La Voce dei Pazienti Reumatici Conta Eccome! Scopriamo Insieme un Nuovo Strumento per Migliorare le Cure in Australia
Amici, parliamoci chiaro: quando si tratta della nostra salute, soprattutto se conviviamo con una patologia cronica come quelle reumatiche, l’esperienza che viviamo durante le cure è fondamentale. Non si tratta solo di ricevere la terapia giusta, ma di come ci sentiamo ascoltati, compresi e coinvolti nel nostro percorso. Ecco perché oggi voglio parlarvi di una cosa super interessante che arriva dall’Australia: l’implementazione di un nuovo strumento per misurare proprio l’esperienza dei pazienti ambulatoriali in reumatologia. Si chiama CQRA-PREM-AU (Commissioning for Quality in Rheumatoid Arthritis-Patient Reported Experience Measure-Australian version), un nome un po’ tecnico, lo so, ma fidatevi, quello che fa è importantissimo!
Ma cos’è esattamente questo CQRA-PREM-AU?
Immaginate un questionario, ma non uno di quelli noiosi e infiniti. Questo è pensato apposta per chi, come tanti di noi, frequenta gli ambulatori di reumatologia. È composto da 22 domande che toccano 8 aree cruciali della nostra esperienza di cura. Pensatelo come un check-up completo del “come mi sono sentito curato”. Le aree (o “domini”, come li chiamano gli esperti) sono:
- Bisogni e preferenze del paziente
- Coordinamento delle cure e comunicazione
- Informazioni, educazione e auto-cura
- Vita quotidiana
- Supporto emotivo
- Coinvolgimento di familiari e amici
- Accesso alle cure
- Esperienza complessiva
Ogni risposta va da 1 a 5, dove un punteggio più alto significa un’esperienza migliore. L’obiettivo? Capire se i servizi sanitari stanno davvero rispondendo alle nostre esigenze. Perché, diciamocelo, misurare l’esito clinico (i PROMs, Patient Reported Outcome Measures, che valutano sintomi e attività di malattia) è importante, ma l’esperienza vissuta (i PREMs, appunto) lo è altrettanto! Anzi, le due cose insieme danno un quadro completo di come le cure possono essere migliorate.
Come hanno fatto? Un’indagine online tra i pazienti
I ricercatori australiani hanno coinvolto i pazienti degli ambulatori di reumatologia del Central Adelaide Local Health Network. Hanno inviato un sondaggio online (e cartaceo per chi non aveva un numero di cellulare) a un bel po’ di persone, precisamente 4591. Di queste, 1408 hanno risposto (un tasso di risposta del 31%, che non è affatto male per questo tipo di studi!). Dopo aver escluso i questionari incompleti, ne sono stati analizzati 1194. Un bel campione, no?
I partecipanti erano per il 68% donne, con un’età media di 64 anni. È interessante notare che il 29% proveniva da aree rurali e il 7% parlava una lingua diversa dall’inglese a casa. Questo ci dice che hanno cercato di avere un quadro abbastanza variegato.
Oltre al CQRA-PREM-AU, ai pazienti è stato chiesto di valutare la loro salute globale (PGA) e l’attività di malattia percepita (PRDA) su una scala da 0 a 100, e c’era anche un piccolo test per valutare la comprensione delle informazioni sanitarie (SILS).
Le buone notizie: cosa funziona alla grande!
Ebbene sì, ci sono aspetti che i pazienti hanno valutato molto positivamente! Il dominio che ha ottenuto il punteggio medio più alto (4.1 su 5) è stato il numero 1, quello relativo ai Bisogni e Preferenze del paziente. Questo significa che, in generale, i pazienti si sono sentiti considerati nelle loro necessità individuali. Fantastico!
Andando più nel dettaglio delle singole domande, è emerso che:
- L’89% si è sentito trattato con rispetto.
- L’85% ha ritenuto di aver ricevuto informazioni adeguate.
- L’82% si è sentito coinvolto nelle decisioni riguardanti la propria cura.
Questi sono dati che fanno ben sperare e dimostrano un’attenzione importante alla persona, che va oltre la semplice prescrizione medica. Essere trattati con dignità e partecipare attivamente alle scelte terapeutiche è un diritto, e sembra che su questo fronte si stia lavorando bene!
Dove c’è da rimboccarsi le maniche: i punti critici
Non è tutto oro quello che luccica, ovviamente. Lo studio ha anche messo in luce delle aree dove c’è ancora da lavorare. I domini che hanno ricevuto punteggi più bassi sono stati:
- Dominio 3 (Informazioni sulla cura, educazione e auto-cura): punteggio medio 3.5
- Dominio 4 (Vita quotidiana): punteggio medio 3.5
- Dominio 5 (Supporto emotivo): punteggio medio 3.6
Questi punteggi, seppur non disastrosi, indicano che i pazienti sentono di aver bisogno di più supporto per gestire la malattia nel quotidiano, più informazioni pratiche e un maggiore sostegno emotivo.
Le note dolenti, guardando le singole domande, riguardano soprattutto:
- Sapere come accedere alle cure durante una riacutizzazione della malattia (solo il 42% si sente sicuro su questo). Questo è un punto cruciale! Quando stai male, devi sapere a chi rivolgerti e come.
- L’invio a organizzazioni di pazienti o gruppi di supporto (solo il 34% ha ricevuto indicazioni in tal senso).
- L’invio a programmi di auto-gestione della malattia (addirittura solo il 20%).
Questi dati sono un campanello d’allarme. Saper gestire una riacutizzazione, avere il supporto di chi vive la tua stessa condizione e imparare strategie di auto-gestione può fare una differenza enorme nella qualità della vita. E sembra che su questo ci sia un bel margine di miglioramento!
Il tocco magico dell’infermiere specializzato in reumatologia
Una delle scoperte più significative, a mio avviso, è l’impatto positivo del contatto con un infermiere specializzato in reumatologia. I pazienti che avevano avuto interazioni con queste figure professionali hanno riportato un’esperienza di cura complessivamente migliore. E non c’è da stupirsi! Gli infermieri specializzati offrono valutazioni cliniche, educazione terapeutica, supporto per l’accesso ai farmaci e, cosa importantissima, rappresentano un punto di contatto fondamentale tra una visita e l’altra, specialmente durante le fasi acute.
Il problema? Non tutti i pazienti hanno accesso a questa risorsa. Lo studio evidenzia che questi infermieri non sono disponibili in tutte le cliniche coinvolte o non riescono a interagire con ogni singolo paziente. Estendere questo servizio sembra quindi una mossa vincente per migliorare l’esperienza di tutti.
Età e diagnosi: chi si sente più (o meno) ascoltato?
Lo studio ha anche analizzato come diversi fattori influenzassero l’esperienza riportata. È emerso che l’età più avanzata era associata a un punteggio di esperienza migliore. Forse con l’età si sviluppano strategie diverse o si hanno aspettative differenti, chissà!
Al contrario, una peggiore valutazione globale della propria salute (PGA più alto) era legata a un’esperienza di cura peggiore. Questo è comprensibile: quando si sta molto male, è più facile percepire negativamente anche l’assistenza.
Un dato interessante riguarda le diagnosi: i pazienti con lupus eritematoso sistemico (LES), quelli con diagnosi classificate come “Altro” o quelli con diagnosi “Sconosciuta” hanno riportato punteggi di esperienza significativamente più bassi. Questi gruppi potrebbero essere più complessi da gestire, vivere un’incertezza diagnostica o avere un percorso più lungo per arrivare a una diagnosi definitiva. Sicuramente meritano un’attenzione mirata, più informazione e un follow-up specifico sulla loro esperienza.
La sfida delle cliniche rurali
Un altro aspetto emerso è che i pazienti seguiti presso la clinica rurale satellite (Rural Outreach Clinic – ROC) hanno riportato un’esperienza complessivamente peggiore. I ricercatori suggeriscono che questo potrebbe dipendere da diversi fattori specifici di quella clinica: era stata aperta da meno di un anno prima del sondaggio, il personale medico era spesso a rotazione (il che non aiuta la continuità assistenziale) e non c’era supporto infermieristico specialistico. È importante sottolineare che non era l’essere “residente rurale” di per sé a peggiorare l’esperienza, ma proprio le caratteristiche organizzative di quella specifica clinica. Questo suggerisce che interventi mirati sulla struttura e l’organizzazione del ROC potrebbero fare la differenza.
Punti di forza e qualche ombra (perché la perfezione non è di questo mondo)
Questo studio ha diversi meriti. Innanzitutto, ha raggiunto un buon numero di pazienti e ha utilizzato un modello misto (online e cartaceo) per massimizzare la partecipazione. Ha dimostrato che il CQRA-PREM-AU è uno strumento affidabile anche per un gruppo eterogeneo di pazienti reumatici, inclusi quelli con malattie infiammatorie multisistemiche come il LES, e anche per chi parla inglese come seconda lingua. Un altro punto a favore è che l’indagine è stata condotta utilizzando software clinici esistenti, senza costi aggiuntivi per materiali di consumo, il che rende la sua implementazione di routine più fattibile.
Certo, ci sono anche delle limitazioni. Non avendo dati sui non rispondenti, non si può escludere un certo “bias di risposta” (magari chi ha risposto aveva esperienze particolarmente positive o negative). Inoltre, i pazienti potevano selezionare più diagnosi, rendendo complesse alcune sotto-analisi. Non sono stati raccolti dati sulla durata della malattia, che potrebbe influenzare l’esperienza. Infine, mancano dati longitudinali per vedere i cambiamenti nel tempo.
Allora, cosa ci portiamo a casa da tutto questo?
Beh, direi parecchio! Questo studio australiano, utilizzando il CQRA-PREM-AU, ci mostra in modo chiaro e concreto dove le cure reumatologiche stanno andando bene e dove invece c’è bisogno di un “tagliando”.
I risultati chiave sono:
- Il contatto con un infermiere specializzato in reumatologia fa una grande differenza positiva.
- I pazienti si sentono generalmente trattati con rispetto e coinvolti nelle decisioni.
- C’è un forte bisogno di migliorare l’accesso alle informazioni su come gestire le riacutizzazioni, l’invio a gruppi di supporto e a programmi di auto-gestione.
- Pazienti con LES, diagnosi incerte o una percezione peggiore della propria salute globale tendono ad avere esperienze meno positive e necessitano di attenzioni specifiche.
L’uso di strumenti come il CQRA-PREM-AU è un passo avanti enorme perché mette la nostra voce, quella dei pazienti, al centro del processo di miglioramento dei servizi sanitari. E sapere che qualcuno ci ascolta e usa le nostre esperienze per cambiare le cose in meglio… beh, questa è già una gran bella cura! Speriamo che studi come questo ispirino iniziative simili anche qui da noi!
Fonte: Springer