Visualizzazione artistica e fotorealistica della Faglia Anatolica Orientale, con fratture luminose che si diramano sotto la superficie terrestre, suggerendo l'energia sismica. Illuminazione drammatica dal basso, high detail, wide-angle lens, 10mm, per un impatto visivo forte.

Faglia Anatolica Orientale: Viaggio al Cuore Sismico della Turchia, tra Scosse e Misteri Sotterranei

Ciao a tutti, appassionati di geologia e curiosi dei misteri che si celano sotto i nostri piedi! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante, ma anche un po’ inquietante, nel cuore di una delle zone sismicamente più attive del nostro pianeta: la Faglia Anatolica Orientale (EAFZ). Come saprete, questa regione è stata recentemente teatro dei devastanti terremoti di Kahramanmaraş del 6 febbraio 2023, eventi che ci hanno dolorosamente ricordato quanto sia potente e talvolta imprevedibile la natura.

Nel mio campo, quello delle scienze della Terra, questi eventi non sono solo tragedie, ma anche importantissime occasioni di studio. Ci spingono a chiederci: cosa sta succedendo laggiù, nelle profondità della crosta terrestre? Come possiamo capire meglio questi processi per mitigare i rischi futuri? Ecco, è proprio di questo che voglio parlarvi: di come, armati di dati e modelli matematici, cerchiamo di “radiografare” la Terra per svelare i segreti della sismogenesi.

I Terremoti di Kahramanmaraş: Un Campanello d’Allarme

I terremoti di Kahramanmaraş, con magnitudo 7.7 e 7.6, non sono stati fulmini a ciel sereno. La EAFZ è una vecchia conoscenza per noi sismologi: una gigantesca frattura nella crosta terrestre, lunga circa 600 km, dove la placca Arabica “striscia” contro la placca Anatolica a una velocità di circa 2 cm all’anno. Immaginate due enormi blocchi di roccia che si muovono l’uno contro l’altro: l’energia si accumula, finché, superato un punto critico, si sprigiona violentemente sotto forma di terremoto.

Una caratteristica particolarmente insidiosa di questi terremoti è stata la loro superficialità, con un ipocentro a soli 10 km di profondità. Questo significa che l’energia liberata ha raggiunto la superficie con una forza distruttiva maggiore. La resistenza della crosta superiore gioca un ruolo chiave in come queste faglie si comportano, ed è proprio qui che la nostra ricerca si concentra.

“Pesare” la Terra: le Anomalie Gravitazionali

Come facciamo a “vedere” cosa c’è sotto terra senza scavare buche profonde chilometri? Uno degli strumenti più potenti che abbiamo è lo studio del campo gravitazionale terrestre. So che sembra strano, ma le piccole variazioni della gravità da un punto all’altro della superficie possono dirci molto sulla densità delle rocce sottostanti.

Nel nostro studio, abbiamo utilizzato i dati del WGM12 (World Gravity Map 2012), in particolare le cosiddette “anomalie isostatiche residue”. Detta papale papale, queste anomalie ci mostrano le variazioni di densità all’interno della crosta, dopo aver “ripulito” i dati dagli effetti delle montagne e delle loro “radici” più profonde. È un po’ come mettere degli occhiali speciali che evidenziano solo ciò che ci interessa.

Analizzando lo spettro di queste anomalie (una tecnica che ci permette di separare i segnali in base alla loro “lunghezza d’onda”, e quindi alla profondità della sorgente), siamo riusciti a stimare la profondità media di due importanti discontinuità nella crosta:

  • La discontinuità di Conrad, che segna un cambiamento nelle proprietà delle rocce crostali, a circa 18 km.
  • Il basamento cristallino, ovvero le rocce più antiche e compatte, a circa 6.6 km.

Queste informazioni sono fondamentali per costruire un modello affidabile della struttura crostale.

Mappa 3D della Faglia Anatolica Orientale che mostra le anomalie gravimetriche come variazioni di colore sulla superficie terrestre, con linee di faglia evidenziate. Stile fotorealistico, vista aerea leggermente angolata, illuminazione drammatica per enfatizzare le strutture geologiche. Wide-angle lens, 15mm, sharp focus.

Abbiamo poi applicato un filtro passa-basso ai dati gravimetrici per isolare le componenti a lunghezza d’onda maggiore, quelle cioè che provengono dalle strutture più profonde della crosta superiore. È interessante notare come le zone con forti gradienti in queste anomalie filtrate (cioè dove la gravità cambia rapidamente) coincidano spesso con le principali zone di faglia e con le aree a maggiore sismicità. Ad esempio, tra la EAFZ e la Faglia di Malatya (MFZ), abbiamo osservato forti anomalie positive, che potrebbero indicare la presenza di blocchi di roccia più densi sollevati, o intrusioni magmatiche, come suggerito da altri studi.

Una “Radiografia” della Crosta: i Contrasti di Densità

Una volta identificate le profondità principali, siamo passati a un’analisi più dettagliata, cercando di modellare i contrasti di densità fino alla profondità della discontinuità di Conrad. Abbiamo usato un metodo di inversione lineare, che, in parole povere, cerca di trovare la distribuzione di densità nel sottosuolo che meglio spiega le anomalie gravitazionali misurate in superficie. È un po’ come risolvere un puzzle complesso, dove i pezzi sono blocchetti di roccia con densità diverse.

Abbiamo creato dei profili bidimensionali di contrasto di densità che attraversano le principali faglie della regione. I risultati sono stati illuminanti!

  • La EAFZ è chiaramente definita da un cambiamento nei contrasti di densità nella parte inferiore della crosta superiore.
  • La MFZ coincide con un contrasto di densità nella crosta superiore, ma con una variazione laterale più graduale.
  • In generale, le zone di faglia appaiono come “zone deboli” che si estendono da circa 5 km di profondità verso il basso, attraverso la crosta superiore.

Questi modelli ci dicono che la regione è divisa in zone con caratteristiche meccaniche diverse: zone più “deboli” (o fratturate) a nord della Sutura Bitlis-Zagros (BZSZ), che è l’antica cicatrice della collisione tra placche, e zone più “forti” a sud, corrispondenti alla placca Arabica, che è più rigida e stabile. Le variazioni più nette nei contrasti di densità si osservano proprio dove i nostri profili intersecano le faglie conosciute. Questo ci conferma che stiamo guardando nel posto giusto!

Un’area particolarmente interessante è quella intorno a Elazığ, dove un terremoto di magnitudo 6.8 ha colpito nel gennaio 2020. I nostri modelli mostrano qui un forte contrasto positivo di densità, una sorta di “cupola” più densa. Questo potrebbe spiegare perché quel terremoto non ha prodotto una rottura superficiale evidente: lo stress trasferito dalla rottura profonda potrebbe non essere stato sufficiente a superare la resistenza di queste rocce più dense e compatte vicino alla superficie.

Sezione trasversale della crosta terrestre che illustra i contrasti di densità lungo un profilo della Faglia Anatolica Orientale. Colori diversi indicano densità variabili, con faglie visibili come discontinuità. Illuminazione da studio controllata, high detail, macro lens, 70mm, per evidenziare le stratificazioni.

Deformazione Virtuale: Come la Crosta “Vorrebbe” Muoversi

Oltre a “pesare” e “radiografare” la crosta, abbiamo cercato di capire come le forze gravitazionali stesse inducano stress e deformazioni. Per fare questo, abbiamo utilizzato un concetto affascinante chiamato “deformazione virtuale” (VD). Immaginate di poter vedere le direzioni in cui le rocce si muoverebbero se fossero soggette solo alle forze gravitazionali, in un ambiente meccanico alterato da processi tettonici o magmatici. È un po’ come le maree, che deformano la Terra a causa dell’attrazione gravitazionale di Luna e Sole.

Questa deformazione virtuale si calcola a partire dagli “spostamenti orizzontali del potenziale perturbatore”. Il potenziale perturbatore è, in soldoni, la differenza tra il potenziale gravitazionale reale e un potenziale teorico di riferimento. Le sue variazioni ci dicono dove ci sono “eccessi” o “difetti” di massa.

Analizzando questi spostamenti, possiamo mappare le zone di compressione (dove la massa tende a convergere verso il geoide, indicate in rosso nelle mappe) e di estensione (dove la massa tende ad allontanarsi, indicate in blu). Questi pattern di compressione ed estensione sono spesso legati a processi morfologici, erosione, vulcanismo e, naturalmente, alla tettonica attiva.

La mappa di deformazione virtuale della EAFZ e delle aree circostanti ha rivelato cose molto interessanti:

  • Zone ad alto gradiente di deformazione lungo i segmenti principali e settentrionali della EAFZ, la parte nord della MFZ e intorno alla Tripla Giunzione di Karlıova (KTJ), un punto cruciale dove si incontrano tre placche.
  • Una chiara corrispondenza tra le zone di concentrazione della deformazione virtuale e le aree dove l’attività sismica è più intensa (come quelle viste nelle mappe di sismicità).
  • La conferma che le faglie identificate con i contrasti di densità sono effettivamente attive e deformano la crosta superiore.

È affascinante vedere come il regime tettonico compressivo dominante, dovuto alla collisione tra placche, sia accompagnato anche da deformazioni tensionali locali, probabilmente legate al collasso gravitazionale della catena montuosa anatolica, che tende a “spalmarsi” lateralmente per rilasciare l’energia potenziale accumulata nel suo ispessimento.

Visualizzazione della deformazione virtuale sulla Faglia Anatolica Orientale, con frecce rosse (compressione) e blu (estensione) che indicano le direzioni delle forze gravitazionali sulla crosta. Sovrapposta a una mappa topografica realistica della regione. Wide-angle, 20mm, long exposure per un effetto dinamico.

Cosa Ci Dice Tutto Questo?

Mettendo insieme tutti questi pezzi – anomalie gravimetriche, contrasti di densità, deformazione virtuale e dati sismici – emerge un quadro più chiaro, seppur complesso, della dinamica crostale nella regione della Faglia Anatolica Orientale. Abbiamo visto che c’è una forte correlazione tra le caratteristiche geofisiche che abbiamo modellato e l’attività sismica. Le faglie non sono semplici linee su una mappa, ma strutture tridimensionali complesse, con radici profonde e variazioni laterali significative.

La crosta superiore è intensamente deformata, con zone più resistenti e zone più deboli che controllano come e dove l’energia sismica si accumula e si rilascia. Comprendere queste eterogeneità è cruciale. Abbiamo identificato alcune aree particolarmente critiche, come la parte centrale della EAFZ, il nord della MFZ e l’area della KTJ, che meritano un’attenzione continua.

Certo, il lavoro non finisce qui. Ci sono ancora molti aspetti da approfondire, come il ruolo del mantello litosferico e dell’astenosfera più profonda. Ma ogni passo avanti nella comprensione di questi processi è un passo verso una migliore valutazione del rischio sismico e, speriamo, verso una maggiore sicurezza per le popolazioni che vivono in queste magnifiche ma fragili terre.

Spero che questo piccolo viaggio nelle profondità della Terra vi sia piaciuto e vi abbia fatto apprezzare un po’ di più la complessità e la potenza del nostro pianeta. Alla prossima avventura scientifica!

Fonte: Springer

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