Oceani in Miniatura: In Laboratorio per Svelare i Segreti delle Acque Profonde Antartiche
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante, non tra le onde impetuose dell’Oceano Meridionale, ma nel cuore controllato e un po’ freddino del nostro laboratorio. Parleremo di un fenomeno tanto cruciale quanto misterioso per il clima del nostro pianeta: la formazione delle Acque Dense di Piattaforma (Dense Shelf Water – DSW) in Antartide, e di come abbiamo cercato di ricrearlo… in piccolo!
Cosa sono le Polynie e Perché Sono Così Importanti?
Avete mai sentito parlare delle polynie? Immaginate delle specie di “oasi” di acqua libera in mezzo alla banchisa polare, delle aree che rimangono sgombre dal ghiaccio anche in pieno inverno. Sembrano piccole, magari insignificanti rispetto all’immensità bianca che le circonda, ma in realtà sono delle vere e proprie “fabbriche di ghiaccio” e svolgono un ruolo da protagonista nel grande motore climatico terrestre.
Quando l’acqua marina congela in queste polynie, succede qualcosa di particolare: il sale contenuto nell’acqua non viene incorporato facilmente nel reticolo cristallino del ghiaccio e viene espulso, “rigettato” (un processo chiamato brine rejection), nell’acqua sottostante. Quest’acqua diventa così più salata e, di conseguenza, più densa. Essendo più pesante, tende a sprofondare.
Questa massa d’acqua fredda e salatissima, la DSW appunto, che si forma sulla piattaforma continentale antartica, può iniziare una lenta ma inesorabile discesa lungo la scarpata continentale. Scendendo, si mescola con altre acque e contribuisce a formare l’Acqua Antartica di Fondo (Antarctic Bottom Water – AABW), una delle masse d’acqua più dense e fredde del pianeta. L’AABW si diffonde poi negli abissi di tutti gli oceani, giocando un ruolo chiave nella circolazione termoalina globale – quel gigantesco nastro trasportatore oceanico che ridistribuisce calore sul pianeta e regola il nostro clima.
Il Mistero da Svelare: Bastava il Sale?
Nonostante l’importanza vitale di questo processo, c’era un “ma”. Tutti ipotizzavano che il rigetto di salamoia fosse il motore principale dietro la formazione delle DSW capaci di innescare queste correnti profonde. Tuttavia, ottenere misurazioni dirette in Antartide è incredibilmente difficile (immaginate le condizioni proibitive!). Mancava una prova sperimentale chiara, ottenuta in un ambiente controllato, che dimostrasse senza ombra di dubbio che *solo* il rigetto di salamoia fosse sufficiente a generare queste correnti di gravità.
Ed è qui che entriamo in gioco noi! Ci siamo chiesti: possiamo simulare una polynya in laboratorio e vedere se questo processo di espulsione del sale basta davvero a mettere in moto l’acqua?
Il Nostro Antartide in Miniatura: L’Esperimento
Ci siamo rimboccati le maniche e, nel Laboratorio di Ingegneria delle Acque del Politecnico di Torino, abbiamo allestito il nostro piccolo angolo di Antartide. Abbiamo usato una vasca di acciaio e vetro, riempita con acqua (dolce per i test di controllo, e salata per simulare l’oceano). L’abbiamo piazzata dentro una cella frigorifera, portando la temperatura fino a -20°C!
Per simulare la polynya, abbiamo coperto gran parte della superficie dell’acqua con uno spesso strato di polistirolo (per imitare l’isolamento del pack glaciale), lasciando però un’area rettangolare di acqua libera a un’estremità. Era la nostra “polynya artificiale”.
Il passo successivo era misurare cosa succedeva nell’acqua. Abbiamo utilizzato una tecnica chiamata Particle Image Velocimetry (PIV). In pratica, abbiamo illuminato un piano verticale dell’acqua con un laser e filmato le minuscole impurità naturali presenti nell’acqua mentre si muovevano. Analizzando i video con un software apposito, siamo riusciti a ricostruire il campo di velocità: dove andava l’acqua e quanto velocemente si muoveva.
Abbiamo condotto esperimenti variando diversi parametri:
- La temperatura della cella frigorifera (-10°C e -20°C)
- La salinità dell’acqua (0 PSU – acqua dolce, 34 PSU – salinità oceanica tipica, e 70 PSU – per vedere l’effetto di una salinità doppia)
- La dimensione dell’apertura della “polynya” (25 cm, 35 cm, 45 cm di lunghezza)
- La geometria del fondale vicino alla polynya (una parete verticale o una parete inclinata a 45°)
Per ogni combinazione, abbiamo lasciato che il ghiaccio iniziasse a formarsi sulla superficie della nostra polynya e abbiamo registrato i movimenti dell’acqua per 30 minuti. Alla fine, raccoglievamo il ghiaccio formatosi per misurarne volume e salinità, così da stimare quanto sale era stato effettivamente “rigettato”.
La Prova Regina: Il Sale Mette in Moto l’Acqua!
E qui arriva il bello! I risultati sono stati… illuminanti! Negli esperimenti con acqua dolce, senza sale, i movimenti nell’acqua erano debolissimi, quasi impercettibili, caotici. L’acqua era sostanzialmente ferma, a parte qualche residuo del mescolamento iniziale.
Ma quando usavamo l’acqua salata… tutta un’altra storia! Appena il ghiaccio iniziava a formarsi, vedevamo chiaramente delle correnti di gravità ben definite scendere lungo la parete della vasca sotto l’area della polynya. L’acqua resa più densa dal sale espulso dal ghiaccio in formazione cominciava a scivolare verso il basso, proprio come ipotizzato per le DSW! Le velocità erano decisamente maggiori rispetto all’acqua dolce, nell’ordine dei millimetri al secondo nel nostro setup.
Questa è stata la prima, grande conferma: il rigetto di salamoia, da solo, è perfettamente in grado di generare correnti di gravità significative. Non servivano altri meccanismi complessi, almeno in linea di principio.
Geometria e Dimensioni Contano Eccome
Andando più a fondo, abbiamo notato differenze interessanti.
- Dimensione della Polynya: Come ci si poteva aspettare, più grande era l’area della nostra polynya artificiale, più intensa era la formazione di ghiaccio, maggiore il rigetto di sale e, di conseguenza, più vigorosa (con maggiore portata) e spessa era la corrente di gravità generata.
- Inclinazione della Parete: Qui le cose si facevano curiose. Con una parete verticale, la corrente tendeva ad essere più spessa e con una portata leggermente maggiore, ma la struttura del flusso assomigliava più a una cella convettiva (tipo quelle che si formano in una pentola d’acqua che bolle, ma al contrario e molto più lenta!). Con la parete inclinata a 45°, invece, la corrente era più sottile, più “concentrata” e definita lungo la pendenza, assomigliando di più a una classica corrente di gravità che scivola su un pendio. Probabilmente la parete inclinata “raccoglieva” meglio il flusso denso su tutta la lunghezza dell’apertura.
Salinità e Temperatura: Un Quadro Meno Chiaro
Ci aspettavamo che una salinità iniziale maggiore (70 PSU vs 34 PSU) e una temperatura esterna più bassa (-20°C vs -10°C) portassero a correnti più forti, perché entrambe le condizioni avrebbero dovuto aumentare il rigetto di sale (e le nostre misure sul ghiaccio formatosi lo confermavano!).
Sorprendentemente, i risultati sul flusso non sono stati così netti. Un aumento della salinità sembrava aumentare leggermente la portata della corrente, ma non sempre e non in modo marcato sul suo spessore. Per quanto riguarda la temperatura esterna, non abbiamo osservato una tendenza chiara e consistente sull’intensità della corrente. Questo è un punto che merita sicuramente ulteriori indagini: forse altri fattori o complessità del sistema entravano in gioco nel nostro setup specifico.
Dal Laboratorio all’Oceano Reale: Cosa Abbiamo Imparato?
Certo, il nostro laboratorio non è l’Oceano Antartico. Le scale sono enormemente diverse (chilometri contro centimetri!), e nel mondo reale entra in gioco la turbolenza, che nei nostri esperimenti era praticamente assente (il flusso era laminare, ordinato).
Tuttavia, questi esperimenti preliminari ci hanno dato una conferma fondamentale: il meccanismo base del rigetto di salamoia funziona ed è un motore potente per la DSW. Abbiamo anche visto come la geometria locale (la forma della scarpata, la dimensione della polynya) possa influenzare significativamente queste correnti.
Questo lavoro apre la porta a nuovi studi sperimentali, più mirati, per capire meglio tutti i dettagli di questo processo cruciale, magari riuscendo in futuro a simulare anche gli effetti della turbolenza. Comprendere a fondo come si formano queste acque dense è fondamentale per migliorare i modelli climatici e prevedere come il nostro pianeta risponderà ai cambiamenti in corso.
È stato un piccolo passo fatto nel freddo del nostro laboratorio, ma speriamo contribuisca a far luce su uno dei grandi motori nascosti del nostro clima!
Fonte: Springer