Un bivio stilizzato che si dirama nell'incertezza, simboleggiando la complessità del libero arbitrio e delle scelte umane, fotografia concettuale con profondità di campo ridotta per mettere a fuoco il bivio, luce soffusa e atmosferica, obiettivo prime 50mm.

Fare i Conti con il Libero Arbitrio: Un Viaggio tra Scelta e Illusione

Il Grande Interrogativo: Siamo Davvero Liberi?

Sapete, una delle domande che ci ronza in testa da secoli è proprio questa: ma abbiamo davvero il libero arbitrio? Possiamo scegliere cosa fare, chi essere, o siamo solo marionette mosse da fili invisibili come la biologia, l’ambiente, il destino o chissà cos’altro? E se non fossimo liberi, che succederebbe? Sarebbe una tragedia o potremmo farcene una ragione? Addirittura, potremmo decidere di credere nel libero arbitrio, anche senza esserne sicuri, solo perché ci fa comodo?

Queste non sono domande da poco. Ci ho pensato parecchio, soprattutto dopo aver letto le riflessioni di John Lemos nel suo libro “Free Will’s Value”. Lemos affronta questi temi con una chiarezza e un’originalità che ti costringono a fermarti e a riflettere seriamente. Ecco, vorrei condividere con voi un po’ del mio viaggio mentale attorno a queste idee, confrontando il mio punto di vista con il suo.

Le Tre Domande Chiave sul Libero Arbitrio

Per capirci meglio, possiamo scomporre il problema del libero arbitrio in tre grandi questioni:

  • Esiste il Libero Arbitrio Libertario (LFW)? Questo è il tipo di libero arbitrio “forte”, quello che ci renderebbe autori ultimi delle nostre azioni, indipendenti da cause deterministiche. Qui si parla di metafisica, di determinismo, di indeterminismo… Lemos crede che abbiamo questo tipo di libertà (una versione specifica legata alle idee di Kane). Io, onestamente, sono molto scettico.
  • Se l’LFW non esiste, abbiamo comunque un tipo di libero arbitrio “sufficiente”? Quello che basta per giustificare la responsabilità morale, il merito, la colpa? Questa è la classica domanda sulla compatibilità: libero arbitrio e responsabilità possono coesistere con l’assenza di LFW (magari in un universo deterministico)? Qui si scontrano compatibilisti (che dicono sì) e negazionisti (che dicono no). Lemos rifiuta il compatibilismo. Io, invece, penso che le cose siano più sfumate.
  • Se non abbiamo nessun tipo di libero arbitrio significativo, che fare? Dovremmo buttare all’aria concetti come colpa e merito? Oppure possiamo trovare un modo per andare avanti? Qui ci sono varie posizioni: chi dice “nessun problema” (alla Strawson), chi vuole una rivoluzione radicale (i negazionisti “ottimisti”), e chi, come me, pensa che forse un po’ di illusione non faccia male (Illusionismo). Lemos, su questo, è pessimista: senza LFW, le cose si metterebbero male per la dignità umana, l’ordine morale, persino per l’amore e l’orgoglio.

La posizione di Lemos è intrigante: dato che le alternative (negazionismo e compatibilismo) non lo convincono e che perdere il libero arbitrio sarebbe pericoloso, propone di credere nell’LFW per ragioni pragmatiche, morali, anche se non ne abbiamo la certezza assoluta. Un “salto della fede” ragionato, diciamo.

Primo piano di una bilancia della giustizia antica, leggermente sbilanciata, illuminazione drammatica in stile film noir con ombre profonde, messa a fuoco precisa sui piatti della bilancia, obiettivo macro 80mm, bianco e nero con grana della pellicola visibile.

Perché il Negazionismo “Felice” Non Convince (Nemmeno Me)

Lemos critica duramente chi pensa che liberarci dall’idea di libero arbitrio e responsabilità morale sarebbe una passeggiata, anzi, un miglioramento (“negazionismo ottimista”). E su questo, siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Pensiamo alla giustizia penale. Lemos smonta le proposte di riforma radicale che eliminerebbero la colpa e il merito. Il rischio? Trattare le persone come “sintomi” da curare, magari rinchiudendole preventivamente o punendo innocenti per “il bene comune”, perdendo di vista il rispetto per la persona. Io aggiungerei un paio di cose.

Primo, l’argomento del “funishment” (un gioco di parole tra “fun”, divertimento, e “punishment”, punizione). Se nessuno merita davvero di essere punito, allora l’unica “punizione” accettabile sarebbe una detenzione con condizioni di vita quasi lussuose, per compensare l’ingiustizia della reclusione stessa. Ma questo sarebbe assurdo, minerebbe la deterrenza e sarebbe insostenibile. Secondo, la storia ci insegna quanto sia stato difficile conquistare i principi deontologici basati sull’agenzia e la responsabilità individuale. Abbandonarli sarebbe un salto nel buio pericolosissimo. Non abbiamo idea di come funzionerebbe una società senza responsabilità individuale; i precedenti storici non sono incoraggianti.

E poi ci sono l’orgoglio e l’amore. Lemos fa notare come l’orgoglio per i propri successi sia legato all’idea di averli meritati tramite le proprie scelte libere. Io preferisco parlare di autostima e apprezzamento, ma il concetto è simile: diamo valore a ciò che sentiamo di aver costruito con le nostre azioni. Per quanto riguarda l’amore, sono d’accordo che alcune forme d’amore siano legate all’agenzia libera. Magari non tanto alla decisione libertaria di *mantenere* una relazione, come dice Lemos, ma all’apprezzamento per gli sforzi, le qualità, la dedizione del partner, che sentiamo “meritati”. La gratitudine, un sentimento fondamentale nell’amore, si basa sull’idea di merito. Come si può essere veramente grati a qualcuno se pensiamo che non avesse altra scelta che fare ciò che ha fatto?

Forse la Verità Sta nel Mezzo: Il Dualismo Compatibilista

Qui le nostre strade si dividono un po’. Mentre Lemos scarta il compatibilismo, io penso che abbia una sua validità, ma limitata. Propongo quello che chiamo dualismo compatibilista: l’idea che sia il compatibilismo sia il negazionismo abbiano una parte di verità.

Mettiamola così: i negazionisti mettono l’asticella del libero arbitrio molto in alto (serve l’LFW!), mentre i compatibilisti la mettono più in basso. Per i compatibilisti, basta avere un certo tipo di controllo sulle proprie azioni (essere razionali, non costretti, ecc.) per essere considerati liberi e responsabili. E spesso, questo livello “basso” di controllo è quello che conta davvero.

Pensate a scegliere cosa mangiare a pranzo: se preferite la cotoletta e potete prenderla, o gli spaghetti e potete scegliere quelli, cosa vi manca? Certo, non avete il controllo “ultimo” libertario, ma avete il controllo che vi serve in quel momento. O pensate a una persona con un disturbo ossessivo-compulsivo che, grazie alla terapia, smette di lavarsi le mani cento volte al giorno. È diventata più libera, ha più controllo sulla sua vita, anche se tutto fosse determinato. Paghiamo fior di quattrini per terapie che aumentano questo tipo di controllo! Questo è il pane quotidiano del compatibilismo.

Una persona di fronte a un bivio in un sentiero nel bosco, luce soffusa che filtra tra gli alberi, effetto leggermente onirico, profondità di campo che lascia sfocato lo sfondo lontano, obiettivo grandangolare 24mm.

Anche sul piano morale, questo controllo “compatibilista” conta. Un bambino di un anno che piange di notte non è responsabile, un diciassettenne che fa lo stesso sì. Valutiamo se un neopatentato è abbastanza “responsabile” da guidare l’auto di famiglia. Crescendo, diventiamo agenti con maggiore controllo, capaci di rispondere delle nostre azioni. Ci aspettiamo responsabilità dagli altri e reagiamo con risentimento o gratitudine in base a come si comportano, assumendo che abbiano questo tipo di controllo. È la base della nostra vita sociale, quella che io chiamo una Comunità della Responsabilità.

Però… c’è un però. E qui entra in gioco la parte “negazionista” del mio dualismo. Anche se il controllo compatibilista è reale e importante, è anche… superficiale se manca l’LFW. Pensate a una persona che passa decenni in prigione per un crimine. Ammettiamo che soddisfi tutti i criteri compatibilisti per essere considerato responsabile. Ha scelto lucidamente, non c’erano scusanti particolari. Ok, la società ha ragioni (compatibiliste) per punirlo. Ma allo stesso tempo, se non c’è LFW, quella persona era “destinata” a fare quella scelta, a finire così. C’è un senso profondo di ingiustizia, di fatalità, che il compatibilismo da solo non cattura. Tutto ciò che facciamo, i nostri sforzi, i successi, i fallimenti, diventano solo “lo svolgersi del dato”. Questo svuota di significato il nostro senso di valore, l’autostima, l’apprezzamento reciproco.

Quindi, la condizione umana è complessa: abbiamo un controllo locale (compatibilista) che ci rende agenti responsabili in molti contesti, ma siamo anche esseri le cui vite sono, in ultima analisi, determinate da fattori fuori dal nostro controllo ultimo. Dobbiamo barcamenarci tra queste due verità.

L’Illusione Necessaria: E se Credere Fosse la Cosa Migliore?

E questo mi porta all’altra mia idea controversa: l’Illusionismo. E se la credenza nel libero arbitrio (soprattutto quello forte, l’LFW), anche se fosse falsa, fosse necessaria per noi? Non solo piacevole, ma fondamentale per la nostra vita morale, per il nostro senso di valore, per una società decente.

L’idea è che le nostre credenze (magari vaghe e non filosoficamente articolate) nel libero arbitrio libertario siano il terreno fertile su cui cresce il rispetto per le persone, la serietà morale, l’autostima basata sui nostri sforzi. Senza questa credenza diffusa, ho paura che anche le verità parziali del compatibilismo (l’importanza del controllo locale, le distinzioni tra chi è responsabile e chi no) verrebbero spazzate via. Molti, sentendo dire “il libero arbitrio non esiste”, getterebbero via il bambino con l’acqua sporca, cadendo nel nichilismo o in un cinico utilitarismo dove le persone sono solo mezzi per un fine.

Un volto umano parzialmente avvolto nell'ombra, con un occhio illuminato che guarda intensamente lo spettatore, evocando mistero e introspezione, fotografia ritratto 35mm, stile film noir, bianco e nero con forti contrasti.

L’illusione del libero arbitrio, quindi, agirebbe come una sorta di “serra” che protegge le fragili piante del rispetto, della responsabilità e del valore personale, che altrimenti rischierebbero di morire nel freddo della verità ultima (l’assenza di LFW). È un’idea un po’ scomoda, lo so, quasi cinica. Ma la vedo come una forma di realismo pragmatico: dobbiamo proteggere ciò che ci permette di vivere una vita umana e morale dignitosa, anche se si basa, in parte, su un’illusione.

Un Confronto Aperto con Lemos

Come si collegano queste mie idee (dualismo compatibilista e illusionismo) alla proposta di Lemos di credere nell’LFW per ragioni pragmatiche? Beh, in un certo senso, potrebbero dargli man forte. Se anche il compatibilismo ha un suo valore (come sostengo con il dualismo), allora abbiamo una ragione in più per sperare nell’LFW, perché, come suggerisce l’illusionismo, la credenza diffusa nell’LFW potrebbe essere il miglior modo per sostenere proprio quella “Comunità della Responsabilità” basata su distinzioni compatibiliste.

D’altra parte, pongo una sfida a Lemos: e se l’LFW fosse davvero indifendibile, anche con il suo “salto della fede” pragmatico? Cosa sceglierebbe come “piano B”? Si aggrapperebbe all’idea che dobbiamo *vivere come se* avessimo l’LFW (una forma di illusionismo), oppure si arrenderebbe ai negazionisti, abbandonando del tutto l’idea di libero arbitrio e responsabilità?

Insomma, il dibattito è apertissimo e incredibilmente affascinante. Siamo tutti, in fondo, impegnati in una sorta di “gestione del rischio” intellettuale e morale quando affrontiamo queste domande. Il lavoro di Lemos è uno stimolo prezioso per continuare a esplorare questo territorio complesso, dove filosofia, etica e la nostra stessa percezione di chi siamo si intrecciano in modi profondi.

Fonte: Springer

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