insaturi in saturi) è stata più attiva con le farine sgrassate.

E la bioidrogenazione degli acidi grassi? Facciamo chiarezza!

La bioidrogenazione è un processo affascinante che avviene nel rumine: i batteri modificano la struttura degli acidi grassi insaturi presenti nella dieta, trasformandoli in gran parte in acidi grassi saturi, come il famoso acido stearico (C18:0). Questo processo è importante perché protegge i microbi da effetti tossici di alcuni grassi insaturi e influenza la composizione del grasso del latte e della carne dell’animale.

Come dicevo, le basse temperature di essiccazione delle farine integrali hanno avuto effetti minimi sulla bioidrogenazione. Poca roba, davvero. Invece, con le farine sgrassate, la storia cambia. La riduzione del grasso totale sembra aver “alleggerito” il lavoro dei microbi, permettendo una maggiore attività di bioidrogenazione. Il risultato? Una minor quota di acidi grassi polinsaturi (PUFA) nel digesta ruminale e, di contro, un aumento dello stearico. Questo è un classico: meno grasso che “disturba”, più i microbi lavorano sugli insaturi.

Abbiamo anche notato un aumento degli acidi grassi a catena ramificata (BCFA) e a catena dispari (OCFA) nel rumine quando si usavano farine sgrassate. Questi acidi grassi sono sintetizzati principalmente dai batteri ruminali e sono considerati biomarcatori della funzionalità ruminale. Un loro aumento suggerisce una maggiore attività microbica, il che è coerente con una migliore fermentazione generale.

Hermetia vs Tenebrio: non tutti gli insetti sono uguali (nel rumine)!

Un altro aspetto interessante è che, sebbene la sgrassatura abbia avuto effetti simili su entrambe le specie, ci sono delle differenze intrinseche tra HI e TM che si riflettono nel rumine. Le farine di Hermetia illucens sono tipicamente ricche di acidi grassi saturi a catena media, in particolare l’acido laurico (C12:0). Quelle di Tenebrio molitor, invece, abbondano di acidi grassi insaturi come l’oleico (C18:1c9) e il linoleico (C18:2 n-6).

Queste differenze si sono viste anche nel contenuto ruminale dopo l’incubazione. Ad esempio, con le farine di HI, abbiamo trovato più C12:0 e acidi grassi saturi totali nel rumine. Con le farine di TM, invece, c’era più acido stearico (C18:0), prodotto finale della bioidrogenazione dei suoi abbondanti insaturi, e anche maggiori quantità residue di C18:1c9 e C18:2 n-6. Questo ci ricorda che la specie di insetto conta, e parecchio, quando si valuta l’impatto sulla nutrizione ruminale e sulla potenziale qualità dei prodotti animali derivati (latte e carne).

Per quanto riguarda la produzione di ammoniaca, le farine di TM tendevano a produrne un po’ di più rispetto a quelle di HI, probabilmente a causa del loro contenuto proteico generalmente più elevato. Tuttavia, se rapportiamo l’ammoniaca all’azoto totale incubato, le differenze si appianano, suggerendo tassi di degradazione proteica apparentemente simili.

Quindi, cosa ci portiamo a casa da questo studio?

Beh, direi un paio di messaggi chiari e importanti:

  1. Le temperature di essiccazione testate (30-70°C) per le farine integrali di HI e TM hanno un impatto davvero limitato sulla loro digestione nel rumine e sulla trasformazione dei grassi. C’è quel piccolo indizio sulla degradazione proteica che merita un’occhiata più da vicino in futuro, soprattutto per capire se queste proteine “risparmiate” nel rumine siano poi effettivamente utilizzabili dall’animale.
  2. La sgrassatura, invece, è una vera e propria svolta! Ridurre il contenuto di grasso nelle farine di insetti aumenta la loro fermentescibilità ruminale, il che è un’ottima notizia. Certo, c’è da considerare l’aumento di metano, che non è ideale, e le modifiche nel profilo degli acidi grassi del rumine, che potrebbero influenzare la qualità dei prodotti finali.

Insomma, se dovessimo dare un consiglio spassionato, diremmo che sgrassare le farine di insetti sembra la mossa vincente per migliorarne la digestibilità da parte dei nostri amici ruminanti. Ovviamente, la ricerca non si ferma qui! Bisognerà continuare a studiare per ottimizzare i processi, bilanciare i benefici con gli eventuali “effetti collaterali” (come il metano) e capire appieno il potenziale di questi incredibili mini-bestioline come fonte di nutrienti per un futuro più sostenibile.

Spero che questo “tuffo” nel rumine vi sia piaciuto e vi abbia incuriosito. Alla prossima avventura scientifica!

Fonte: Springer

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