Paesaggio artico vasto e innevato del Cratone dello Schiavo, Canada, sotto un cielo limpido e freddo. In primo piano, attrezzatura geofisica (cavi, sensori) parzialmente visibile sulla neve. Obiettivo grandangolare 15mm, messa a fuoco nitida sul paesaggio che si estende all'orizzonte, luce diurna brillante ma fredda, che evidenzia la vastità e l'isolamento dell'area di esplorazione.

Diamanti Nascosti: Come la Geofisica di Precisione Sta Rivoluzionando la Caccia alle Kimberliti nel Cratone dello Schiavo

Ah, i diamanti! Quelle pietre preziose che affascinano l’umanità da secoli. Ma trovarli non è affatto semplice. La loro “casa” primaria sono rocce vulcaniche chiamate kimberliti, e scovare questi depositi, specialmente in aree remote e complesse come il Cratone dello Schiavo, nei Territori del Nord-Ovest del Canada, è una vera sfida geologica, quasi una caccia al tesoro high-tech.

Sono decenni, precisamente dal 1991 con la scoperta della kimberlite di Point Lake, che noi esploratori setacciamo queste terre. Abbiamo raccolto migliaia di campioni di sedimenti glaciali, cercando quei piccoli minerali indicatori che, come briciole di pane, dovrebbero condurci alla fonte. Abbiamo sorvolato l’area con aerei equipaggiati per “vedere” sotto la superficie e abbiamo condotto centinaia, forse migliaia, di indagini geofisiche a terra. Eppure, i risultati sono stati spesso… perplessi. Ci siamo resi conto che non esiste una bacchetta magica, un “proiettile d’argento” per trovare le kimberliti. La faccenda è decisamente più complessa.

Il Vecchio Modello e i Suoi Limiti

Storicamente, la nostra ricerca si basava su un modello ben preciso: la kimberlite “classica”. Immaginate una sorta di gigantesca carota verticale conficcata nel terreno. Di conseguenza, cercavamo principalmente anomalie geofisiche specifiche: un segnale magnetico circolare e intenso, e/o una zona con bassa resistività elettrica. Questo approccio ha funzionato, certo, portando alla scoperta di molte kimberliti. Ma lasciava aperti molti interrogativi. C’erano (e ci sono ancora) tantissime tracce di minerali indicatori “orfane”, senza una chiara anomalia geofisica “classica” associata. Era come trovare le briciole ma non la pagnotta. Dove sbagliavamo?

Una Nuova Strategia: L’Approccio Sistematico del Kennady North Project

Recentemente, però, abbiamo iniziato a capire che forse dovevamo cambiare prospettiva. Il Kennady North Project (KNP), ora parte di Mountain Province Diamonds Inc., ha dimostrato che un approccio più sistematico e integrato può fare la differenza. Non si tratta più di affidarsi a un solo metodo, ma di usare un’intera “cassetta degli attrezzi” geofisica a terra, combinandola metodicamente con:

  • Campionamento dei till (i sedimenti lasciati dai ghiacciai)
  • Geofisica aerea
  • Risultati delle perforazioni

L’idea chiave è integrare costantemente i dati. Ogni nuova informazione, che sia da un’indagine geofisica o da un carotaggio, viene usata per affinare la mira per le perforazioni successive e per ricalibrare le nostre interpretazioni.

Stazione geofisica da campo installata su un terreno innevato e roccioso del Cratone dello Schiavo, Canada. Primo piano su uno strumento di misurazione gravimetrica o elettromagnetica, con cavi che si estendono sulla neve. Luce artica fredda, obiettivo prime 35mm, profondità di campo per mettere a fuoco lo strumento ma mostrare l'ambiente ostile.

Il Nostro Arsenale Geofisico: Non Solo Un Martello

La nostra “cassetta degli attrezzi” geofisica a terra è diventata fondamentale. Ogni strumento ci dà un pezzo del puzzle:

  • Elettromagnetismo Orizzontale (HLEM): Questo metodo misura come il sottosuolo conduce l’elettricità. È ottimo per individuare conduttori verticali, come potrebbero essere le zone argillose formatesi dall’alterazione superficiale delle kimberliti. Ma attenzione, può confondersi con i sedimenti argillosi dei laghi!
  • Gravimetria: Misura piccolissime variazioni nel campo gravitazionale terrestre, legate a differenze di densità nel sottosuolo. Le kimberliti nel Cratone dello Schiavo spesso coincidono con lievi anomalie gravimetriche negative (un “calo” di gravità), forse dovute all’alterazione della roccia ospite durante la messa in posto della kimberlite stessa. È un segnale sottile, che richiede un’elaborazione dati molto accurata per non essere ingannati dalla topografia o dalla presenza di acqua.
  • Resistività Elettrica (CCR): Questo metodo mappa la resistenza del terreno al passaggio di corrente elettrica. Una bassa resistività (alta conducibilità) può indicare argilla satura d’acqua associata a kimberlite alterata, o fratturazione della roccia ospite. Al contrario, una kimberlite “fresca” e coerente, magari circondata da roccia silicizzata, potrebbe apparire come un’anomalia di alta resistività se la roccia circostante è più conduttiva. Un grande vantaggio del CCR è che possiamo farlo trainando gli strumenti con una motoslitta, perfetto per i nostri inverni!
  • Magnetometria: Misura le variazioni del campo magnetico terrestre. Le kimberliti possono contenere minerali magnetici come magnetite e ilmenite, creando anomalie positive. Ma possono anche distruggere il materiale magnetico preesistente o avere una magnetizzazione “residua” orientata in modo opposto al campo attuale, generando anomalie negative o dipoli. Nel Cratone dello Schiavo, le anomalie negative o dipolari sono le più comuni associate alle kimberliti conosciute.

Rompere gli Schemi: E se le Kimberliti Fossero… Inclinate?

L’uso combinato di questi strumenti è stato fondamentale, ma c’è stata un’altra innovazione cruciale, questa volta concettuale. Grazie all’esperienza vasta e diversificata di alcuni geoscienziati del team, in particolare il compianto John Knight, è emersa un’idea “eretica”: e se le kimberliti non fossero sempre le classiche “carote” verticali? Se potessero risalire e mettersi in posto lungo percorsi inclinati?

Questa idea, apparentemente semplice, si è rivelata rivoluzionaria. Spiegava perfettamente alcuni risultati di perforazione confusi che non quadravano con il modello verticale. Le kimberliti inclinate hanno espressioni superficiali molto più piccole e producono risposte geofisiche diverse, più difficili da interpretare con i vecchi schemi mentali.

Schema 3D che illustra la mappatura della resistività del sottosuolo ottenuta con il metodo CCR. Si vedono strati colorati che rappresentano diverse resistività, con un corpo anomalo inclinato (la kimberlite) evidenziato in rosso/arancio. Grafica tecnica ma chiara, illuminazione controllata, alto dettaglio.

Vedere Più a Fondo: La Rivoluzione CCR con ARRT

Parallelamente, abbiamo affrontato un limite tecnico. Il sistema CCR standard (OhmMapper™) che usavamo aveva una profondità di indagine limitata, circa 60-70 metri. Troppo poco per “vedere” bene queste strutture inclinate che si approfondivano rapidamente. Questa necessità ha spinto allo sviluppo di una nuova tecnica proprietaria: l’ARRT (Aurora Rapid Reactance Tomography).

L’ARRT è un sistema CCR più potente, con un design che permette array più grandi e configurazioni complesse, grazie a GPS indipendenti e registrazione completa del segnale su ogni trasmettitore e ricevitore. Il risultato? Una maggiore profondità di indagine (circa 50-60 metri in più rispetto all’OhmMapper nel nostro caso) e dataset ad alta risoluzione. Finalmente potevamo “fotografare” la geometria di queste kimberliti inclinate molto più in profondità.

Il Caso Kelvin e Faraday: Da Enigmi a Risorse

Le kimberliti Kelvin e Faraday sono l’esempio perfetto di questo successo. Erano state perforate già nei primi anni 2000 da De Beers, con intersezioni minori di kimberlite. Le perforazioni erano state guidate da indagini HLEM, interpretate però sempre nell’ottica del modello verticale. Se avessero considerato la possibilità di un corpo inclinato, probabilmente le avrebbero scoperte allora!

Quando KDI (Kennady Diamonds Inc.) ha ripreso l’esplorazione nel 2012, i primi risultati, pur promettenti (microdiamanti eccezionali!), erano ancora incongruenti con il modello classico. Addirittura, alcune perforazioni mirate su forti anomalie di conducibilità (la “Pant-Leg Anomaly” a Faraday) mancarono completamente la kimberlite, passandoci letteralmente in mezzo o sotto!

È stato solo combinando l’idea dell’inclinazione con indagini geofisiche ad alta risoluzione (gravità a maglia stretta, CCR e poi ARRT) e reinterpretando continuamente i dati alla luce delle perforazioni, che siamo riusciti a delineare la vera geometria di Kelvin e Faraday: corpi inclinati, complessi, che si uniscono in profondità. Questo approccio sistematico ha trasformato questi enigmi geologici in risorse economicamente significative: 8,5 milioni di tonnellate indicate con 13,62 milioni di carati per Kelvin, e 3,94 milioni di tonnellate inferite con 7,35 milioni di carati per Faraday 2 e 3.

Campioni di carotaggio di roccia kimberlitica esposti su un tavolo da campo in una tenda artica, con alcuni piccoli diamanti grezzi visibili. Un geologo (mani visibili con guanti) esamina i campioni con una lente d'ingrandimento. Obiettivo macro 100mm, messa a fuoco precisa sui campioni e sui diamanti, illuminazione controllata per evidenziare i dettagli della roccia e delle gemme.

La Chiave è l’Integrazione: Il Potere del ‘Toolbox’

Cosa ci insegna questa storia? Che nell’esplorazione moderna delle kimberliti, specialmente per quelle con geometrie non convenzionali, nessun singolo metodo geofisico è la panacea. Il successo arriva dall’integrazione intelligente di più tecniche (il nostro “toolbox”), dall’analisi e ri-analisi costante dei dati in tempo reale man mano che arrivano i risultati delle perforazioni, e, cosa forse più importante, dalla volontà di mettere in discussione i modelli preconcetti (“anomaly unexplained? Keep digging!”).

L’accoppiata vincente al KNP è stata proprio questa: l’approccio sistematico con un arsenale geofisico completo e l’idea innovativa di un diverso tipo di risalita della kimberlite. Questo dimostra che, nonostante le sfide, il potenziale per nuove scoperte di kimberliti economiche nel Cratone dello Schiavo è ancora enorme. La caccia ai diamanti si è evoluta, ed è più emozionante che mai!

Fonte: Springer

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