Età Materna e Destino dell’Embrione: I Segreti Nascosti nel Liquido Blastocelico
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi affascina moltissimo e che tocca le vite di tante persone: il legame tra l’età della mamma e le primissime fasi di sviluppo di un embrione, in particolare nel contesto della fecondazione assistita (FIVET). Sappiamo bene che, con l’avanzare dell’età, concepire diventa un po’ più complicato. L’età materna avanzata (definita come 35 anni o più) è associata a una riduzione della fertilità e a un aumento dei rischi, come aborti spontanei e anomalie cromosomiche (aneuploidie).
Negli ultimi anni, sempre più donne scelgono di avere figli più tardi, e questo ha portato a un crescente ricorso alle tecnologie di riproduzione assistita, come la FIVET. La FIVET è una speranza incredibile per molte coppie, ma anche con i continui progressi, le percentuali di successo, soprattutto dopo i 35-40 anni, non sono ancora quelle che tutti vorremmo. Pensate che nel 2022, negli USA, il tasso di successo (nati vivi) per le donne sotto i 35 anni era del 43.1%, ma scendeva drasticamente tra il 3.2% e il 19.0% per le donne sopra i 40. Perché questa differenza?
La Qualità degli Ovociti e il Ruolo dell’Età
Uno dei fattori chiave è la qualità e la quantità degli ovociti, che diminuiscono con l’età. Dopo la nascita, una donna ha una riserva finita di ovociti (circa 1-2 milioni), che si riduce progressivamente fino a poche centinaia nel periodo perimenopausale. Ma non è solo una questione di numero: anche la “qualità” diminuisce. Questo può dipendere da vari fattori, come problemi nei meccanismi di regolazione, nella competenza dei mitocondri (le centrali energetiche della cellula), nell’assemblaggio del fuso mitotico e un aumento delle non-disgiunzioni cromosomiche, che portano appunto a più aneuploidie. Nelle donne con età materna avanzata, la percentuale di embrioni aneuploidi può salire vertiginosamente, arrivando fino al 90% verso la fine dei 40 anni.
La Sfida della Selezione Embrionale: PGT-A e Oltre
Per migliorare le chance di successo, si è diffusa la Diagnosi Genetica Preimpianto per Aneuploidie (PGT-A). Questa tecnica prevede il prelievo di alcune cellule dal trofoectoderma (lo strato esterno della blastocisti, l’embrione al 5°/6° giorno) per analizzarne il DNA e verificare che il numero di cromosomi sia corretto (embrione euploide). Tuttavia, l’efficacia della PGT-A è dibattuta. Uno dei limiti è il fenomeno del mosaicismo, cioè la presenza di cellule cromosomicamente diverse all’interno dello stesso embrione. La biopsia del trofoectoderma potrebbe non riflettere fedelmente lo stato della massa cellulare interna (ICM), da cui si svilupperà il feto. Sebbene alcuni studi mostrino una buona concordanza per embrioni euploidi e aneuploidi, per quelli mosaico è molto più bassa. Inoltre, studi recenti hanno messo in discussione se la PGT-A migliori effettivamente i tassi di gravidanza in tutte le fasce d’età. C’è quindi un forte bisogno di identificare biomarcatori aggiuntivi e più precisi per selezionare l’embrione con le migliori potenzialità.

Ascoltare l’Embrione: L’Analisi del Liquido Blastocelico
Ed è qui che entra in gioco lo studio pilota di cui vi parlo oggi. Invece di (o in aggiunta a) analizzare direttamente le cellule embrionali, i ricercatori si sono concentrati su qualcosa di meno invasivo: il liquido blastocelico condizionato. Cos’è? È il mezzo di coltura in cui l’embrione si trova subito dopo la biopsia del trofoectoderma. Quando si fa la biopsia, l’embrione rilascia una piccolissima quantità di liquido dalla sua cavità interna (il blastocele) nel mezzo circostante. L’idea geniale è stata: e se questo liquido contenesse “messaggi” molecolari, come RNA, che ci dicono qualcosa sulla salute e sulla vitalità dell’embrione, magari in relazione all’età della madre?
I ricercatori hanno raccolto questo liquido da 24 embrioni euploidi (quindi cromosomicamente normali secondo la PGT-A) generati tramite ICSI (Iniezione Intracitoplasmatica dello Spermatozoo). Nove di questi embrioni provenivano da donne con 35 anni o più (età materna avanzata, AMA). Hanno poi utilizzato una tecnica chiamata RNASeq per analizzare l’abbondanza globale dei geni espressi in questo liquido. L’obiettivo era identificare differenze tra gli embrioni di donne AMA e quelli di donne più giovani (<35 anni).
Cosa Hanno Scoperto: La Firma dell’Apoptosi
I risultati sono stati davvero interessanti! L’analisi ha identificato 47 geni codificanti per proteine che erano espressi in modo diverso a seconda dell’età materna. In particolare, due geni hanno mostrato un aumento statisticamente significativo (p<0.05) di abbondanza nel liquido associato a pazienti AMA:
- SHARPIN
- BCL2L12
La cosa intrigante è che entrambi questi geni, insieme ad altri sei identificati nello studio (SIK3, CYB5R2, POU4F1, KIF18A, NLRP4, CUL2), sono coinvolti nella regolazione dell’apoptosi, ovvero la morte cellulare programmata. L’apoptosi è un processo fondamentale durante lo sviluppo embrionale, serve a eliminare cellule danneggiate o superflue, e forse anche quelle aneuploidi in un meccanismo di “auto-correzione”.
Per approfondire, i ricercatori hanno condotto un’ulteriore analisi su un gruppo più ampio di campioni di liquido (166, raggruppati), usando una tecnica più mirata (RT-qPCR) per misurare l’abbondanza di SHARPIN, BCL2L12 e di tre geni chiave dell’apoptosi: CASP3, CASP7 e CASP8. Hanno confrontato i livelli in base all’età della madre e all’esito dell’impianto (successo o fallimento).

Pattern Sorprendenti Legati all’Impianto
Qui le cose si fanno ancora più affascinanti. È emerso un pattern unico per SHARPIN e CASP8 legato al successo dell’impianto:
- Nelle pazienti <35 anni con impianto riuscito: livelli alti di SHARPIN e bassi di CASP8.
- Nelle pazienti ≥35 anni (AMA) con impianto riuscito: livelli bassi di SHARPIN e alti di CASP8 (pattern opposto!).
Questa differenza nell’abbondanza di SHARPIN (p=0.029) e CASP8 (p=0.029) tra i due gruppi AMA (successo vs fallimento impianto) era statisticamente significativa. Inoltre, si è osservato che l’abbondanza di CASP8 era generalmente più elevata nel liquido proveniente da embrioni di pazienti AMA, indipendentemente dall’esito dell’impianto, e anche negli embrioni di pazienti <35 che non si sono impiantati.
Interpretare i Segnali: Apoptosi, Età e Auto-Correzione
Cosa ci dicono questi risultati? Sembra che l’attività apoptotica, riflessa dall’abbondanza di questi geni, sia diversa negli embrioni a seconda dell’età materna e del loro destino. L’aumento di CASP8 (un “esecutore” dell’apoptosi) potrebbe indicare un processo di morte cellulare più attivo. Forse negli embrioni da donne AMA, o in quelli destinati a non impiantarsi, c’è una maggiore necessità di eliminare cellule danneggiate o aneuploidi (anche se l’embrione è classificato come euploide, potrebbe aver avuto cellule anomale in fasi precedenti o un certo grado di mosaicismo non rilevato). L’apoptosi agirebbe come un meccanismo di auto-correzione.
Il ruolo di SHARPIN è particolarmente intrigante. In letteratura, è noto per poter inibire l’apoptosi indotta da CASP8. Quindi, l’alto livello di SHARPIN (e basso CASP8) visto negli impianti riusciti delle donne più giovani potrebbe significare che in quegli embrioni “sani” e vitali, l’apoptosi non è più necessaria e viene attivamente frenata. Al contrario, negli embrioni da donne AMA che riescono a impiantarsi, il pattern opposto (basso SHARPIN, alto CASP8) è più difficile da interpretare, ma suggerisce una regolazione diversa, forse più complessa, dell’apoptosi in relazione all’età.
Per quanto riguarda BCL2L12, un gene anti-apoptotico, la sua abbondanza tendeva a essere più bassa negli impianti riusciti rispetto a quelli falliti, ma solo nelle pazienti AMA. Questa differenza non era però statisticamente significativa.
Verso il Futuro: Nuovi Biomarcatori?
Questo studio pilota, seppur su un numero limitato di campioni, apre scenari davvero promettenti. Analizzare il liquido blastocelico condizionato potrebbe offrirci una finestra non invasiva (o minimamente invasiva) sulla biologia dell’embrione, rivelando pattern molecolari legati all’età materna e, potenzialmente, alla capacità di impianto. L’abbondanza di geni come CASP8 e SHARPIN potrebbe, in futuro e con ulteriori conferme, diventare un biomarcatore aggiuntivo per selezionare l’embrione euploide con le maggiori probabilità di successo, soprattutto nel contesto dell’età materna avanzata. C’è ancora molta strada da fare, ma è un passo avanti entusiasmante nella comprensione dei meccanismi che regolano le primissime fasi della vita e nel migliorare le tecniche di fecondazione assistita.
Fonte: Springer
